La giornata del 6 settembre 2012 sarà ricordata come cruciale – se non storica – non solo per la salvezza dell’eurozona, ma per la stessa costruzione di un’Europa politica.
Draghi, nel suo famoso discorso del 2 agosto, annunciò una strategia ‘interventista’ sulla base di un concetto fondamentale: «Gli spread sovrani rientrano nel nostro mandato, nella misura in cui bloccano il funzionamento dei canali di trasmissione della politica monetaria». Che cosa intendeva dire? Che se i tassi reali continuano a crescere nei Paesi deboli, malgrado le riduzioni operate dalla BCE, allora vuol dire che quest’ultima è privata del principale strumento di politica monetaria a sua disposizione. Di conseguenza la BCE ‘si sente autorizzata’ ad operare a tutto campo («senza tabù») per salvaguardare questa sua funzione istituzionale. E che vuol dire operare senza tabù? Vuol dire tante cose, tra queste anche la più indigesta ai teorici del “rigore monetario”: gli acquisti senza limiti dei titoli pubblici dei Paesi in difficoltà.
Questa politica interventista è giustificata da una divaricazione che si è operata all’interno dell’eurozona tra Paesi in cui il credito ‘costa’ il 2% ed altri in cui costa il 7-8%. È questo l’effetto più concreto della questione dello spread. Un costo del credito così alto ha effetti micidiali per tutti. Per lo Stato italiano, ad esempio, significa che tutte le risorse recuperate con la lotta all’evasione fiscale, con i risparmi della spending review, ecc. vengono letteralmente ‘mangiate’ dal maggior costo del servizio del debito che l’Italia deve pagare per il rischio ‘eurolandia’. Per le imprese italiane o spagnole significa che queste, dovendosi finanziare a tassi 2-3 volte superiori a quelli delle imprese tedesche, olandesi o finlandesi, perdono continuamente competitività nei confronti di quest’ultime e che, pertanto, saranno sempre più indotte a comprimere il costo del lavoro. Per i cittadini dei Paesi in difficoltà significa avere mutui e prestiti a tassi sempre 2-3 volte superiori a quelli dei Paesi c.d. virtuosi, con conseguenze negative, ad esempio, sui ‘progetti di vita’ della giovani generazioni.
Questa divaricazione all’interno dell’Eurozona – è bene dirlo chiaramente – è stata il frutto della dissennata politica imposta dalla Germania in questi anni, una sorta di neo “ideologia tedesca” il cui fondamento è: “la crisi dell’euro è dovuta al fatto che alcuni Paesi non hanno fatto le giuste riforme strutturali ed ora devono fare i compiti a casa. Sarà il mercato a dire quando le cose andranno a posto”. Il problema è che il mercato – per sua natura - ha la vista corta e quindi non può che penalizzare continuamente chi ‘pur facendo i compiti, non riesce a prendere un bel voto, perché gli esami sono posti ad un livello sempre maggiore di difficoltà’. La divaricazione finanziaria e poi economica è stata, dunque, la conseguenza di una scelta politica sbagliata, che ha finito per favorire i c.d. Paesi ‘virtuosi’ e penalizzare i c.d. ‘Paesi spendaccioni’. Come se una maestra volesse portare avanti solo gli alunni bravi ed penalizzare quelli che seguono con difficoltà: così si è comportata la signora Merkel.
Di fronte al fallimento, sotto gli occhi di tutti, di questa politica Draghi ha imposto la svolta, anche contro il parere del suo azionista maggiore (la Bundesbank), che è stato messo in minoranza. Nella conferenza stampa Draghi ha ufficializzato le caratteristiche dell’intervento:
1) La BCE acquisterà in forma illimitata – cioè senza ‘tetti prefissati’ - sul mercato secondario bond sovrani con scadenza da 1 a 3 anni dei Paesi che ne faranno richiesta.
2) Questi acquisti saranno ‘sterilizzati’ (cioè la BCE ridurrà la massa monetaria in circolazione per un importo pari all’intervento di acquisto di titoli effettuato), al fine di evitare effetti inflazionistici.
3) Gli acquisti saranno ‘condizionati’, cioè partiranno solo dopo che al Paese beneficiario sarà stato attivato o un piano di aiuti vero e proprio, con un piano di aggiustamenti e riforme, o una sua versione ammorbidita per i Paesi che hanno piani già in corso (come l’Italia, ad esempio).
Questo scelta interventista non ha però solo una valenza ‘tecnica’, che ha comunque un forte impatto sulla crisi economica e sociale, come sopra evidenziato. Ha anche una forte valenza ‘politica’, se si tiene presente che:
a) Con una decisione presa a maggioranza, contro il voto della Buba, si è sanzionata la preminenza dell’interesse europeo su quello del Paese-guida della UE. Questa è una ‘rivoluzione’! Vuol dire che, d’ora in poi, anche i Paesi forti possono essere messi in minoranza, che i voti si contano (come in democrazia) e non si pesano più (come nelle oligarchie).
b) La BCE, che al momento è l’unica istituzione federale della UE, aumenta il proprio potere. Acquistando, detenendo o vendendo titoli di stato, può condizionare più di prima la politica di bilancio dei singoli Paesi. Nel vuoto di potere che c’è attualmente in Europa la BCE assurge al ruolo di ‘federatore de facto’ dell’Eurozona. Non è un caso che Draghi abbia detto ripetutamente che questa va ricostruita, a fronte dell’attuale disgregazione.
c) Una BCE più forte accelererà la creazione dell’Unione Bancaria (con poteri di vigilanza federale assegnati alla stessa BCE) e della stessa Unione di Bilancio o Fiscale, dal momento che si profila, nei fatti, l’emergere della stessa BCE come lender of last resort (prestatore di ultima istanza).
Tutto ciò non potrà non avere conseguenze sulla stessa Unione economica ed Unione politica, prefigurata nel documento dei “Quattro Presidenti” (Van Rompuy, Barroso, Junker e Draghi), se la politica vuole avere ancora un ruolo.
Infine, questo aumento di potere della BCE – che non va demonizzato, perché si auto-attribuisce un compito essenziale (finora mancante), tipico di ogni banca centrale – deve essere controbilanciato, nell’immediato, dalla nascita di un ‘Governo europeo dell’economia’, in attesa che, nelle prossime elezioni del 2014 possa nascere un vero ‘Governo europeo’, frutto del voto dei cittadini europei.
È tempo, dunque, che si dispieghi tra le forze democratiche e progressiste una battaglia per la ‘Democrazia europea’, vero veicolo per la nascita, con il Governo federale, della stessa Federazione europea.
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