Référendum

L’occhio del giurista sul Trattato di Lisbona

Il Taurillon incontra Jacques Ziller all’Università Bocconi di Milano.

, di Florent Banfi, Till Burckhardt, Traduzione di Marta Semplici

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L'occhio del giurista sul Trattato di Lisbona

Jacques Ziller, professore di diritto europeo all’Università di Pavia e all’Istituto Universitario europeo di Firenze, ha pubblicato recentemente «Il nuovo Trattato europeo», edito dal Mulino, con una prefazione di Giuliano Amato e la collaborazione di Samuele Pii. In occasione della presentazione del suo libro all’Università Bocconi di Milano, abbiamo avuto l’occasione di parlarne con lui.

Taurillon Professore, nel vostro volume comparate l’Europa a Gulliver: perché questo paragone ?

Jacques Ziller : Il paragone è molto semplice. In francese, utilizziamo spesso l’espressione « Gulliver empêtré » (Gulliver legato). È l’immagine di Gulliver che giace al suolo imprigionato dalle funi dei Lillipuziani. Leggendo tutte le dichiarazioni e i protocolli aggiuntivi che sono stati annessi al Trattato di Lisbona, si ha la stessa impressione di essere attorcigliati in una serie di funi più o meno visibili. Così mi è venuta in mente l’immagine di Gulliver, questo gigante che giace al suolo – nel primo capitolo de I viaggi di Gulliver di Johnatan Swift – perché i Lillipuziani hanno paura di quel che succederebbe se si alzasse. I Lillipuziani hanno paura dell’ignoto. È la stessa paura che gli uomini politici o certi tecnici hanno dell’Unione europea: la paura di un’entità che non conoscono bene o che hanno paura di spiegare alla gente, ma che in fondo non è un pericolo per loro nonostante sia un gigante rispetto agli attuali stati membri. Ecco spiegata la metafora.

Cosa pensa della possibilità, prevista dal Trattato, di avere degli opt-out, in particolare in relazione alle scelte recenti di Danimarca e Polonia ?

Bisogna fare una distinzione: a partire dal Trattato di Maastricht vi è la possibilità di opt-in od opt-out, che lascia a un paese l’opportunità di scegliere se partecipare a una politica comunitaria in futuro o, al contrario, di decidere subito di non volerne far parte.

... Dal Trattato di Maastricht non facciamo più le cose tutti insieme come all’epoca della Comunità europea ...

La prima cosa da dire è che con il Trattato di Maastricht abbiamo avuto un cambiamento totale rispetto alle regole precedenti. Prima di allora, era tutta la Comunità a fare tutto insieme o a non farlo affatto. A partire dal Trattato di Maastricht ci si è resi conto che non era possibile andare avanti tutti insieme alla stessa velocità. In questo senso, il fatto di avere degli opt-out e degli opt-in è il solo modo di proseguire. Per il modo in cui sono previsti nel Trattato di Lisbona, però, vi è un pericolo in particolare per quel che riguarda la possibilità di opt-in per il Regno Unito, perché è soprattutto questo paese che si tratta – e un po’ anche per la Danimarca nel terzo pilastro.

Qual è il pericolo?

Si è già riscontrato negli anni passati all’interno del terzo pilastro in due casi, come quello del Regno Unito di ricorrere all’opt-in per Schenghen. Un governo dice: «Sì, sì. Vogliamo partecipare a questo progetto». Vi partecipa e, se lo trova necessario, ne detta le condizioni impedendo agli altri di andare più lontano. Poi all’ultimo minuto dice: «Non mi piace». A questo punto, gli altri teoricamente possono dire: «Rimanendo tra di noi, possiamo comunque andare più lontano». Ma la dinamica è tale per cui una volta che il testo è emendato e pronto non ci si ritorna più sopra. Abbiamo assistito più volte al caso di un governo che alla fine non partecipa a una politica comune a cui ha ad ogni modo aggiunto delle condizioni. E questo è molto pericoloso e si trova ad essere rafforzato dal sistema di opt-in e opt-out del Trattato di Lisbona. Faccio un ultimo commento: l’opinione pubblica non è per forza favorevole a queste scelte di governo. Il Regno Unito ha fatto grandi sforzi per ottenere questo assurdo protocollo sulla Carta dei Diritti, che alcuni presentano come un opt-out – non lo è a tutti gli effetti, ma poco importa. Il risultato è che l’indomani del Summit del giugno 2007, i sindacati britannici hanno detto: «Vogliamo un referendum perché noi non vogliamo l’opt-out sulla Carta». Il fatto che i governi cambino posizione sugli opt-out dimostra che non sanno prevedere su cosa si rivolgerà l’attenzione dell’opinione pubblica.

Il Trattato di Riforma è stato concepito, tra le altre cose, per evitare i referendum di ratifica. Pensate che sia una soluzione vantaggiosa o potrebbe presentare degli inconvenienti?

Siamo chiari, non c’è alcun dubbio che il trattato ha voluto evitare i referendum in certi stati membri. Ma la scelta di fare un referendum, tranne in Irlanda, è una scelta puramente politica. La questione è di avere o meno il coraggio di dire: «Facciamo un referendum». Questo – tranne in Irlanda - non è mai

... è pericoloso perché tutti gli euroscettici vogliono appropriarsi di questo argomento ...

dovuto al fatto che c’è una regola costituzionale che obbliga ad avere un referendum. Aggiungerei che il trattato è stato concepito per evitare i referendum, ma soprattutto per evitare di dover spiegare il Trattato costituzionale. Questo evidentemente è pericoloso perché tutti gli euroscettici vogliono appropriarsi dell’argomento e lo fanno già, dicendo: «Ci stanno mentendo. Ci costringono ad accettare la stessa cosa che è stata rifiutata dai referendum». Quel che mi sembra pericoloso è che invece di avere il coraggio – farlo ora sarebbe pure troppo tardi, bisognava farlo nell’estate del 2005 – in Francia e in Olanda, ma anche nel Regno Unito, di spiegare esattamente le novità che c’erano nel Trattato costituzionale, ci si è solo limitati a dire che il popolo sovrano si era espresso a sfavore senza sapere bene cosa avesse rifiutato.

Quindi il referendum mette in difficoltà i politici…

In realtà il problema per i politici non è stato quello di essere obbligati a indire dei referendum e poi di trovare il modo di evitarli. Quello che non sono stati capaci di fare è quello che già il governo danese e irlandese avevano fatto nel 1992-3 e nel 2001-2 e, cioè, di avere il coraggio di dire ai loro cittadini: « Qual è il problema? Cosa non condividete del trattato? Allora cerchiamo di risolvere il problema». E questo mi porta a pensare: effettivamente esiste il pericolo che se il trattato viene ratificato oggi, ci sarà il rischio di una sfiducia crescente degli elettori in futuro. L’abbiamo già sperimentato con Maastricht: c’è stato un referendum quasi perso in Francia, ma abbiamo dimenticato la lezione e il referendum successivo è stato negativo. Perciò la prossima volta che ci saranno dei referendum nazionali ci sarà un rischio ancora maggiore che vinca il no perché in ogni paese, anche se si parla di Europa, non si parlerà d’altro che dell’Europa che si vuole nel paese in questione e non nell’insieme dei paesi europei.

Significa che un referendum è una scelta sbagliata di per sé?

Non necessariamente. Quel che è sbagliato è avere dei referendum separati in date diverse e in diversi paesi perché se un paese vota «no» non può permettersi di riaprire la porta da solo una volta chiusa, contrariamente a quel che accadrebbe con un referendum europeo.

... meglio nessun referendum piuttosto che tanti referendum nazionali non coordinati ...

Potremo sperare un giorno di ratificare la Costituzione europea con un referendum europeo ?

Potremmo sperarlo. Direi che sarebbe meglio non avere nessun referendum piuttosto che tanti referendum nazionali non coordinati tra loro. Personalmente, sono favorevole a un referendum soprattutto perché obbliga i politici a spiegare le cose. E un referendum europeo obbligherebbe a spiegare l’Europa diversamente da come lo si fa durante i dibattiti per le ratifiche nazionali.

Non si può escludere che un giorno i governi nazionali prenderanno coscienza dell’utilità di un referendum. Soprattutto perché se ci fosse un referendum europeo sarebbe possibile prevedere un’alternativa come è stato in Francia nel 1946. Abbiamo avuto due referendum di seguito sulla Costituzione francese nel ’46: dal momento che il primo ha avuto un esito negativo, abbiamo immediatamente avuto l’elezione di una nuova assemblea costituente.

Con un referendum europeo si può dire: «Se votate «no» volete eleggere una assemblea costituente o dare un nuovo mandato al Parlamento europeo e al Consiglio affinché venga riscritto un nuovo testo che sarà poi accettato». Questo è possibile ma soltanto con un referendum europeo, certamente non con i referendum nazionali.

Milano, 26 ottobre 2007.

Jacques Ziller è nato in Francia nel 1951; è attualmente ordinario presso l’Univerità di Pavia e dal settembre 1998 presso l’Istituto Universitario Europeo, in distacco dall’Università Paris 1 Panthéon-Sorbonne. È stato membro del gruppo di lavoro che ha prodotto il rapporto sul Trattato fondamentale per l’Unione Europea (IUE-Centro Robert Schuman, 15 maggio 2000) ed il rapporto Réformer les procédures de révision des Traités, 31 luglio 2000, esperto presso il Comitato delle Regioni durante la Convenzione europea (2002-2003). Nel giugno 2007 è stato tra gli autori della progetto alternativo al trattato costituzionale, elaborato dall’Action Commitee for European Democracy presieduto da Giuliano Amato (www.eui.eu). Nel 2003 ha pubblicato in francese e italiano La nuova Costituzione europea (nuove edizioni aggiornate nel 2004), tradotto in inglese nel 2005 e in polacco nel 2006. Nel novembre 2007 ha pubblicato per il Mulino, Il nuovo Trattato europeo.

Fonte dell’immagine: il prof. Jacques Ziller, dal sito dell’Istituto Universitario Europeo

Jacques Ziller, Il nuovo Trattato europeo. Il Mulino, Bologna 2007 (€ 12). Prefazione di Giuliano Amato e in collaborazione con Samuele Pii

La pubblicazione in francese è prevista per il 2008

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