Il nome non dice molto ai non addetti ai lavori: Enzo Collotti è uno storico della contemporaneità (classe 1929) che si racconta nell’intervista-biografia Impegno civile e passione critica, curata da Mariuccia Salvati ed edita da Viella. È un uomo che si presenta con una biografia improntata ad un umanesimo decisamente made in Europe.
Comincia tutto con una “casa” particolare. "Il luogo di formazione per eccellenza di Enzo è Trieste”, spiega la curatrice del volume (pagina 13). Non è un caso che luogo di formazione e famiglia siano in grado di passargli l’amore per la Cultura e le culture di un mondo variegatissimo. Cittadine italiane con nomi sloveni (e viceversa), pietanze e dolci e liquori con nomi di ambo le lingue da ambo le parti della frontiera, palazzi neoclassici e chiese turrite, il crogiolo di tre mondi – latino, slavo e germanico –: tutto questo è Trieste coi suoi dintorni. Ma è anche una terra (ancora oggi) di convivenze asprigne; una terra che ricorda un elevatissimo tributo di sangue in due guerre, le rappresaglie, le foibe. Sono miserie che restano scolpite negli occhi del Collotti ragazzo. Insieme ad una domanda: com’è possibile che la stessa cultura che ha prodotto l’illuminismo abbia prodotto anche il nazismo? Sotto inchiesta vengono a trovarsi di colpo i nazionalismi degli anni Trenta e Quaranta, “paradosso e scandalo” della civiltà europea.
Da queste due ferite (tradimento dell’Intelligenza di un popolo, tradimento del “mondo variegatissimo”) comincia la Beruf dello storico. Beruf, non “professione”. Perché la parola italiana “professione” non rende il senso del lavoro come missione di una vita. Insomma, al vocabolo italiano manca l’influenza dell’etica protestante tedesca – quel mondo tedesco che, pur avendo accettato il nazismo, Collotti ama tanto. La curatrice del volume riconosce quest’elemento della vita dello storico e lo sottolinea in rosso.
Missione (Beruf): indagare i due tradimenti. Strumento: libri, archivi, conferenze... E il luogo di indagine? L’Europa, naturalmente. Trieste è solo il porto di partenza per una vita di viaggi. Perché, anche se si vuole capire il passato e criticarlo (così, ad esempio, in La Germania nazista, del 1961, e in Fascismo fascismi, del 1989), è implicito un interrogativo sul futuro: “Appartengo alla generazione (...) che ha vissuto la lacerazione del sangue d’Europa e che in questa lacerazione ha imparato a interrogarsi sul destino dell’umanità e dell’Europa” (pagina 27 della biografia).
E la politica? Enzo Collotti ha una sua precisa collocazione: la socialdemocrazia e la sinistra internazionale. Internazionale, appunto. Perché, agli occhi di Collotti, socialdemocrazia è giustizia sociale ma è anche cultura, arte, musica (le sue passioni giovanili, ricorda Salvati) vissute come bene cosmopolita dell’uomo: una repubblica universale dello spirito. In questo, egli non si richiama tanto al pensiero di Marx (quando l’intervistatrice e curatrice del volume gliene chiede la ragione, Collotti glissa la domanda), quanto, piuttosto, a un certo clima intellettuale tedesco fiorito tra le due guerre: la sfortunata vicenda della Repubblica di Weimar, la cui Costituzione era stata oggetto della sua tesi di laurea in Giurisprudenza.
La politica pone però un problema. È vero che, per Collotti, sono fascismo e nazismo le due facce dell’unica ideologia che ha sradicato il connubio di politica, cultura, visione internazionale ed intertestuale del mondo. Tuttavia, la stessa sinistra europea (particolarmente quella di matrice marxista), leggendo unilateralmente la storia come storia della struttura economica, avrebbe nuociuto all’interdisciplinarietà e all’umanesimo che le erano connaturate. Non solo. Collotti rimprovera anche a questa sinistra pedante e miope di non aver compreso, almeno per tempo, l’importanza di un’integrazione europea al di là dei due blocchi post-bellici.
A Enzo Collotti, storico ed individuo, si può quindi strizzare un occhio federalista. Per tre ragioni. Perché non conosce mezzi termini nel condannare i nazionalismi ed esaltare chi esalta la multiculturalità. Perché se vogliamo costruire, oltre agli Stati Uniti d’Europa, anche un sentimento popolare dell’essere statunitensi europei - e lo vogliamo - questa è una biografia esemplare sull’essere e sul farsi europei. E perché Collotti ha provato almeno una volta nella vita - e ce lo dimostra ampiamente - quello straordinario momento in cui mondo dell’arte e politica e storia, lasciati maturare nella mente dell’individuo, si legano finalmente in un unico filo.
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