Il primo Dicembre 2009 è entrato in vigore il Trattato di Lisbona, per alcuni osservatori un passo in avanti nel solco dell’integrazione europea, per altri una sconfitta per non esser riusciti a fare il salto di qualità nella determinazione di istituzioni efficienti e democraticamente legittimate. Tant’è, ma in questa sede -più che discutere delle luci e delle ombre del Trattato- vorrei parlare di un istituto giuridico introdotto dal testo, molto rilevante in termini di democrazia diretta e di possibilità di incidere sulla politica comunitaria: l’Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE).
Raccogliendo un milione di firme in almeno sette Paesi dell’Unione, i cittadini potranno presentare una proposta legislativa alla Commissione, che sarà tenuta a vagliarla. Pertanto i tempi sono maturi per uscire dal torpore e dare una spinta agli organi europei e nazionali, affinchè l’ibrido giuridico che è l’UE si dia una forma razionale e sia in grado di tessere le trame dei fenomeni politico-economici ormai sempre più interdipendenti e complessi.
Caliamo dunque la possibilità offertaci nell’attualità: la crisi economica obbliga all’austerity gli Stati più saldi e mette in ginocchio i Paesi più dissestati e meno lungimiranti. Pare ormai evidente che gli Stati da soli non abbiano più gli strumenti né per far fronte ai tagli della spesa pubblica né per rilanciare l’economia: pertanto è in ottica europea che si deve considerare un piano di sviluppo.
A tal proposito esiste un testo a partire dal quale i cittadini dell’Unione verranno invitati a riflettere e eventualmente porre la propria firma, contribuendo così al raggiungimento del quorum richiesto dal Trattato. La proposta ICE prospettata dal Movimento Federalista Europeo mira ad accrescere il bilancio comunitario al fine di investire questo nuovo introito per varare un Piano di Sviluppo europeo; le entrate sono costituite in primo luogo dall’imposizione di una tassa sulle emissioni di anidride carbonica (carbon tax).
Il progetto è interessante anche dal punto di vista della sostenibilità, poiché solo in un organismo sovrannazionale è prospettabile una politica efficace in questo senso: se un singolo Stato decidesse di contenere le proprie emissioni senza un coordinamento il suo risultato sarebbe del tutto vanificato dal confinante meno sensibile ai problemi dell’ambiente. In secondo luogo si ipotizza un tassa dello 0,1% sulle transazioni finanziarie, strumento assai utile anche per porre un freno ad anni di mercato sfrenato e irresponsabile.
L’obiettivo del piano è il rilancio dell’investimento nel settore della ricerca di cui si farà carico la Commissione alla luce di un controllo del parlamento UE (sempre per ovviare al deficit di democrazia di cui sopra), sgravando così di un peso i singoli Stati che -come anticipato- da soli non possono fronteggiare una crisi riflesso di economie legate a doppio filo a quelle di tutti gli altri Paesi.
Le potenzialità dell’Europa sono state stimate: dalla tassa sulle transazioni ci si aspettano 30/40 miliardi di euro da reinvestire nella ricerca, con la creazione di 20 milioni di posti di lavoro. 50 i miliardi che ci si aspettano dalla carbon tax, che avrà anche il pregio di incentivare la creazioni di centri di eccellenza nello studio di energie alternative. Al termine del Piano si stima un budget doppio rispetto all’investimento, che assicurerà alle nuove generazioni la serenità di cui oggi siamo digiuni.
L’opportunità è ghiotta,sarebbe mancanza di buon senso rimanere inerti a guardare mentre davanti ai nostri occhi scorre rapido il convoglio che porta ad un progressivo superamento del mito dello Stato nazionale sovrano, ancora una volta impotente davanti ai fenomeni di portata globale,risolvibili solo con politiche di portata globale.
In cuor mio mi aspetto che da Aprile con le firme si possa anche cominciare a raccogliere un po’ di futuro e lungimiranza.
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