Ci sarà, in un futuro non troppo lontano, su un pianeta a noi ben conosciuto, una conversazione familiare:
Il piccolo Alex trotterella accanto alla madre. E’ domenica, sono appena usciti dal mercato contadino, dove hanno fatto la spesa per la settimana, e si stanno dirigendo alla fermata dell’autobus elettrico (i mezzi di trasporto funzionano tutti con energie rinnovabili. Le poche auto a benzina ancora in circolazione vengono usate soltanto per le parate storiche o, in alcuni casi, per corse clandestine). La primavera incalza, lenta e soave, e nel cielo azzurrissimo si stagliano le figure di alcune rondini che giocano a inseguirsi. Alex le osserva distrattamente, le rondini sono comuni quasi quanto i piccioni, certo non è uno spettacolo fuori dal comune. Il suo sguardo si sposta dagli uccelli a dei cartelloni pubblicitari a lato del marciapiede.
Tra poco ci saranno le elezioni del Parlamento Federale e le mura della città sono costellate di manifesti elettorali con volti sorridenti e rassicuranti, accompagnati da simboli colorati. Gli slogan, in varie lingue, promettono un po’ tutti le stesse cose: più lavoro, più diritti, più sostenibilità. In mezzo a questo rassicurante caleidoscopio di idee, un manifesto cattura l’attenzione di Alex. Il poster recita, a caratteri cubitali: “VICINI MA NON UNITI. A CIASCUNO LA PROPRIA MONETA, A CIASCUNO IL PROPRIO GOVERNO, A CIASCUNO LA PROPRIA PATRIA”. Non ci sono persone sorridenti ma un gigantesco disegno di un pugno nero che manda in frantumi la mappa della Federazione Europea. Sono i secessionisti, quelli che vogliono abbandonare la Federazione e tornare al regime degli stati nazionali. Alex scuote la testa, perplesso.
“Mamma, ma perché alle persone piacciono i secessionisti?”
“Eh, bella domanda! Vedi, il fatto è che esistono -e sono sempre esistite- persone facilmente tentate da un certo tipo di retorica, semplice e decisa, che fa leva sulle loro paure e li trascina in una spirale d’odio che non si arresta davanti a niente. Tra le due Guerre Mondiali c’erano i fascisti e i nazisti, all’epoca del Primo Coronavirus c’erano i sovranisti, e ora ci sono i secessionisti che vorrebbero buttare via tutto ciò che abbiamo ottenuto di buono”
“Ma come ragionano? La maestra ieri ci diceva che con la Federazione abbiamo raggiunto le zero emissioni nel 2050… ma secondo i secessionisti ce l’avremmo fatta anche da soli?”
“Tesoro mio, sembra assurdo ma è la realtà! Pensa che quando i nonni erano piccoli, alcuni sovranisti pensavano ancora che il riscaldamento globale fosse una bufala! Non ci crederai, ma addirittura qualcuno credeva che il Coronavirus fosse stato creato in laboratorio e distribuito artificialmente. Fu in quegli anni che venne fondata l’Anonima Terrapiattisti. Gente che provava un rancore e una sofferenza tale da essere disposti a credere alle scemenze più incredibili pur di dare addosso al nemico.”
“E chi era il nemico?”
“Il solito. La democrazia.”
Chissà se fra ottant’anni, nel 2100, i cittadini dell’Europa delle Regioni affronteranno queste discussioni durante le loro passeggiate domenicali. Forse in futuro l’inossidabile connessione tra populismo, autoritarismo e totalitarismo sarà ritenuta scontata.
Gli indizi ci sono già oggi, e molto numerosi. Come non guardare all’Ungheria di Viktor Orbán? Quell’Orbán, così fondamentale per garantire la maggioranza relativa al PPE all’interno del Parlamento Europeo, e così stimato dai sovranisti nostrani. Un uomo che in appena due mesi ha inferto un colpo mortale alla democrazia ungherese: con il pretesto di gestire un’emergenza sanitaria (emergenza che ha coinvolto tutto il continente), infatti, ha richiesto e ottenuto i pieni poteri, proprio come fece Hitler nel 1933, con il nulla osta dei partiti di centro, troppo deboli e compromessi per combattere in modo deciso l’aspirante dittatore. Un uomo che, come il suo antenato tedesco, ha piegato la democrazia al suo volere, disegnando una società a sua immagine e somiglianza, anche se ciò ha significato calpestare i più fondamentali diritti civili, come la negazione dei diritti delle persone transgender e intersex. Allora la scusa fu il fantomatico attentato comunista al Reichstag, oggi la scusa si chiama Covid-19. Quasi a dare la sponda ad alcuni estremisti religiosi che gridano al virus come punizione divina per la “depravazione morale” della società odierna.
Che cos’è morale, poi? Se lasciamo da parte quella religiosa e ci concentriamo su una morale laica, questa “depravazione” della società odierna esiste eccome… ma è quella fomentata dagli stessi sovranisti.
Basti pensare alle vergognose reazioni alla liberazione di Silvia Romano: un esempio eclatante che non è altro che la punta dell’iceberg di un deserto intellettuale in cui legioni di persone piene di rancore e senso di inadeguatezza cercano disperatamente di far sentire le loro voci. Il modus operandi dei sovranisti è incredibilmente semplice e tragicamente efficace: come sciacalli scommettono sulla disperazione e sulla miseria della gente, e la sfruttano per i loro scopi elettorali. Non danno soluzioni ragionevoli, ma si limitano ad identificare dei nemici. Nemici che, guarda caso, fanno parte di gruppi minoritari e più fragili, che non hanno mezzi per difendersi dalle ingiurie. Quindi la colpa è dei rifugiati che scappano dalle guerre o dei migranti che cercano faticosamente una vita migliore. Oppure i nemici sono le istituzioni europee, svuotate del loro significato, decontestualizzate e ridotte a un nebuloso immaginario di crudeli bancari e spietati burocrati. Oppure, ancora, i nemici sono i loro avversari politici, apostrofati di sostenere un regime in cui nessuno è davvero libero, una finta democrazia basata sui “buoni sentimenti”, in cui, dicono loro -vandalizzando il messaggio dei libri di George Orwell-, l’unico scopo dei potenti (tutti, nessuno escluso) è quello di controllare le masse.
La strategia sovranista nei confronti di chi pensa diversamente da loro è quella di deridere e sminuire, trasformando il dibattito pubblico in uno scontro tra tifoserie. Chi prova ad approcciarsi alla discussione con un po’ di empatia viene bollato come “buonista”; chi prova a proporre una chiave di lettura della realtà che ne sottolinei la complessità viene bollato come “professorone”. E guai a proporre soluzioni che possano anche solo minimamente turbare l’equilibrio del loro orticello, dove si sbraita verso l’esterno e si vive male ma, tutto sommato, si sta comodi.
Di fronte a questa desolazione può essere naturale trovare motivi di scontro, ma bisogna stare molto attenti. Perchè i motivi che hanno portato a questo “cattivismo” sono molto reali, e le forze democratiche dovrebbero prenderle con molta serietà. Invece spesso anche coloro che avrebbero a cuore una società democratica e inclusiva, si abbassano a usare la stessa metodologia di azione dei sovranisti: così si assiste a scene in cui la persona colta si limita a mettere alla gogna l’ignorante, invece di cercare di comprenderne le ragioni e il background e cercare un dialogo. Alla maieutica socratica (ovvero l’aiutare l’altra persona ad arrivare da sola alla risposta, guidandola con domande e incoraggiandola nella ricerca senza fornire soluzioni preconfezionate), si preferisce ormai il blast che accarezza l’ego di chi lo pubblica ma, in ultima istanza, non porta ad alcuna crescita né costruttivo cambiamento. Atteggiamenti di questo tipo sono distruttivi quanto quelli dei sovranisti, e contribuiscono ad uno scontro sociale deleterio per tutti.
A questa riflessione bisogna però aggiungere che la democrazia è un nemico molto facile da attaccare. Per la sua stessa natura di partecipazione e condivisione implica processi decisionali molto lenti, a volte contraddittori e sicuramente non esenti da errori, anche molto gravi. Di sicuro questa lentezza cozza con l’individualismo neoliberista che ha fatto del motto delle Olimpiadi la sua filosofia di vita, con l’esaltazione del citius, altius, fortius. Qui è necessario chiamare in causa il grande Alexander Langer che, per contrasto, proponeva il lentius, profundius, soavius, un ritorno alla ponderazione e alla profondità di pensiero [1]. Questo motto alternativo si adatta perfettamente al processo democratico che, ad oggi, rimane l’unico sistema possibile che tuteli la libertà di tutte e tutti.
Questa è la cornice in cui siamo chiamati ad affrontare una situazione devastante, la madre di tutte le minacce, al confronto della quale Covid-19 e recessione economica impallidiscono e corrono a nascondersi in un angolo: la crisi climatica.
Egoismi nazionali, gratificazioni economiche di breve periodo e un pigro calcolo “costi-benefici” hanno portato i governanti a procrastinare; c’è sempre stato qualcosa di più importante da affrontare, un’emergenza più appetibile a fini elettorali, o problematiche che non richiedessero un rivoluzionario cambiamento del paradigma produttivo e, con esso, una progressiva modifica anche delle abitudini dei singoli. Usare il pugno di ferro per affrontare uno straordinario flusso migratorio o una pandemia rende i politici eroi. Mentre chiedere ai cittadini di fare la raccolta differenziata, sanzionare le automobili che sforano il limite di emissioni o proibire la vendita della plastica usa e getta non raccoglie molti consensi. A questo si aggiunge uno sfacciato e cieco negazionismo dei potenti che, pur di non scontentare i propri gruppi di interesse, deridono il cambiamento climatico e lo considerano una favola inutilmente allarmista. Eppure la scienza è molto chiara su questo punto: se vogliamo limitare al massimo i danni dobbiamo agire subito, prendendo decisioni drastiche, che contrastano molto con la “comodità tossica” di cui sopra, alla quale tutti noi occidentali, chi più, chi meno, siamo abituati.
Qualcuno potrebbe farsi prendere dal pessimismo o dal fatalismo, e sostenere che è impensabile che regimi democratici possano affrontare questo problema. Tuttavia, la storia ci ha dimostrato che è dalle crisi peggiori che nascono le grandi opportunità: L’Europa è chiamata a rispondere alla crisi climatica e per farlo è necessario che ritorni ai suoi valori fondamentali, quelli di democrazia, di legalità, di sussidiarietà e di solidarietà. Con queste basi, potrà farsi portavoce di un nuovo sistema produttivo e di una nuova forma di società che possa fornire un’alternativa più sostenibile e egualitaria del paradigma neoliberista: un nuovo modello che permetta di ritrovare, tutti insieme, una dimensione più sobria e più rispettosa della vita, in ogni sua forma.
Ancora una volta, lentius, profundius, soavius. Ed è proprio attraverso la democrazia e la progressiva integrazione che possiamo raggiungere questo obiettivo: solo nell’ambito di un sistema democratico è possibile, tramite l’ascolto di tutte le voci della società, trovare un compromesso in grado di valorizzare le esigenze e la voglia di realizzazione di tutti i componenti della nostra società. Per poter effettuare questa transizione, è necessario che in primo luogo cambiamo noi stessi: solo un esercito gentile, guidato da valori profondi e un animo leggero, può realizzare il sogno di un’Europa federale, sostenibile ed egualitaria in cui Alex possa domandarsi come sia stato possibile pensare di fare altrimenti.
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