Il discorso di David Cameron sull’Europa mostra come egli abbia preso coscienza dell’importanza determinante che l’Unione europea ha per la Gran Bretagna di oggi e di domani. Come per tanti altri leader inglesi e non, nel concreto esercizio del potere l’inesorabile potenza persuasiva della realtà europea ha profondamente modificato il suo atteggiamento iniziale. È ormai chiaro che Cameron auspica che l’Inghilterra resti nell’Unione e che per questo voglia rinviare (alle calende greche...) il referendum, che se tenuto a breve potrebbe risolversi in una prevalenza dei no. I suoi ragionamenti sulla Norvegia e sulla Svizzera sono rivelatori.
Il punto positivo sta nell’accettazione delle due geometrie istituzionali: si riconosce che l’Eurozona (plus...) deve potersi dotare di regole istituzionali in parte nuove, tramite un nuovo trattato.
I punti negativi sono diversi. Tutti erano largamente scontati e sono anche sicuramente rispettabili, poiché nessuno può costringere la Gran Bretagna al federalismo, se gli inglesi per tante ragioni non lo vogliono. L’importante è che non siano loro a impedire agli europei di arrivarci, sia pure per gradi. Va peraltro anche detto che l’immagine di un parlamento inglese sovrano è già oggi fuori dalla realtà, poiché in tutta la vastissima legislazione relativa al mercato unico, in cui opera il circuito istituzionale Commissione - Consiglio - Parlamento europeo - Corte di Giustizia, la sovranità dei Parlamenti nazionali, Westminster incluso, non c’è più ormai da almeno due decenni.
Le tesi di Cameron, di netta chiusura verso l’unione politica, sono:
a) La legittimazione democratica (democratic accountability) dell’Unione è esclusivamente quella dei Parlamenti nazionali. Il Parlamento europeo non viene neppure nominato. Ne risulta che, per Cameron, l’Unione è e deve rimanere (anzi: deve ridiventare) una semplice lega della Nazioni, in cui i Capi di governo rispondono solo ai propri Parlamenti; dunque i Consigli non sarebbero organi dell’Unione, ma semplici aggregazioni di ministri nazionali.
b) La sussidiarietà, ad avviso di Cameron, ha giocato solo nel rafforzare i poteri del centro e deve invece riportare le decisioni «back to Member States». Ciò non è vero né in linea di fatto né in linea di diritto perché Lisbona ha, caso mai, proprio per impulso degli inglesi, ecceduto nel potenziare la sussidiarietà verso il basso e non viceversa.
c) La politica estera deve restare fuori dalle competenze dell’Unione.
d) La Gran Bretagna vuole essere parte del processo decisionale che porterà a questi sviluppi. Ed anche se questo se non viene detto espressamente, appare implicito che eserciterà nel processo di riforma tutti i poteri consentiti dall’art. 48 del Trattato, incluso il potere di veto.
In conclusione, il riconoscimento inglese delle peculiarità dell’Eurozona dà ai Paesi che lo vogliano un argomento decisivo per avanzare verso una maggiore integrazione economica ed anche politica, se necessario anche senza il consenso degli inglesi: in questo senso il precedente della rottura del 12 dicembre 2011 è stato salutare, così come era stata decisiva la rottura del 1985 con Margaret Thatcher (ne siano ringraziati ancora una volta Craxi e Andreotti).
Con la cooperazione rafforzata si può già andare molto lontano, in attesa del nuovo trattato. Occorre però anche applicare le regole esistenti: per la politica estera già il Trattato di Maastricht ha introdotto il principio del coordinamento, regolarmente eluso dalla Francia e non solo. L’Africa non interessa solo i francesi ma tutti gli europei. Ma nessun vertice è stato convocato sul Mali.
Le regole nuove da introdurre sono poche e semplici: bilancio aggiuntivo nell’Eurozona per investimenti e crescita, fiscalità europea (questa è già in itinere), potere di codecisione legislativa generalizzata per il Parlamento europeo (limitata, quando occorre, ai parlamentari dell’Eurozona), abolizione generale del potere di veto.
Naturalmente occorre che la volontà politica di procedere in questa direzione ci sia da parte di Francia e Germania. Per questo la crisi non ancora superata potrà essere salutare, una volta di più. L’Italia può fare molto per compattare il fronte dell’unione politica.
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