Secondo una tendenza che ha iniziato a manifestarsi da qualche anno a questa parte – a cominciare dallo storico precedente di Slobodan Milošević, primo Capo di Stato ad essere processato da un tribunale delle Nazioni Unite – anche in questa occasione il peso politico dell’imputato non è servito a sottrarlo dall’incriminazione. Accusato e processato dinanzi alla Corte Speciale per la Sierra Leone, Taylor è stato trasferito all’Aja per ragioni di sicurezza, dato l’alto rischio di destabilizzazione della regione nel caso di un processo in loco. L’influenza politica dell’accusato è tutt’altro che residua, e molti ancora sono i suoi appoggi dentro e fuori il continente africano. Ciò nonostante, Charles Taylor può oggi vantare il primato di primo Capo di Stato africano ad essere costretto a render conto dei propri crimini dinanzi ad un tribunale internazionale.
Taylor è il primo Capo di Stato africano ad essere costretto a render conto dei propri crimini
Il curriculum di Taylor fa impallidire i più fantasiosi genocidari del vecchio continente, per lo meno in quanto a varietà di crimini e perversione nei metodi. Gli orrori commessi dalle truppe liberiane sono ormai riportati con abbondanza di particolari nelle cronache nostrane, con un rigurgito (ahimè, tardivo) di indignazione di fronte alla crudeltà spietata dei responsabili. Per anni le truppe di Taylor hanno assassinato, mutilato, torturato, violentato e terrorizzato la popolazione civile inerme della Liberia e della Sierra Leone; a questo proposito, è senz’altro un paradosso del sistema internazionale che l’ex presidente liberiano sia accusato per i crimini perpetrati in un paese confinante e non per gli orrori commessi nel proprio.
La strategia di Charles Taylor, sin dalle prime battute del processo, sembra ripercorrere un copione già visto: il primo giorno di udienza l’imputato ha dichiarato di non riconoscere la Corte - a suo dire uno strumento politico con fini persecutori - ed ha abbandonato l’aula licenziando il proprio avvocato difensore. Proprio come il suo illustre predecessore Slobodan Milošević, l’ex presidente liberiano sembra intenzionato a giocare la carta della politicizzazione del procedimento. Anche gli ingredienti saranno con ogni probabilità i medesimi: rifiuto di riconoscere la legittimità del tribunale, vittimismo nazionalista, ostruzionismo giudiziario.
vittimismo nazionalista, ostruzionismo giudiziario: la strategia di Taylor sembra ripercorrere un copione già visto
La speranza è che, almeno questa volta, si riesca ad impedire all’imputato di trasformare l’aula del tribunale dell’Aja in una tribuna politica, un palco mediatico da cui lanciare le proprie invettive contro le Nazioni Unite e il mondo intero. Il caso Milošević - complice anche la fortissima attenzione mediatica sul procedimento – aveva condotto per molti versi a risultati paradossali, come l’aumento di popolarità dell’imputato presso l’opinione pubblica in Serbia.
Nonostante le accuse si limitino ai fatti avvenuti sul territorio della Sierra Leone, l’incriminazione di Taylor costituisce un successo tutt’altro che parziale. Il mero fatto di condurre a giudizio un individuo così influente rappresenta un evento fondamentale, a riprova del ruolo - per molti versi rivoluzionario - esercitato dalle corti nel sistema internazionale contemporaneo.
In paesi in cui non soltanto la legge, ma anche ogni residuo criterio di umanità è stato sovvertito e violato condurre alla sbarra i potenti e i mandanti - coloro che più di ogni altro hanno creduto di agire indisturbati e impuniti - è un risultato straordinario per la giustizia internazionale.
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