Da mesi senza un governo nazionale, il regno del Belgio sta vivendo una crisi senza precedenti, che si fonda prevalentemente su motivazioni economiche e su debolezze strutturali delle istituzioni del paese.
Il Belgio è infatti una monarchia parlamentare federale, ma a differenza di quanto avviene per altre federazioni (come gli Stati Uniti), i suoi confini amministrativi coincidono con la frammentazione socio-etno-economica, assecondando la divisione tra le comunità linguistiche fiamminga e francofona, rispettivamente rappresentate dalla regioni delle Fiandre e della Vallonia (escludiamo le regione autonoma di Bruxelles, sede delle istituzioni europee, e la piccola comunità linguistica germanofona, situata ai confini con la Germania e integrata nella vallonia).
In Belgio i confini amministrativi coincidono con la frammentazione socio-etno-economica
La tendenza alla divisione è oggi rafforzata dalla diversa qualità delle performance economiche nelle due regioni (le Fiandre ricche e dinamiche, la Vallonia sostenitrice dell’unità nazionale perché maggiormente dipendente dai trasferimenti governativi). Nonostante il motto belga reciti “l’Unione fa la forza”, oggi è sempre più reale il rischio che il Paese scompaia dalle cartine geografiche; se vogliamo individuare le reali cause della crisi dobbiamo volgere lo sguardo all’evoluzione dell’economia globale.
Il Belgio rappresenta infatti uno degli esempi più eclatanti del processo di “regionalizzazione” in corso in Europa, processo dovuto alla crisi dei mercati di dimensione nazionale nel contesto del “mercato globale”; oggi la produzione di beni e servizi ottimale si effettua o a livello mondiale (come nel caso delle imprese “transnazionali”), o attraverso un’intricata rete di rapporti regionali, che spesso travalicano i confini degli stati.
La tendenza alla divisione è oggi rafforzata dalla diversa qualità delle performance economiche in Fiandre e Vallonia
Se queste tendenze da una parte rendono inutili tutti i tentativi di redistribuzione della ricchezza in ambito nazionale (si veddre ad esempio il fallimento della Cassa del Mezzogiorno), dall’altra rivestono le regioni (intese come unità amministrative ma anche distrettuali e produttive – ad esempio il Baden-Wuttemberg in Germania) di nuova importanza e forza contrattuale. Da qui la tendenza alla secessione o all’autonomia, richieste in maniera sempre più pressante da quelle regioni che sono state capaci di sfruttare al meglio le finestre di opportunità offerte dalla globalizzazione.
L’Europa federale può evitare la disgregazione di stati come il Belgio e l’Italia
Dobbiamo quindi aspettarci la “fine” del Belgio? Probabilmente l’unico modo per valorizzare il dinamismo produttivo differenziato tra aree regionali senza il rischio di subirne le conseguenze negative sul piano politico, sociale e culturale (l’esempio “scolastico” è la xenofobia leghista che prende sempre più piede nel nord Italia) è quello di creare una cornice istituzionale che possa garantire l’equilibrio e la convivenza di tutti i livelli di governo; l’Unione Europea dovrebbe trasformarsi in una vera e propria federazione, ampliando i propri confini politici a livello continentale in modo da poter gestire al meglio la nuova dimensione ottimale dei mercati, allo stesso tempo sovranazionale e subnazionale; solo così sarà possibile evitare la disgregazione di stati come il Belgio e l’Italia e rispondere con successo sia alle sfide del futuro che alla minaccia di un declino inesorabile e conflittuale.
Concludiamo con una nota positiva. Lo scorso 18 dicembre l’ex premier belga Guy Verhofstadt è stato incaricato di formare un nuovo governo ad interim, con il compito di negoziare un piano di riforme necessario a far uscire il Paese dalla crisi politica; Verhofstadt, che ha recentemente ricevuto il primo european book prize per il suo libro “The United States of Europe”, è l’unico leader del vecchio continente che ha dichiarato con coraggio e senza mezzi termini la necessità di un’Europa politica e non solo economica; forse grazie a questa consapevolezza riuscirà a placare i conflitti interni al Belgio, nell’attesa che la bandiera nazionale sventoli con ancora più vigore di fianco a quella degli Stati Uniti d’Europa.
1. su 14 gennaio 2008 a 12:07, di Lanfranco In risposta a: Nubi su Bruxelles
La «reductio ad unum» della situazione belga ad una questione essenzialmente economica (cito: «Il Belgio rappresenta infatti uno degli esempi più eclatanti del processo di “regionalizzazione” in corso in Europa, processo dovuto alla crisi dei mercati di dimensione nazionale nel contesto del “mercato globale”) è oggettivamente forzata. Sottovalutare le profonde differenze linguistico-culturali presenti in Belgio, che hanno fortemente influenzato il processo di»federalizzazione«del paese (il Vlaams Block, ricordiamolo, è uno dei primi movimenti etnoregionalisti d’Europa), fa ovviamente cadere nell’errore che la risposta possibile sia una struttura che permetta di»gestire al meglio la nuova dimensione ottimale dei mercati". L’Unione Europea potrebbe si avere un ruolo determinante, in questo tipo di crisi, ma non tanto per «evitare la disgregazione», quanto per far si che questa disgregazione non abbia esiti traumatici. Da questo punto di vista, la creazione di una vera Federazione Europea potrebbe consentire un processo di riarticolazione territoriale che superi finalmente l’eredità ingessata delle ideologie nazionaliste ottocentesche, e cioè gli attuali Stati-Nazione con i loro confini fittizi.
2. su 15 gennaio 2008 a 17:39, di Simone In risposta a: Nubi su Bruxelles
Ovviamente l’economia non può ne deve spiegare in toto ciò che sta avvenendo in Belgio, ed è chiaro che la storia e le caratteristiche peculiari (gli economisti direbbero la «path dependancy») sono fondamentali per capire la traiettoria di evoluzione di un paese. Probabilmente però la nascita e lo sviluppo di dinamiche sempre più transnazionali (in primis di natura economica, senza per questo escludere la transnazionalizzazione dei movimenti sociali, delle culture o anche della criminalità) che stanno configurando un mondo sempre più «glocale», spingono come mai prima d’ora per una ristrutturazione delle istituzioni nazionali, dando ancora più forza alle richieste di cambiamento già esistenti. E’ vero quindi che il regionalismo è una caratteristica che accompagna il Belgio da tempo, ma è anche vero che la pressione sulle istituzioni nazionali generata dalla ristrutturazione globale dei mercati lascia uno spazio fino ad oggi inedito per le rivendicazioni locali. Altro punto: non penso che il risultato finale del processo di «denazionalizzazione» in corso debba per forza essere una inevitabile disgregazione (magari almeno non traumatica grazie ad una cornice federale europea), quanto piuttosto una architettura istituzionale europea molto più complessa, che garantisca la convivenza tra i livelli di governo locale, nazionale, sovranazionale. Non si tratta di scegliere tra un’Europa delle regioni o un’Europa degli stati: lo stato perde cifre di sovranità e determinate competenze, diventando “evanescente” in certi settori, ma può avere la capacità di sfruttare nuove finestre di opportunità e di convertire e indirizzare le proprie istituzioni verso nuove funzioni, ancora «a misura di stato».
Segui i commenti: |