La Dichiarazione Schuman 62 anni dopo

, di Federica Martiny

La Dichiarazione Schuman 62 anni dopo

“La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano. Il contributo che un’Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche. La Francia, facendosi da oltre vent’anni antesignana di un’Europa unita, ha sempre avuto per obiettivo essenziale di servire la pace. L’Europa non è stata fatta e abbiamo avuto la guerra.” Queste parole aprivano il discorso tenuto il 9 maggio 1950 da Robert Schuman, l’allora Ministro degli Esteri del governo francese.

Sono parole più che mai attuali, e da un lato questa constatazione ci può sconcertare. In quella Dichiarazione, infatti, si poneva un obiettivo chiaro che 62 anni dopo non è stato raggiunto: “La fusione della produzioni di carbone e di acciaio assicurerà subito la costituzione di basi comuni per lo sviluppo economico, prima tappa della Federazione europea, e cambierà il destino di queste regioni che per lungo tempo si sono dedicate alla fabbricazione di strumenti bellici di cui più costantemente sono state le vittime”.

Certo, la guerra intestina tra Francia e Germania è stata scongiurata dalla costruzione comunitaria, proprio a partire da quella prima importantissima e fortemente simbolica messa in comune del carbone e dell’acciaio. Però, la pace in Europa in realtà non c’è ancora davvero: la guerra non si combatte solo con le armi tradizionali; ci sono anche quelle, forse più pericolose, delle divisioni sociali, degli egoismi, della paura, delle risposte xenofobe, razziste ed euroscettiche. C’è il rischio che le armi della crisi economica e finanziaria lascino a terra tantissimi cadaveri e mutilati, e che le ferite finiscano per incancrenirsi e alla lunga a portare ad una morte dolorosa e indegna.

Sembra davvero che gli sforzi creativi necessari, proporzionali ai pericoli che ci minacciano siano molto più grandi di noi. E forse lo sono davvero. Però gettare la spugna, arrendersi, chiudersi nella propria stanza lontani dal mondo e dai problemi è una soluzione che i federalisti non han no mai preso in considerazione. Vorrei prendere in prestito delle significative parole di Guido De Ruggero: “Vi sono periodi di crisi, di trapasso in cui viviamo nello scontento e nell’indecisione, tra una vecchia routine che più non ci appaga e che addirittura ci ripugna, e una prospettiva nuova che non ci offre ancora una solida presa. Sono periodi in cui è ingrato vivere […] ma sono questi anche i periodi in cui è più degno vivere, per coloro che vogliono vivere da uomini liberi, cioè da artefici del proprio avvenire”.

Le parole di Schuman sono attuali anche perché oggi come allora la Francia gioca un ruolo centrale. Il nuovo presidente della Repubblica francese, Hollande, quando è salito sul palco di Tulle per tenere il suo primo discorso da capo di Stato, ha pronunciato queste parole: “Il sogno francese è la nostra storia, il nostro futuro: il progresso. Affinché ogni generazione viva meglio della precedente. Questo è il mandato che mi è stato affidato. L’Europa ci guarda, sono sicuro che in molti Paesi europei ci sia stato un sospiro di sollievo. L’austerità non può essere ineluttabile. La missione deve essere la crescita, l’occupazione, l’avvenire. La mia missione è di restaurare la crescita. Il 6 maggio segna un mandato pesante, grande, bello".

Le sue parole potenzialmente sposano la proposta di un piano europeo di sviluppo sostenibile e basato sulla green economy, un piano non più legato all’aumento dei consumi ma ecologicamente e socialmente sostenibile, che crei occupazione e che sia legato a tre fattori indispensabili: la «carbon tax» - una ecotassa sulle risorse energetiche inquinanti - la tassa sulla transazioni finanziarie e i «project bonds», come propone il Movimento Federalista Europeo.

I provvedimenti presi finora a livello nazionale ed europeo, tra cui il Fiscal compact, affrontano solo i sintomi della malattia, incapaci di contrastare e capire le cause profonde delle crisi, con gli Stati capaci solo di agire sul rigore di bilancio e l’austerità. Con l’Europa politica, e quindi davvero federale, si deve invece cercare una soluzione comune per tutelare soprattutto le frange più esposte alle conseguenze drammatiche della crisi, si deve riproporre l’esigenza di rispettare e anzi rafforzare il modello sociale europeo, e si deve agire pensando di lasciare un modello di sviluppo in grado di tutelare anche le generazioni del domani.

In una parola si deve abbandonare l’idea che l’Europa possa rimanere quella che fino a ieri è stata quella dei vertici tra Merkel e Sarkozy, quella che vive del metodo intergovernativo e che proprio per questo fino ad ora si è mostrata debole nell’elaborare una strategia comune per uscire dalla crisi economica, finanziaria e sociale che la stringe in una morsa sempre più stretta e pericolosa. A questo modello si deve contrapporre quello di un’Europa politica e democratica impegnata a salvaguardare se stessa e le proprie speranze, in un ottica di solidarietà tra cittadini e tra Stati, nelle direzione di una piena costituzionalizzazione dei diritti sociali a livello comunitario.

In fondo, come dice in questi giorni la GFE, siamo ancora in tempo per scrivere la pagina più bella della storia europea!

Immagine: Robert Schuman

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