La sua ultima opera «Défense européenne, la grande illusion» ha il gran merito di essere chiara e senza fronzoli in un ambito dove la realtà sul campo sparisce troppo spesso sotto i discorsi fatti dai politici. Egli espone, con dei termini che il comune mortale può comprendere, dei problemi che si pongono da decenni per la realizzazione di un’ «Europea della difesa». In 120 pagine, egli tocca tutti i temi: programma di armamenti, interventi all’estero, uso dell’arma atomica, reattività operativa…L’opera gioca in tono polemico, mettendo di nuovo in causa i grandi discorsi europei che talvolta nascondono formule vuote, o peggio, della polvere sugli occhi. Egli smonta tranquillamente gli idealisti europei, che troppo spesso prendono i loro desideri per la realtà. Ma, spinto da un ardore da giustiziere, il libro confonde a volte degli aspetti molto diversi della difesa europea e li mette tutti nello stesso sacco.
La Francia è da molti anni impegnata in teatri lontani e violenti, ma il bilancio della Difesa non cessa di essere rivisto al ribasso. La necessità di disporre di strumenti all’avanguardia e nel contempo comuni alle nazioni europee potrebbe portare a trovare la soluzione nella messa in opera di una politica comune dei programmi d’armamenti. Secondo l’autore, questa soluzione non sarebbe che un’illusione. Il caso del Rafale francese rispetto all’Eurofighter è presentato come la prova dell’inefficacia dei programmi europei d’armamenti. Il costo di un Rafale, programma franco-francese è di 135M € per aeroplano. L’Eurofighter, programma britannico, tedesco, spagnolo e italiano sarebbe il 50% più caro. Il programma A400M, aereo di trasporto militare di Airbus, è presentato come “un’immensa sciocchezza”, che volendo soddisfare tutti i committenti si trova incapace di funzionare. Effettivamente, si ha di che interrogarsi. Ma l’elicottero NH90, altro programma europeo, malgrado il suo successo commerciale (529 esemplari commissionati), è denigrato dall’autore perché i paesi clienti desiderano “delle versioni diverse” per rispondere ai loro bisogni specifici. In questo settore, che questo accada non è nulla di straordinario, e ci si può chiedere perchè sia classificato tra i fallimenti. Una conclusione che a nostro avviso è un po’ troppo semplicistica.
In effetti, Jean-Dominique Merchet dispone di esempi solidi per criticare i programmi europei di armamento. Ma bisogna sottolineare che sono in primo luogo intergovernativi. L’Unione europea non può dire la sua sulla realizzazione di questi equipaggiamenti e l’Agenzia europea degli armamenti, creata nel 2004, non gioca un ruolo centrale. Questi dossier sono assegnati e gestiti dagli Stati che non si augurano in ogni caso che la Commissione o il Parlamento europeo intervengano nei loro affari. Ci si può d’altronde domandare cosa significhi davvero la parola “europeo”, per le numerose tecnologie usate sviluppate fuori dell’Europa.
Sulla difesa nucleare l’autore ritorna sul suo approccio : “ci sono delle armi nucleari in Europa, ma esse non sono europee. Francesi, britanniche o americane, tutte contribuiscono alla difesa dell’Europa restando in mani nazionali”. Ancora una volta ci si può interrogare sulla critica: la forza nucleare resta il bastione della sovranità e dell’indipendenza nazionale, è sorprendente presentare questa come una debolezza dell’Europa.
Le operazioni esterne dell’UE
Le operazioni esterne dell’UE mostrano bene la Politica estera e di sicurezza comune dell’Unione. L’autore ironizza, un po’ semplicisticamente, sui contingenti europei eterocliti che sono stati forniti alle diverse operazioni all’estero dell’UE in Ciad, Congo e nei Balcani. I contingenti slovacchi, albanesi, croati o lettoni che si innestano in queste operazioni sono spesso rappresentanze simboliche e assomigliano a gesti politici. Ma ciò che accomuna tutte le operazioni esterne internazionali, è che esse sono sotto l’autorità dell’ONU, della NATO o dell’UE.
D’altra parte, l’autore qualifica i progetti Atalanta (operazione anti-pirateria), l’Erasmus della Difesa (formazione di ufficiali), Musis (osservazione spaziale) dei “piccoli progetti utili che non cambieranno la faccia dell’Europa”. Dobbiamo pensare che questi “piccoli” progetti che funzionano sono inutili e che i “grandi” progetti, votati all’insuccesso secondo l’autore, sarebbero vani?
Nella sua conclusione, Jean-Dominique Merchet mette in guardia: “l’attaccamento viscerale di una parte dell’opinione pubblica, in particolare delle elite socio-culturali, al progetto europeo è un fatto talmente incontestabile quanto la vanità di una difesa comune”. Ma egli dimentica, un poco facilmente, che l’Europa, sia quella della Difesa o di un altro settore, non è altro che il risultato delle politiche degli Stati Membri. Troppo spesso in questa opera, è fatta confusione tra l’Unione europea e le cooperazioni internazionali e intergovernative. A difesa dell’autore, una tale confusione è purtroppo abituale e non può che portare il cittadino fuori strada.
Rimane il fatto che questo libro solleva un buon dibattito, delle vere questioni, che meriterebbero di essere più spesso trattate nei nostri giornali. Apprezziamo dunque un’opera che vuole rimettere i fatti in primo piano e permette di sottolineare che la Difesa non è un lusso.
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