«C’è un solo modo per evitare grandi delusioni: non farsi grandi illusioni.» I federalisti non hanno certo avuto bisogno dell’ammonimento di Schopenhauer per togliersi dalla testa ogni speranza sull’evoluzione dello Stato nazionale. Già il Manifesto di Ventotene annunciava profeticamente che senza la Federazione europea si sarebbe ricaduti nelle «vecchie aporie». Non è certo un caso che siano stati i federalisti italiani a compiere la critica più acuta e profonda della decadenza dello Stato nazionale. In Italia è sempre sotto i nostri occhi. Tutti i santi giorni dell’anno.
Non è qui il luogo per ripercorrere le fasi di quella involuzione. Proprio perché noi abbiamo sempre difeso il Risorgimento e respinto con fermezza le sirene del secessionismo, abbiamo però il diritto di ricordare che i mali dello Stato italiano datano fin dalla sua origine. Siamo nel 1861. E appena stato proclamato il Regno d’Italia. Come stanno facendo in questi giorni i nuovi eletti, i deputati d’allora arrivano a Torino, la prima capitale del Regno. Tra di loro vi è un lucano: Ferdinando Petruccelli della Gattina. È un mazziniano e siederà quindi nei banchi dell’opposizione. Ha combattuto per l’unità d’Italia ed osserva ora fiducioso quel primo consesso dei rappresentanti della Nazione. L’anno dopo pubblica un libro su quella sua esperienza di parlamentare: I moribondi di Palazzo Carignano. Non si era solo passati, per dirla con Croce, dalla poesia del Risorgimento alla prosa dell’amministrazione. A distanza di 150 anni sembra di leggere le denunce di Rizzo e Stella sulla casta.
Torniamo ad oggi. Scrivevamo su queste pagine nell’estate 2011, quando la crisi del Governo Berlusconi era già evidente, che la malattia dell’Italia era grave e che la cura sarebbe stata lunga e dolorosa. Il nostro Paese negli ultimi quarant’anni è vissuto sotto l’effetto di due potenti droghe. Dapprima la svalutazione, per recuperare periodicamente un po’ di competitività e tenere in piedi l’economia. Poi, quando la nascita dello SME ha messo un argine all’inflazione, si è fatto ricorso ad un crescente debito pubblico per ottenere il consenso dei cittadini. Il Paese si è così abituato a vivere al di sopra dei propri mezzi.
Un primo shock si è avuto all’inizio degli anni ’90. Anche allora le dure medicine somministrate prima dal Governo Amato e poi dal Governo Ciampi ci evitarono il peggio, ma Tangentopoli e la crisi dei partiti della Prima Repubblica fecero emergere un nuovo personaggio capace di mettere insieme una coalizione alla bell’e meglio e di vincere le elezioni: Berlusconi. Il ventennio che abbiamo alle spalle è stato sicuramente segnato dalla presenza del Cavaliere. La sua linea politica si può definire euroscettica, venata però di ambiguità ed opportunismi, com’è nella natura del Nostro. Raggiunto l’obiettivo dell’euro, ai suoi governi ha fatto per esempio molto comodo pagare tassi tedeschi sul debito pubblico ed evitare misure dolorose in termini di popolarità e di voti. La crisi economica e la guerra del debito, unite a comportamenti personali che l’hanno trasformato nello zimbello del mondo intero, hanno infine costretto il Cavaliere a gettare la spugna.
Il Governo Monti, con tutti i vincoli della sua «strana maggioranza», è stato un chirurgo d’urgenza, come ha riconosciuto lo stesso Presidente del Consiglio. A distanza di vent’anni si è evitato per la seconda volta il baratro. E per la seconda volta l’austerità e l’incapacità dei partiti di autoriformarsi hanno prodotto un altro fenomeno politico: Grillo. Come tutti i partiti con una forte componente populista, il Movimento 5 Stelle esprime istanze confuse e spesso contraddittorie. A modesto parere di chi scrive, sarebbe però errato non compiere alcuna distinzione tra questi due prodotti della degenerazione dello Stato italiano.
Il ricorso a Hamilton ci consente di mettere in evidenza come i cambiamenti dell’ordine internazionale si riverberano sugli assetti di potere interni agli Stati. Il berlusconismo era figlio della caduta del Muro di Berlino, del trionfo del liberismo senza regole e del monopolarismo americano. Il successo del M5S è dovuto alla crisi sistemica e strutturale del mondo occidentale imputabile a quella stessa globalizzazione. Per di più, il progetto della moneta unica e poi il suo iniziale successo mantennero in una cornice europea le spinte autarchiche ed anarcoidi del berlusconismo.
Oggi, invece, è la stessa unificazione europea ad essere in pericolo. I governi, sotto la pressione dei mercati, hanno sì approntato una serie di misure per salvare la moneta unica, ma hanno in tal modo messo sotto tutela, o addirittura in mora, il funzionamento della democrazia a livello nazionale, senza darci purtroppo la democrazia europea. Siamo nella terra di nessuno. Gli organi democratici nazionali sono sempre più impotenti o esautorati ed a livello europeo le scelte sono vieppiù percepite come un’imposizione di certi Stati sugli altri. Per completare il quadro, si aggiunga che il doveroso risanamento dei bilanci nazionali non è stato accompagnato da alcun piano di rilancio europeo.
Il grillismo è la reazione confusa, scomposta e persino caotica a questo stato di cose. In esso convivono proposte che vanno nella giusta direzione: lotta alla corruzione e alla criminalità, contrasto agli eccessi della finanza, nuovo modello di sviluppo, reddito minimo, rispetto dell’ambiente, attenzione più alla qualità della vita che alla quantità dei beni. Altre sono invece francamente preoccupanti o addirittura inquietanti, come il culto del capo, il rifiuto del confronto, il referendum sull’euro, la pretesa di arrivare al 100 % dei consensi, il protezionismo strisciante, l’insofferenza per certi limiti posti dalla Costituzione, il velato od esplicito disprezzo per alcune istituzioni. Verso questi nuovi protagonisti politici i federalisti dovranno assumersi quel ruolo pedagogico che hanno sempre esercitato con tutti. Una volta Pajetta, per reagire alla politica repressiva di Scelba, fece occupare una prefettura. Togliatti gli chiese prontamente: «Bravo, e ora che ci fai?». Ecco, ai grillini bisogna far capire che c’è ben poco da fare con l’Italietta e che finiranno anch’essi schiacciati dai suoi vizi, antichi e recenti, se non si convertiranno alla prospettiva europea. Meglio togliersi subito certi grilli dalla testa.
Le prossime settimane saranno il primo banco di prova. La tentazione di rovesciare il tavolo per giungere a nuove elezioni e fare il pieno di voti sarà fortissima. In tal caso non è escluso che possa ripetersi in Italia quel circolo vizioso tra ingovernabilità e nuove elezioni che a partire dal 1930 ha portato alla rovina la Repubblica di Weimar. Oppure il M5S potrebbe, nei modi e nelle forme che il Presidente Napolitano saprà sicuramente suggerire, assumersi alcune pur limitate responsabilità e contribuire alla salvezza dell’Italia e dell’Europa. Inutile aggiungere che anche le altre forze politiche dovranno dimostrare almeno una pari se non maggiore responsabilità. Ma questo non basterà certo. Abbiamo bisogno di un colpo di reni dell’Europa, anzi dell’Eurozona. L’autoesclusione del Regno Unito ha tolto di mezzo l’ostacolo di cui spesso si sono servite Francia e Germania per giustificare l’inazione. La Commissione ed il Parlamento si stanno finalmente svegliando. I rischi di implosione dell’Italia non si combattono con le battute o con gli slogan.
Occorre agire ed agire subito. I federalisti, con la petizione al Parlamento europeo e con il lancio di un’ICE per un Piano europeo di sviluppo sostenibile hanno indicato chiaramente le strade su cui muoversi. Non vogliamo avere l’amara soddisfazione di veder riconosciute le nostre buone ragioni quando sarà troppo tardi.
1. su 17 marzo 2013 a 11:01, di Trevisani Giuseppe In risposta a: Grillo e grilli
Avanti con il federalismo! Urge creare grande spinta ( ICE oK) verso le istituzioni EUROPEE perchè si vada alla realizzazione della vera Unione Federale, solo e unico modo per scionfiggere i populismi vecchi e nuovi sorretti dalle caste e dalle forze della conservazione cinica, nonche autolesionista del grillismo che mira, al potere dittatoriale mascherato da una prtesunta democrazia del «WEB», attraverso proposte condivise, dalla stragrande maggioranza dei cittadini, infarcite di altrettante deleterie e distrttrici, che se attuate porterebbero il paese alla rovina e minerebbero alle fondamenta quel minimo di coesione esistente nell’UE e ancor più nell’UM.
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