L’obiettivo prioritario deve essere quello di consolidare e sviluppare la volontà dei progressisti arabi (in particolare i giovani), che hanno animato le rivolte dei gelsomini, di importare la democrazia, garantirsi lo sviluppo, il benessere, la modernizzazione e la partecipazione costruttiva del loro mondo alla globalizzazione. Bisogna loro dare concrete speranze e occasioni di un percorso di risultati positivi per l’intera area consistente a livello mondiale, mentre resterebbe fragile e parziale se limitato ad alcuni paesi isolati. Sono note, anche se da sottolineare, le opportunità economiche offerte dall’integrazione, ma notevoli anche le tutele democratiche, infatti le dittature riescono ad imporsi solo a livello statale, mentre è difficile ridurre a colonie i paesi vicini. Quindi per non uscire dall’unione economica un paese deve conservare la propria democrazia e sviluppare quella comune.
Già nel settembre 2008 Joschka Fischer scriveva l’articolo “Wanted: An Arab Jean Monnet nel quale prevedeva gli effetti della globalizzazione sul mondo arabo e l’emergere di tensioni nei regimi statici (e il desiderio di superare lo statico conflitto con Israele) ed auspicava che la risposta fosse un progetto di graduale integrazione secondo il modello europeo. Integrazione europea che ricordiamolo fu avviata dallo sforzo di apertura delle economie nazionali imposto dal Piano Marshall. Questo dimostra che per concludere bene un conflitto bisogna fissare con chiarezza gli obiettivi politici da perseguire con la pace e renderli condivisibili da tutti i popoli coinvolti.
Come noto e come segnalava già Altiero Spinelli “… nell’area ci sono i paesi arabi che hanno gli Arabi e quelli che hanno il petrolio” (in particolare nel Golfo persico). Guardando le statistiche fornite dalla Banca Mondiale si rileva che il processo di integrazione, di conquista di forme democratiche e di attivazione di uno sviluppo autentico basato su un sistema produttivo articolato e dinamico ha basi maggiori nei paesi con gli Arabi piuttosto che in quelli ricchi di petrolio anche se questi godono di un reddito medio pro capite più elevato e spesso superiore a quello europeo. Il processo d’integrazione deve quindi essere disegnato all’inizio essenzialmente per i paesi del Nord Africa con possibile estensione a quelli del medio oriente prossimi al Mediterraneo (Giordania, Libano, Siria e lo stesso Israele, se lo volesse). Del Magreb esteso fanno parte due paesi con notevoli giacimenti di idrocarburi: l’Algeria e la Libia, che non a caso sono più indietro nell’innovazione politica. Mentre l’Algeria ha una popolazione consistente (35 milioni) e quindi presenta aspetti duplici, la Libia è più simile ai paesi del Golfo (6,5 milioni), tuttavia in quanto collocata tra Egitto e Tunisia rischia di ostacolare un processo di integrazione del Nord Africa, anche per questo la soluzione della crisi libica va trovata in modo che possa poi integrarsi con i popoli vicini. Non posso qui addentrarmi nelle opportunità che anche i libici potranno cogliere a partire da una redistribuzione più egualitaria, economica e sociale dei proventi del petrolio, oggi sono costretti a risparmiare il 67,8% del PIL! PIL non solo dovuto al petrolio, ma anche a tutte le altre attività economiche e quindi si ha un monopolio del regime pressoché totale sulla rendita petrolifera. C’è quindi spazio per proposte d’integrazione ad interessi condivisi tra i libici gli altri popoli dell’unione da progettare. Per avviare questo progetto oltre ad un Monnet arabo ci vorrebbe un Marshall europeo.
Le rivolte sono state anche provocate dall’aumento dei prezzi alimentari per questo sarebbe necessario aumentare la produzione agricola in loco. Israele che ha maturato esperienze positive nella messa a cultura di aree siccitose od addirittura desertiche potrebbe fornire tecnologie e tecnici (anche tramite palestinesi che già operano in aziende israeliane od appositamente formati), diventando così partecipe del nuovo processo di sviluppo e rendersi più accetto dal mondo arabo.
Molti (tra cui Gheddafi) continuano a sollevare il timore di un trionfo dell’integralismo e del suo tossico sottoprodotto: il terrorismo. In realtà il processo d’integrazione solleciterà lo sforzo di acquisire le tecniche, la scienza e quindi anche il patrimonio culturale degli altri (come si vede anche in Asia, senza per questo rinunciare alla propria individualità). Il mondo arabo dovrà tornare a quella ricerca della “filosofia” e della cultura occidentale (allora rappresentata in particolare da Bisanzio) che lo ha caratterizzato sino al 1300-1400 e quindi al razionalismo; un apertura che offrirà occasioni anche alle locali minoranza cristiane come tramite con l’occidente oltre che ovviamente al colloquio e alla cooperazione col mondo industrializzato e con la limitrofa Europa in particolare. I terroristi fondamentalisti sono nemici mortali degli insorti che aspirano al progresso.
Quindi bisogna aiutare i libici a liberarsi della dittatura e collaborare al progetto dell’unità araba. È una occasione che non va sprecata; ovviamente se siamo pronti ad accettare un vicinato mediterraneo tra pari. Ma è solo tra pari che “pacta sunt servanda” e grazie alla perseguita parità le migrazioni saranno scelte individuali e bidirezionali e non dolorose fughe dai paesi dov’è possibile aromatizzare bevande e dolci con il prezioso profumo del gelsomino.
Ci sono molti in Italia che disprezzano gli ideali di progresso e sperano in una rapida rivincita del colonnello libico ed in una rapida normalizzazione dei paesi scossi dalle rivolte recenti. Questo consentirebbe ai conservatori di tornare a godere di diseguali rapporti privilegiati e poter contare su guardiani feroci degli Africani sub sahariani, ma linee più intelligenti cominciano ad emergere come mostra il fondo del direttore Mario Sechi sul Tempo “Cercasi Lowrence D’Arabia”. Anche buona parte della sinistra extraparlamentare spera che il ripristino della situazione ex ante le consenta di riprendere le denuncie contro le democrazie occidentali tacciate d’imperialismo e di evitare così un’analisi attenta delle sue incomprensioni della modernità e delle esigenze di progresso globale e del suo governo condiviso.
I fautori dell’Europa unita non sono nazionalisti e quindi non contano sulla reazione nel mondo Arabo, anzi considerano che solo la speranza di rapidi progressi nel mondo arabo consenta di ricondurre le migrazioni in misura fisiologica, ritengono che promuovere l’integrazione del sud Mediterraneo sia lo strumento sia per dare la speranza agli Arabi sia per ridare solidarietà agli Europei ed obiettivi largamente condivisi dai democratici delle due rive.
Con speranza, fiducia e tenacia i proponenti si impegneranno per questi obiettivi.
1. su 14 giugno 2011 a 18:47, di Carlo Ceruti In risposta a: Per l’integrazione del Mediterraneo
Vorrei aggiungere un altro motivo che dovrebbe spronarci verso l’integrazione del mediterraneo. Dopo la rinuncia al nucleare dobbiamo puntare tutto sulle rinnovabili. Non possiamo rispettare la natura (due ton di CO2 equivalente all’anno a testa, che decrescono con l’aumento della popolazione mondiale) senza utilizzare la radiazione solare sul deserto del Sara. Ma non possiamo affittare una porzione di Sara e andarci a costruire gli impianti solari, se prima non facciamo la Federazione Europea includendo i paesi dell’Africa settentrionale, cioè se tutti gli stati della federazione non rinunciano agli eserciti nazionali e trasferiamo il potere nelle mani di un governo federale e la composizione dei conflitti tra gli stati alla corte di giustizia federale, perché solo allora potremo stare sicuri che gli affittanti del Sara rispettino il contratto di affitto. Oggi, se un fornitore di idrocarburi aumenta esageratamente i prezzi, possiamo andare ad acquistarli da un altro, ma se l’affittante del deserto aumenta unilateralmente e arbitrariamente l’affitto del Sara, non possiamo prendere i nostri impianti e andarli a piazzare altrove. Sono un tecnico molto ignorante in diritto internazionale, ma mi sembra che non sia possibile fare diversamente.
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