La crisi del Portogallo e i rapporti con l’Unione europea

, di Maria Vittoria Lochi

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La crisi del Portogallo e i rapporti con l'Unione europea

Anche il Portogallo, così come l’Islanda, la Grecia e l’Irlanda, è caduto nella “trappola” della crisi economica; il paese, declassato di due gradini già a metà marzo dalle principali agenzie, rischia ancora un ulteriore retrocessione e non dispone delle risorse necessarie per pagare i suoi debiti.

Questo declino è da imputare in parte a ragioni geografiche - il Portogallo ha una posizione che si potrebbe definire marginale rispetto al cuore degli scambi economici europei -, non compensate da riforme adeguate; ma in parte è da addebitare alle debolezze strutturali dell’area monetaria dell’euro, priva di una politica economica unica, che in questo modo non riesce a sostenere la crescita e rende più evidenti gli squilibri tra i paesi forti e quelli deboli, a svantaggio ulteriore di questi ultimi. Quello che è accaduto in Portogallo, pertanto, è che l’economia non è cresciuta, facendo così diminuire le entrate fiscali e rendendo ingestibili i conti pubblici fino ad arrivare alla crisi del debito.

In queste ultime settimane, dopo le dimissioni del premier Socrates che non è riuscito a raccogliere in Parlamento la maggioranza per far passasse il nuovo piano di risanamento dei conti, l’ipotesi di un ingente piano di salvataggio coordinato dall’Unione europea e dal Fondo monetario internazionale è diventata realtà. Ciò non toglie che, sebbene gli aiuti dei partner europei e quelli internazionali possano tamponare al momento l’emergenza, la situazione resti drammatica. Il debito viene infatti ormai ritenuto insostenibile (i rendimenti dei titoli in dieci anni hanno toccato il record del 7,90% dall’ introduzione dell’euro) con chance pressoché nulle di un rientro a livelli accettabili, data l’assenza totale di compratori sul mercato ad eccezione della Banca centrale europea.

Rimangono inoltre le incognite circa chi dovrà negoziare l’accordo con l’Europa e il Fondo monetario internazionale e, soprattutto, quali saranno i contenuti del programma che il Portogallo presenterà in cambio degli aiuti e che, secondo le prime indicazioni dovrà contenere nuove misure di riforma strutturale dell’economia. Difficilmente il compito di trattare con l’UE e il FMI potrà essere assegnato al governo dimissionario; quindi questa questione dovrà presumibilmente essere rimandata a dopo le future elezioni. Quanto al contenuto dell’accordo, potrebbe ricalcare gli obiettivi presentati dal governo Socrates per correggere il bilancio in modo da portare il deficit dal 7% del 2010 al 4,6 nel 2011, al 3% nel 2012 fino al 2% nel 2013, ma possibilmente con un diverso mix di misure.

Nel frattempo l’eurozona rimane in allerta per evitare un possibile “effetto domino” che in particolar modo potrebbe investire la vicina Spagna, le cui banche detengono circa un terzo del debito portoghese. E i governi europei, per cercare di prevenire il temuto effetto contagio in tutta l’area dell’euro, stanno tentando di promuovere, con grande difficoltà e incertezza, un pacchetto di misure e regole di lungo periodo non solo per bloccare l’attacco dei mercati, e preservare la stabilità dell’euro, ma soprattutto per costringere gli Stati afflitti dal problema del debito al rispetto di un nuovo “Patto di stabilità e competitività”. Ancora una volta, però, almeno per quanto riguarda le decisioni finora rese note, i governi nazionali si limitano ad affrontare i sintomi della crisi e non le sue cause; il problema di un piano europeo per la crescita e quello delle risorse economiche, ma soprattutto delle competenze politiche necessarie a questo scopo sembra infatti ormai sparito dal dibattito.

In ogni caso, i mercati finanziari non sono interessati alle future regole per il coordinamento delle politiche all’interno dell’eurozona e sottolineano la necessità di conoscere la modalità con la quale s’intende affrontare l’attuale sovrapposizione dei debiti. La debolezza del sistema finanziario europeo è infatti dovuta proprio all’alto grado di interconnessione reciproca che esiste ormai in Europa, tipico delle aree a moneta unica, e che implica che la fragilità in un qualsiasi punto dell’area si riversi sull’intero sistema.

Il grande problema dell’eurozona è dunque evidente: essa non ha un organo comune atto a stabilizzare le risorse fiscali necessarie per il sistema nel suo insieme. Le risorse restano parcellizzate a livello nazionale, e i governi le utilizzano in base ai propri interessi; ma in una regione a moneta unica questo tipo di comportamento diventa insostenibile, perché gli interessi sono in realtà comuni e implicano anche la necessità di organizzare forme automatiche di solidarietà (come dimostra il fatto che il fallimento di uno Stato di riflette su tutti gli altri) Al contrario di ciò che crede l’Unione europea, moneta unica, interesse unico. Per questo l’euro potrà sopravvivere solo se gli europei capiranno di essere una comunità di destino che potrà funzionare solo se si trasformerà in un’unione politica, e capiranno di dover creare una vera Federazione europea.

Fonte immagine: Flickr

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