Tocca all’Italia

, di Antonio Longo

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Tocca all'Italia

Per più di un anno abbiamo pensato che la crisi del debito sovrano potesse riguardare solo la Grecia e poi l’Irlanda, il Portogallo e forse la Spagna. Per mesi ci hanno detto che il governo italiano aveva messo i conti ‘in sicurezza’ e potevamo stare tranquilli. Improvvisamente scopriamo che non è così e che siamo ‘sotto attacco della speculazione’. Espressione di comodo, che di per sé non ci aiuta a capire, utilizzata per scaricare la colpa sui ‘cattivi’ di turno, oggi gli ‘hedge funds’, come ieri gli ‘untori’ di manzoniana memoria. E’ più semplice e maschera il problema reale. Che è la somma di due debolezze.

La prima è quella delle istituzioni dell’Unione europea che continuano a gestire una moneta senza avere la forza di una politica finanziaria unica, cioè di una politica economica e fiscale condotta da un governo federale. Di questa necessità c’è oramai consapevolezza in Europa, dopo tre anni di crisi finanziaria internazionale, ma non si sono fatti passi sostanziali in questa direzione. Occorreva lanciare gli eurobond per un piano europeo di sviluppo finalizzato agli investimenti nei settori dell’innovazione e delle energie rinnovabili. Occorreva poi dare inizio ad una politica comune del debito pubblico, attraverso l’emissione di titoli europei di debito che avrebbero certamente scontato un tasso basso (vicino al bund tedesco), cosa che avrebbe alleviato i conti pubblici dei Paesi in difficoltà. Non se ne è fatto nulla e si è preferito andare avanti con la politica suicida dei ‘prestiti finanziari’ alla Grecia e al Portogallo (a tassi elevati) perché i Paesi più forti (Germania e Francia) non vogliono. Preferiscono un’Europa intergovernativa, che pensano di poter dirigere, ad un’Europa federale. Giocano col fuoco del debito sovrano pensando di poterlo domare allungando le scadenze del debito altrui: al contrario, il mantenimento delle loro fittizie sovranità economiche non fa altro che alimentarlo perché il mercato vede che non c’è sovranità europea ed attacca i debiti pubblici nazionali, prima i più piccoli, poi i più grandi. La riprova sta nel fatto che il mercato non attacca il debito pubblico più grande del mondo (quello americano) e nemmeno il secondo (quello giapponese) perché dietro il dollaro e lo yen ci sono dei ‘governi’. Dietro l’euro non c’è un governo europeo. Questa è la principale debolezza.

La seconda debolezza risiede nel governo italiano. Il governo Berlusconi è alla fine, lo sanno tutti nel mondo, i mercati per primi. Ne deriva che la ‘sua’ manovra finanziaria non è credibile, anche qualora fosse ben strutturata (e non lo è, perché i tagli veri sono previsti tra due anni). Come non era difficile prevedere, i rimedi tecnici presi dalla Consob si sono rivelati pannicelli caldi: non è vietando questo e quello che si ristabilisce la fiducia, che è un fatto politico, non tecnico. La verità è che, nel breve termine (e nella speranza che la UE si dia istituzioni politiche federali nel campo finanziario), la politica italiana deve fare delle scelte che né l’attuale maggioranza né l’attuale opposizione – singolarmente prese – sono in grado di effettuare. Chi fino a ieri parlava di elezioni anticipate oggi capisce che la crisi finanziaria che ha investito l’Italia richiede scelte diverse: un governo di emergenza costituzionale capace di coniugare il necessario rigore nei conti pubblici (ristrutturazione della spesa) con l’equità sociale (lotta all’evasione fiscale). Solo un governo di questa natura, con una guida credibile (Mario Monti), può dare fiducia ai mercati e soprattutto mostrare ai nostri partner che c’è una “Italia europea” che intende riprendere il posto che finora ha lasciato vacante ed indicare la strada virtuosa per l’uscita definitiva dalla crisi: la nascita di un governo economico di tipo federale tra i Paesi dell’euro.

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