Alla ricerca dell’Europa che non c’è

, di Manuela La Gamma

Alla ricerca dell'Europa che non c'è

Seconda conferenza del gruppo Spinelli «European Identity: between myth and reality» (Ulrich Beck e Amin Maalouf).

Come si definisce lidea di Europa e, di conseguenza, lidea di identità europea? Chabod, nella sua "Storia dellidea di Europa", ripercorre le tappe del lungo cammino che, dalla Grecia classica all'Ottocento, ha portato alla nascita e allo sviluppo dell'idea di Europa intesa come coscienza dell'appartenenza a un insieme che non è solo territoriale o politico ma soprattutto culturale. Tale idea nasce sulla base della contrapposizione agli "altri", individuati, di volta in volta, nei persiani, negli sciiti, nei barbari, nei turchi. Alla radice di tale plurisecolare contrapposizione cè essenzialmente un problema di civiltà, che opponeva popoli abituati a vivere nella tirannide e nel dispotismo, come quelli asiatici, a popoli governati, invece, da regimi repubblicani.

Ulrick Beck, noto sociologo tedesco autore di libri di successo quali «Che cos’è la globalizzazione?»e «La società cosmopolita», rigetta completamente la possibilità di una definizione dellidentità in base a ciò che non si è, in base allidea dell"altro da sé". Laltro, secondo Beck, non é diverso da noi, non è accanto a noi, bensì in noi e non può essere escluso.

Questa è la «colpa» dellEuropa: è autoreferenziale, parla troppo di se stessa ma non abbastanza dei suoi cittadini – e con i suoi cittadini. Fatta lEuropa, non si sono fatti gli Europei: ci si aspettava quasi che tale processo avvenisse in automatico – ma non è successo. Il problema fondamentale, continua Beck, è che non si è guardato alla creazione di unidentità europea da una prospettiva cosmopolita, bensì utilizzando le categorie del "nazionalismo metodico"}}, che definiscono lidentità dellindividuo basandosi su categorie del tipo "o….o…". Infatti, in base all'immagine dello sguardo nazionale la cultura viene intesa come unità territorialmente delimitata, introvertita; tra le culture domina il silenzio, e ciò porta al cosiddetto clash of civilisations, allo scontro di civiltà. Al contrario, il cosmopolitismo metodologico pensa e studia la dimensione sociale e quella politica servendosi di categorie del tipo "sia... sia". Adottando unottica cosmopolita in un mondo di crisi globali e di pericoli generati dal progresso le vecchie distinzioni - tra dentro e fuori, nazionale e internazionale, noi e gli altri - perdono il loro carattere vincolante. Pertanto, per sopravvivere c’è bisogno di un nuovo realismo, un realismo cosmopolita.

In sostanza, non si può tentare di comprendere lUE da un punto di vista prettamente nazionale. Se lUE viene intesa come somma di società nazionali, cosè la società europea? Risulta dunque chiaro che lEuropa non possa esistere al di fuori dei Paesi membri: esiste allinterno degli stessi e dei cittadini europei. Il paradosso più palese, continua Beck, è che lUE potrebbe costituire unarena di discussione dove gli interessi dei singoli Stati potrebbero essere portati avanti in maniera migliore e più approfondita. Non bisogna pensare allUE come uno «Stato mancato», come una «nazione incompleta», né si deve avere paura che possa sfociare nella creazione di un «super-Stato»: dalle ceneri delle nazioni, pari ad unaraba fenice, deve nascere unEuropa cosmopolita, il cui processo di integrazione non deve passare tramite l`eliminazione delle differenze; queste ultime non sono il problema, bensì la soluzione. Per il sociologo tedesco, il termine “cosmopolita” andrebbe usato in un’accezione rivista e corretta rispetto al suo significato corrente: diventa così non solo una vaga utopia, ma un nuovo modo di guardare alle cose, di porsi in discussione, di interrogarsi sul senso del mondo sulla mancanza di confini. Diventa uno sguardo quotidiano, vigile e riflessivo, uno scorcio di storia sul brevissimo e breve periodo, in un contesto in cui confini e contraddizioni culturali svaniscono e nasce il concetto di vivere insieme in una cornice multietnica. Secondo Beck, la teoria territoriale dell’identità è un errore fatale ed insieme prigione dell’identità stessa. Per fare in modo che le persone acquisiscano una consapevolezza di sé e una coscienza politica, non è necessario tenerle separate e definirle per contrasto e negazione, men che meno nello spazio ristretto dello Stato-nazione.

Diverso è il background di Amin Maalouf, nato a Beirut ed emigrato in Francia negli anni ’70: una mescolanza di cultura araba e francese. Ex giornalista che si è dedicato interamente alla letteratura, ha pubblicato una decina di romanzi ambientati nel Medio Oriente, in Africa o nel Mediterraneo. Tuttavia, Maalouf condivide le medesime preoccupazioni del Gruppo Spinelli: l’Unione Europea è il “progetto pilota” più grande dei nostri tempi, un vero e proprio laboratorio di integrazione e di democrazia. Il suo successo o il suo fallimento dipendono però interamente da come l’UE riuscirà a gestire le difficoltà nel medio e lungo periodo e come riuscirà a promuovere valori non più individuali, ma universali. La caduta del muro di Berlino ha sconvolto la storia europea, ha sollevato nuove problematiche a cui tuttora non si è riusciti a trovare una soluzione – o solo in maniera molto parziale. L’UE non è riuscita a dare una forma ed un’impostazione definita alla sua politica estera, al suo ruolo di paladino del soft power, alla sua governance economica, alla politica di sicurezza e di difesa. Soprattutto, l’Europa non ha ancora trovato il coraggio di compiere quel salto di qualità che rappresenta al contempo la scelta più coraggiosa: il passaggio alla Federazione. Mancando la volontà politica degli Stati membri, sempre più racchiusi nella nicchia dei loro interessi nazionali, la parola Europa ha perso la sua magia. All’eterno dibattito “meno Europa, più Europa?”la risposta sembra un inevitabile astensionismo durante le elezioni, un pessimismo sempre più accentuato, un raffreddamento delle relazioni Europa - cittadini…che il ratto di Europa, da mito, possa tramutarsi in realtà? Secondo il mito, da Europa e Zeus sarebbe nato Minosse, autore del celeberrimo labirinto … simile a quello dentro il quale si è smarrita la “nostra” Europa, che non sembra più un’emanazione diretta dei suoi cittadini, bensì una pallida ombra di se stessa, un’entità ostinata e contraria, fredda, algida, insensibile, contro la quale schermarsi. Anche Maalouf concorda sul fatto che è mancato il processo di costruzione di un’identità europea, processo che, come ribadito da Beck, si sarebbe dovuto basare sull’appartenenza, sulla coesione, sulla comunità, non sulla differenza! L’identità è un concetto positivo, non un concetto negativo: finché la sua polarità non verrà invertita, le pagine della storia dell’identità europea rimarranno bianche, perché non ne verrà valorizzato il patrimonio culturale e morale condiviso. Quella europea è sicuramente un’identità che abbiamo ereditato, ma ciò non toglie che i “nuovi arrivati”, gli immigrati soprattutto, debbano essere messi nelle condizioni di arricchire ed integrare ulteriormente il nostro patrimonio. Per quanto riguarda la Federazione, se l’UE avesse seguito fin dal principio un percorso federalista simile a quello statunitense, ci troveremmo in una situazione ben diversa. D’altro canto, è innegabile la differenza tra le 13 colonie, unite tra l’altro dal desiderio d’indipendenza dal Regno Unito, e la nostra Unione Europea.

Purtroppo non basta seguire la seconda stella a destra e poi dritti fino al mattino. Il caso dell’Unione Europea è ben più complicato e controverso. Non esistono soluzioni prefabbricate, né formule magiche. Tuttavia, se secondo il credo di Gandhi “dobbiamo essere noi stessi il cambiamento che vogliamo realizzare nel mondo”, spetta a noi per primi, cittadini d’Europa, assumere piena coscienza di noi stessi e della nostra tormentata e controversa identità comune.

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