Dalla missione «civilizzatrice dell’uomo bianco» all’unificazione politica dell’Africa (II)

, di Elena Montani

Dalla missione «civilizzatrice dell'uomo bianco» all'unificazione politica dell'Africa (II)

La prima parte di questo articolo è qui

L’unità dell’Africa e la nascita di un nuovo attore mondiale

All’epoca della decolonizzazione l’euforia generalizzata che si espandeva negli stati di nuova indipendenza nel continente africano era dettata da una convinzione profonda che fosse finalmente giunta per i popoli africani l’indipendenza nel senso pieno della parola, ovvero la possibilità di gestire il proprio destino in modo libero rispetto ad influssi esterni. Gli anni ’60 sono stati vissuti in Africa con giubilo, come il momento in cui sarebbero terminati per sempre i “secoli degli altri” – per usare un’espressione dello storico africano Joseph Ki-zerbo -, i popoli africani avrebbero riconquistato la propria dignità e sarebbero finalmente usciti dai numerosi problemi che li assillavano. [1] Ma la storia che è seguita ha mostrato che purtroppo le attese non sono state soddisfatte.

L’Africa agli africani

I movimenti per l’indipendenza dei paesi africani avevano le proprie radici nell’idea che l’Africa dovesse tornare agli africani come conseguenza logica del principio che gli africani dovessero ritornare in Africa. Back to Africa era lo slogan coniato per indicare la necessità di riunire tutti i neri del continente e della diaspora in una grande patria, idea accompagnata dal punto di vista letterario dal movimento della cosiddetta negritude, nato a Parigi tra gli anni ’20 e gli anni ’30 del secolo scorso. La decolonizzazione e il panafricanismo sono idee strettamente correlate. Come precedentemente accennato, il continente africano si è trovato unito nel suo essere un continente “di altri” per cinque secoli, che lo hanno reso una comunità di destino, ed è proprio nel momento di liberarsi da questi “altri” che esso ha espresso maggiormente l’esigenza di unirsi. Nel periodo della decolonizzazione, il panafricanismo era un’idea cardine presente nei dibattiti sul futuro assetto dell’Africa. Come alla fine del 1700 per le ex-colonie britanniche d’America, si poneva negli anni ’60 per le ex-colonie europee d’Africa la questione di come preservare l’indipendenza finalmente conquistata dallo straniero. I padri del panafricanismo – Senghor, Nkrumah, Nyerere, Kenyatta, tra gli altri – ai quali si devono i primi tentativi di realizzazione dell’unità africana nel 1944 (Pan Africa Federation) e nel 1945 (5° congresso panafricano di Manchester), si batterono all’inizio degli anni ’60 per la realizzazione degli “Stati uniti d’Africa”. Quando trenta stati neo-indipendenti africani si riunirono nel 1963 ad Addis Abeba per discutere del futuro assetto istituzionale del continente, Nkrumah lanciò un appello agli altri capi di stato a sostegno dell’unità, affermando che: “I nostri problemi attuali non possono essere risolti né con azioni sporadiche né con imploranti risoluzioni. Non ci vorrà niente di meno che l’azione unitaria di un’Africa unita. [..] La nostra indipendenza economica dipende dall’Unione dell’Africa.” [2] Ma il fatto che l’indipendenza dell’Africa non dipendesse tanto dall’indipendenza di ogni singolo stato ma dalla creazione di un’entità sopranazionale federale non fu accettata dagli altri capi di stato. Contrariamente alle 13 ex-colonie americane, che per rafforzarsi e liberarsi per sempre dall’influenza della madrepatria si unirono in una federazione, tra i neo-leader africani prevalsero gli egoismi e gli interessi particolaristici di chi non voleva perdere un potere appena conquistato. Il compromesso che uscì da Addis Abeba fu infatti il minimo comun denominatore, ovvero la costituzione di una lega di stati che prese il nome pomposo di Organizzazione dell’Unità Africana (OUA), e che altro non era che una confederazione che fondamentalmente manteneva lo status quo del rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale degli stati, e l’intangibilità delle frontiere ereditate dal colonialismo. Gli stati africani perpetuavano di fatto la divisione del continente stabilita a tavolino alla Conferenza di Berlino del 1885 dalle potenze europee, ereditando degli stati deboli e frammentati che non si erano mai omogeneizzati e rafforzati in singole identità nazionali.

Integrazioni regionali

L’integrazione sovranazionale in Africa ha trovato però una seconda via, quella delle integrazioni regionali. Di fronte ad un’organizzazione continentale molto debole ed assolutamente incapace di affrontare i maggiori problemi del continente, e, contemporaneamente, di fronte all’esigenza sempre più evidente di unirsi per affrontare problemi comuni che la divisione non faceva altro che acutizzare, gli stati africani hanno dato vita negli anni seguenti a diverse forme di integrazione su base regionale, che in molti casi hanno trascritto nella propria carta costitutiva l’esplicito obiettivo di integrazione politica e che, in alcuni casi, sono già giunti alla creazione di mercati comuni e addirittura unioni monetarie. Citiamo brevemente: la Comunità dell’Africa dell’Est (EAC), la Comunità economica degli stati dell’Africa dell’ovest (ECOWAS), la Comunità economica degli stati dell’Africa centrale (CEEAC), il Mercato comune per l’Africa dell’Est e del Sud (COMESA). Se a questi aggiungiamo l’Autorità Intergovernativa per lo sviluppo (IGAD, nell’Africa orientale), la Comunità di sviluppo sudafricana (SADC), e la stesa Lega Araba, tra gli altri, emerge evidente una delle principali debolezze del sistema di integrazioni regionali africano: quello che in inglese si definirebbe con il termine efficace di overlapping, ovvero la sovrapposizione territoriale di diverse organizzazioni, e quindi la difficoltà di terminare il percorso di unificazione politica per ciascuna di esse.

Verso gli Stati Uniti d’Africa

Lo sviluppo delle integrazioni regionali è stato accompagnato, in particolare dalla fine della guerra fredda, da un rilancio dell’ideale dell’unificazione continentale. Gli stati membri dell’OUA (che si è gradualmente estesa fino a comprendere quasi tutti gli stati africani) hanno dichiarato nel 1999 – nella cosiddetta Dichiarazione di Sirte [3] – la necessità di accelerare il processo di integrazione del continente. Nel 2000 fu così costituita l’Unione Africana (AU), che prese vita nel 2002 sostituendo la vecchia ed annacquata OUA, ormai inadeguata alle esigenze del continente e ai ritmi imponenti della globalizzazione internazionale.

... dalla fine della guerra fredda l’integrazione regionale è stata accompagnata a quella ideale continentale ...

L’Unione Africana dichiara esplicitamente tra i suoi obiettivi il “raggiungimento di una sempre maggiore unità e solidarietà tra i paesi e i popoli d’Africa” e l’ “accelerazione dell’integrazione politica e socio-economica del continente” [4] . L’accento posto sui popoli non può fare a meno di ricordarci la famosa dichiarazione di Jean Monnet, che ha racchiuso in un motto ormai celebre il significato dell’integrazione europea: “Noi non coalizziamo degli stati, ma uniamo uomini” [5] . Anche la struttura istituzionale adottata richiama l’assetto istituzionale dell’Unione europea, con la presenza di un Consiglio esecutivo composto dai ministri degli stati membri, un’Assemblea come supremo organo dell’Unione composta dai Capi di Stato e di Governo, la Commissione, responsabile dell’esecuzione e della gestione quotidiana delle politiche dell’UA, un Parlamento Pan Africano (PAP) e una Corte di Giustizia. A questi si aggiungono un Comitato che rispetto al suo corrispettivo ECOSOC europeo (Comitato economico e sociale) si occupa anche del settore culturale, la Banca centrale africana, la Banca degli investimenti ed il Fondo Monetario, oltre ad altri comitati tecnici.

... un dibattito all’ordine del giorno seppur la federazione africana sia ancora lontana ...

L’ideale della federazione africana è ancora lontano dall’essere stato raggiunto, ma il dibattito è all’ordine del giorno, ed è ormai evidente che esso riguarda il destino dell’Africa non solo per quanto riguarda i rapporti tra gli stati africani, ma il futuro ruolo geopolitico del continente nello scacchiere mondiale e la sua capacità di gestire consapevolmente il processo di globalizzazione, diventando attore consapevole e abbandonando la posizione di vittima impotente. La creazione dell’Unione Africana è stata certamente un passo fondamentale in questo senso, e l’obiettivo degli Stati Uniti d’Africa è stato esplicitato nella Dichiarazione adottata ad Accra nel 2007, ma permane un dibattito acceso sia sulla strategia da adottare sia sulla forma effettiva che l’Unione e il suo futuro governo debbano assumere. Due questioni sono al centro della contesa, che divide i 53 stati membri dell’UA: il ruolo e la razionalizzazione delle (ormai 14) integrazioni regionali rispetto all’UA e l’integrazione economica del continente [6]. Entrambe le questioni, sicuramente fondamentali per il futuro assetto continentale, sembrano tuttavia essere utilizzate in maniera strumentale dagli stati che di fatto si oppongono ad una vera unificazione politica del continente per rimandare a tempo indeterminato l’atto di nascita degli Stati Uniti d’Africa. In un articolo pubblicato il 26 gennaio su un quotidiano libico, Mbita Chitala, Ambasciatore dello Zambia in Libia, sottolinea la «necessità e inevitabilità di uno stato federale africano». Nel suo accorato appello rivolto ai leader africani in occasione di un summit dell’UA, l’ambasciatore sostiene: «E’ un’inevitabilità storica che l’Africa debba prima di tutto unirsi politicamente sotto un unico Stato affinché possa avvenire un significativo progresso che le permetta di avere un ruolo equo nella comunità globale», e continua invitando ad abbandonare la regola dell’unanimità degli stati membri – definita come «utopistica» – e di realizzare l’unificazione lasciando da parte gli stati che si oppongono.

Conclusioni

L’epoca dei paternalismi è finita, l’Africa è pronta a riappropriarsi del suo destino, e l’impressionante velocità con cui sta procedendo alla sua unificazione – per la gran parte ancora sconosciuta in Europa e nel resto del mondo – è una dimostrazione evidente. L’Africa deve unirsi per rafforzare la sua economia, per la pace e la sicurezza del continente, per gestire al meglio i problemi del cambiamento climatico e delle malattie che sterminano ogni anno milioni di africani.

... l’epoca dei paternalismi è finita ...

Ma soprattutto, l’Africa deve unirsi per far comprendere al mondo che è pronta a co-operare con gli altri attori mondiali, e che la cooperazione può avvenire solo in un mondo in cui gli attori sono alla pari, ognuno con la sua dignità, la sua ricchezza culturale, economica e storica da scambiare in un gioco che non sia già prestabilito. Gli stati africani non si sono mai trasformati in stati nazionali, e quello che sembrava poter diventare un Risorgimento africano non si è concluso all’epoca della decolonizzazione. Il vero Risorgimento africano, la vera sfida da cui dipenderà l’indipendenza e la libertà del continente, risiede oggi nell’unificazione politica del continente.

ARTICOLO TRATTO DA PIEMONTEUROPA, RIVISTA A CURA DELLA FORZA FEDERALISTA PIEMONTESE.

Fonte dell’immagine: World Wide Web

Parole chiave
Note

[1Jean-Léonard Touadi, L’Africa in pista, Società Editrice Internazionale, Torino, 2006.

[2Cit. in Guido Montani, Il terzo mondo e l’unità europea, Guida Editori, 1979.

[3La Dichiarazione di Sirte è il primo atto formale che decreta la nascita dell’Unione Africana. E’ stato firmato a Sirte, in Libia, il 9 settembre 1999.

[4Dal sito ufficiale dell’Unione Africana, sessione “The Objectives of the AU”; corsivo dell’autore.

[5Discorso pronunciato a Washington il 30 aprile 1952.

[6Nel 1991 l’OUA, con il Trattato di Abuja, ha creato la African Economic Community.

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