Quali considerazioni si possono fare all’indomani dell’ultimo vertice Merkel-Sarkozy?
Il vertice franco tedesco svoltosi all’Eliseo il 16 agosto non ha sciolto i dubbi sul futuro dell’euro, né ha preso decisioni tali da poter mettere i paesi dell’Eurozona – ormai Francia inclusa – al riparo dalla speculazione dei mercati. Al di là della retorica espressa nel corso dell’incontro e nella conferenza stampa sull’importanza del rilancio della cooperazione franco-tedesca, non bisogna però sottovalutare il significato di alcuni passaggi delle dichiarazioni fatte dalla Cancelliera Merkel e dal Presidente Sarkozy.
In che senso?
Francia e Germania sono in trappola: è stata una sconsolata Merkel ad ammettere ad un certo punto del colloquio con i giornalisti che la prosperità degli europei non è più garantita nel mondo globale e delle nuove realtà economiche e politiche mondiali del XXI secolo e che solo insieme, Francia e Germania (lasciando intendere che gli altri paesi europei sono ovviamente liberi di unirsi oppure no al rilancio del cuore dell’Eurozona), potranno sperare di affrontare le nuove sfide. Sta di fatto che, nonostante i disperati tentativi di preservare ad ogni costo le rispettive sovranità nazionali, la Francia e la Germania sembrano consapevoli del fatto che non possono disfare quanto hanno contribuito a creare – l’unione monetaria - né, dall’altro lato, possono restare ferme. “Lo status quo è insostenibile” ha ad un certo punto dichiarato Sarkozy.
Tuttavia non sembra essere emerso molto di concreto dal vertice…
Certo. Ma in modo confuso, inadeguato, intempestivo, la Francia e la Germania si trovano costrette a cercare di rilanciare il loro ruolo motore nell’Europa e, in particolare e più esattamente, nell’Eurozona. Sono i fatti che le stanno costringendo ad accettare l’amara medicina – per loro – che l’interesse (nazionale) di salvare l’euro coincide ormai sempre più con il dovere di assumersi delle responsabilità (europee) per consolidare economicamente, fiscalmente e politicamente l’Eurozona.
Ma sugli Eurobonds continuano a prevalere veti e timori
Sulle aspettative deluse dei mercati e dei più sulla pochezza delle nuove proposte concrete avanzate ufficialmente nella lettera a Van Rompuy – che tra l’altro non prevedono nell’immediato né un aumento della capacità del fondo salva Stati, né l’emissione di eurobonds, in attesa che sia il Fondo europeo ad incominciare discretamente a farlo in autunno, lasciando ancora una volta alla sola BCE il compito di arginare come e finché potrà gli attacchi contro Grecia, Portogallo, Italia e Spagna -, molto si può leggere su tutta la stampa europea. Si tratta di commenti e critiche largamente condivisibili e che tra l’altro rispecchiano quanto i federalisti europei rivendicano proprio in termini di euro obbligazioni, euro tasse, risorse di bilancio europeo ecc.
Ma è sul terreno delle incognite politiche, accennate e irrisolte dalla Merkel e da Sarkozy, che sarebbe opportuno spostare l’attenzione se si vuole portare il dibattito sul futuro dell’euro e dell’Europa sul terreno della mobilitazione delle forze politiche, sociali e dell’opinione pubblica: i pareri degli esperti o dei centri studi non bastano per spostare gli equilibri. Da questo punto di vista i commenti ed i resoconti usciti dopo questo vertice non aiutano a cogliere il senso di urgenza che invece si percepisce ascoltando alcuni passaggi della conferenza stampa congiunta Merkel-Sarkozy.
Bisognerebbe incominciare a sfidare la cancelliera Merkel ed il Presidente Sarkozy partendo dalle loro stesse affermazioni, denunciando la contraddizione tra la necessità da loro più volte ribadita di un cambiamento di passo e di ritmo di integrazione nell’Eurozona, e l’assenza di un disegno politico coerente.
A che cosa ti riferisci?
Ci sono due passaggi in particolare nella conferenza stampa che, secondo me, sono indicativi della consapevolezza delle insufficienze istituzionali a livello europeo che impediscono l’instaurazione di quel governo economico dell’Eurozona tanto invocato da Sarkozy ma alquanto indefinito istituzionalmente. Delle due l’una: o siamo di fronte ad un gioco delle parti dei due governi francese e tedesco per guadagnar tempo in attesa della definizione e del lancio di una iniziativa politica nei prossimi mesi, tenendo buoni nel frattempo i malumori e le opposizioni nei rispettivi campi rispetto a qualsiasi ulteriore cessione di sovranità; oppure siamo in presenza di una drammatica assenza di idee.
In ogni caso, in entrambi i casi, spetta alle forze politiche, sociali e culturali e alle componenti più consapevoli della gravità della situazione nelle varie istituzioni europee e nazionali, far pressione perché si imbocchi la strada di una più stretta unione politica, fiscale ed economica nell’Eurogruppo: pena l’aggravarsi della crisi e il tramonto di qualsiasi prospettiva di crescita e sviluppo (anche per la Germania a questo punto) per un periodo di tempo indefinibile.
Quali sono questi passaggi?
Il primo è circa a metà conferenza stampa, in risposta ad una domanda di un giornalista di una televisione tedesca sull’assenza di qualsiasi riferimento agli eurobond nel comunicato franco-tedesco. La Merkel ha liquidato la questione ribadendo semplicemente che non la ritiene la “panacea” adeguata. Più articolata la risposta di Sarkozy, che dimostra come in questa fase, per la situazione di fragilità in cui si trova la Francia, ci sia un dibattito in corso dietro le quinte dell’amministrazione a Parigi.
Sarkozy ha in sostanza detto: “Gli eurobond dovrebbero servire a garantire la tripla A al debito di tutti i paesi dell’Eurozona. Ma emetterli significherebbe garantire tutto il debito dell’Eurozona senza avere alcun potere di governo sulla spesa e la creazione del debito nei singoli paesi. Per questo bisogna prevederli alla fine e non all’inizio del processo di unificazione europea. Come potremmo giustificare di fronte ai nostri popoli (francese e tedesco) il fatto che ognuno potrebbe indebitarsi indefinitamente contando sulla garanzia automatica degli altri partner (più virtuosi)? Potreste dirci: impedite ai paesi di continuare ad indebitarsi troppo. Il fatto è che allo stato attuale delle istituzioni europee, non abbiamo alcuna legittimità democratica per farlo”.
Ora, è abbastanza singolare che Sarkozy consideri la condizione del processo di unificazione europea ancora solo agli inizi, dopo oltre sessant’anni di integrazione, non specificando quale dovrebbe essere lo sbocco di questo processo, per poi denunciare l’assenza di un sistema di legittimazione democratica a livello europeo - riecheggiando in ciò le parole della Corte tedesca. Salvo poi proporre, insieme alla Merkel, di imporre delle riforme costituzionali nazionali a tutti i 17 paesi dell’Eurozona attraverso una regia chiaramente poco democratica come quella franco-tedesca!
Se c’è, come in effetti c’è, un problema di legittimazione democratica di un governo economico dell’Eurozona – una questione diventata d’attualità anche in Italia, dopo il commissariamento, inevitabile, del suo sistema di governo del bilancio – perché non affrontarlo e risolverlo?
Se la composizione ed il funzionamento dell’attuale Parlamento europeo, l’unica istituzione eletta a suffragio universale a livello sovranazionale, non sono tali da garantire tuttora pienamente questa legittimità, perché non vengono fatte delle proposte istituzionali – su questo anche il Parlamento europeo dovrebbe incominciare a riflettere - per superare questa anomalia, pretendendo invece che la legittimazione democratica continui a manifestarsi solo a livello nazionale?
E il secondo passaggio?
Alla fine della conferenza stampa, per rispondere alla domanda di un giornalista dell’Handelsblatt sulla necessità di riformare il trattato di Lisbona, sia la Merkel sia Sarkozy sono in evidente difficoltà. La domanda è chiara e netta e si può così riassumere: “il Trattato di Lisbona ha lasciato la sovranità fiscale e di bilancio agli Stati, fatto questo inconciliabile con le vostre proposte di creare un governo economico dell’Eurozona. Non sarebbe il caso di riformarlo?”.
La Cancelliera Merkel ha risposto in termini vaghi: “se vogliamo salvare l’euro occorrono riforme, ma non credo che il problema delle riforma del Trattato di Lisbona sia all’ordine del giorno, anche se non lo escludo in futuro”.
Così ha invece risposto il Presidente Sarkozy: “Il Trattato di Lisbona è per i 27. La complessità dell’architettura europea è ormai straordinaria. Ci saranno altri appuntamenti istituzionali, altre evoluzioni… Ma oggi l’emergenza riguarda i 17, un’emergenza che ci impone di andare verso una integrazione economica rafforzata dell’Eurozona. Il dibattito del passato che opponeva i sostenitori della confederazione a quelli della federazione europea non è più attuale.
Ormai è chiaro: l’Europa dei 27 e dei 30 e più andrà verso una confederazione. Ma chi può impedirci, nell’Eurozona, dove abbiamo una moneta unica, di marciare verso l’integrazione economica? Siamo di fronte ad un cambiamento di concezione [del processo di unificazione europea]”. A questo punto ci si aspettava che venisse allora precisata una proposta di progetto federale franco-tedesco per l’Eurozona, visto che al di fuori di questa prospettiva si finirebbe per ricadere nel più diluito e lasso quadro confederale di cui parla Sarkozy. Ma a quel punto la conferenza stampa è stata chiusa.
Che aspettarsi dunque?
Il MFE non aspetta. Il MFE si è attrezzato per tempo con una Campagna per la federazione europea che risponde, sul piano degli sbocchi del processo di unificazione, proprio a molte delle contraddizioni irrisolte che né la Francia, né la Germania, sembrano ancora voler affrontare e sciogliere.
D’altra parte, decidendo di lanciare un’Iniziativa dei cittadini europei per sfidare le forze politiche e sociali e per mobilitare l’opinione pubblica europea per un vero piano per la crescita e lo sviluppo sostenibili – impossibili senza il reperimento ed il governo di risorse finanziarie e fiscali adeguate -, il MFE potrà giocare, insieme ad altri soggetti evidentemente (a partire dal Movimento europeo e dall’UEF e dalla JEF) un ruolo fondamentale nel far crescere la partecipazione democratica dei cittadini e la pressione popolare sui governi e sulle istituzioni nazionali ed europee.
In ogni caso non bisogna dimenticare che nei momenti di crisi profonda in cui la Francia si è trovata praticamente con le spalle al muro, il suo governo ha dovuto cercare un rilancio sul terreno europeo (come ai tempi della decisione dell’elezione diretta del Parlamento europeo e della creazione della moneta europea): è un fatto documentato dagli archivi, resi pubblici, del vecchio Quai d’Orsay (si veda su Il Federalista, Anno LI, 2009, Numero 3, Pagina 197, IL 1989 E IL DIBATTITO SUL NUOVO QUADRO DELL’INTEGRAZIONE EUROPEA).
Certamente oggi il quadro è più complesso: la Germania per esempio ha un peso diverso – maggiore - in Europa rispetto al passato. Ma l’azione dei federalisti nei diversi paesi dovrebbe appunto servire anche ad influenzare le loro classi politiche nel senso di favorire, o perlomeno di non di ostacolare, avanzamenti sulla strada della federazione. La sfida è aperta.
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