Un Referendum europeo per la Costituzione europea

Alcuni argomenti a sostegno del referendum europeo

, di Francesco Ferrero

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Un Referendum europeo per la Costituzione europea

Con l’approvazione, da parte di una larghissima maggioranza del proprio Comitato Centrale, il Movimento Federalista Europeo ha intrapreso una nuova campagna, riassunta nello slogan «Un referendum europeo per la Costituzione europea».

Con essa si chiede che la Costituzione europea, eventualmente modificata - ad esempio stralciandone la III parte, che ha destato la maggior parte delle critiche in Francia, e/o integrando il testo attuale con un protocollo sociale, che risponda alle preoccupazioni dei cittadini, come ha proposto la Cancelliera tedesca Angela Merkel - , sia sottoposta al parere di tutti i cittadini dell’Ue, in uno stesso giorno, possibilmente coincidente con l’elezione europea del 2009, ed entri quindi in vigore se approvata da una maggioranza di cittadini in una maggioranza di Stati. Naturalmente la Costituzione dovrebbe entrare in vigore soltanto tra gli Stati dove avesse prevalso il «Sì», mentre gli altri Stati potrebbero sempre ratificarla successivamente, ed entrare a far parte in un secondo tempo della nuova Unione costituzionale.

A pochi giorni dall’approvazione di tale campagna, con una felice coincidenza, due grandi intellettuali come Jürgen Habermas e Ulrich Beck hanno rilanciato questa stessa idea dalle colonne della stampa internazionale. La proposta gode, inoltre, come è noto, del favore di alcuni uomini politici europei, tra i quali si segnalano il Presidente della Repubblica austriaca Heinz Fischer e il leader della coalizione che ha vinto le elezioni italiane Romano Prodi.

Naturalmente, come è giusto che avvenga per una proposta politica innovativa, dopo le campagne per l’elezione europea, la moneta europea e la Costituzione europea (che non è conclusa, ma trova in questa nuova campagna la sua prosecuzione ideale), anche questa proposta ha suscitato e suscita, sia al nostro interno, sia in altri ambienti politici, diverse obiezioni. Ci sembra dunque importante, per approfondire la discussione, provare a riassumerle, e a spiegare per quali ragioni non le riteniamo convincenti.

Prima obiezione: un referendum paneuropeo sulla Costituzione è rischioso, perché i cittadini sono contro l’Europa, come hanno mostrato i voti negativi in Francia e Olanda

Questo argomento, ripetutamente utilizzato dalle forze antieuropee dopo i no referendari della primavera scorsa, non trova innanzitutto alcun riscontro oggettivo. Basta sommare i dati dei quattro referendum sulla Costituzione (svoltisi, nell’ordine, in Spagna, Francia, Olanda e Lussemburgo) per vedere che mettendo insieme tutti i voti il «Sì» ha vinto con 26.662.958 voti contro 22.667.763 «No». E che dire degli undici paesi dove la Costituzione è stata ratificata per via parlamentare? E del fatto che altri paesi, come l’Estonia e la Finlandia, stiano procedendo oggi con la ratifica? Noi crediamo che il voto contrario dei cittadini francesi e olandesi sia stato influenzato da considerazioni nazionali su un problema squisitamente europeo, e sia nato dalla speranza, puntualmente rivelatasi un’illusione, di poter contribuire con il proprio no a negoziare un testo migliore, senza dover pagare alcun prezzo politico.

è bene riflettere sul fatto che, se i cittadini fossero realmente contrari a rafforzare l’integrazione europea, allora questo traguardo sarebbe semplicemente irraggiungibile, perché nessun governo rinuncerà mai al proprio potere se non sarà spinto a farlo da una forte volontà popolare

Infine, è bene riflettere sul fatto che, se i cittadini fossero realmente contrari a rafforzare l’integrazione europea, allora questo traguardo sarebbe semplicemente irraggiungibile, perché nessun governo rinuncerà mai al proprio potere se non sarà spinto a farlo da una forte volontà popolare. Il compito dei federalisti, sin dai tempi del Congresso del Popolo Europeo, è stato proprio questo: mostrare ai governi che i cittadini, a patto che se ne chiariscano loro i vantaggi, sono pronti a fare la scelta europea.

Seconda obiezione: dal momento che non si può buttar fuori alcuno Stato dall’Unione, la Costituzione deve essere approvata all’unanimità

Per prima cosa è bene chiarire che chi propone un referendum paneuropeo sulla Costituzione non vuole buttar fuori alcuno Stato. Gli Stati nei quali i cittadini dovessero respingere la Costituzione potrebbero sempre negoziare con l’Ue uno status di associazione privilegiata, che contemplerebbe tutti i diritti previsti dai trattati attuali, e rientrare in un secondo momento a pieno titolo nella nuova Unione costituzionale tramite un nuovo voto, quando i loro cittadini avranno avuto il tempo di valutare meglio la situazione.

La logica dell’unanimità, che viene spacciata per democrazia, rappresenta in realtà la sua estrema negazione. Oggi 20 milioni di «No» (espressi in Francia e in Olanda), tengono in ostaggio il destino di 450 milioni di cittadini europei, una consistente maggioranza dei quali si è peraltro già pronunciata a sostegno della Costituzione.

Con l’allargamento a 25 stati membri il principio dell’unanimità, che già nell’Europa a 15 aveva mostrato il passo, spingendo i Governi a convocare la Convenzione, è diventato completamente inaccettabile, e rischia di paralizzare l’intero funzionamento dell’Ue, come è stato recentemente confermato dal negoziato sul bilancio 2007-2013. Non a caso, il Trattato d’Unione, più noto come «Progetto Spinelli», approvato dal Parlamento europeo il 14 febbraio 1984 con 238 voti a favore, 31 contrari e 43 astenuti, prevedeva già, all’art. 82, che: “Allorché il presente Trattato sarà stato ratificato da una maggioranza degli Stati membri delle Comunità la cui popolazione costituisca 2/3 della popolazione complessiva delle Comunità, i governi degli Stati membri che avranno ratificato si riuniranno immediatamente per decidere di comune accordo le procedure e la data di entrata in vigore del presente Trattato nonché le relazioni con gli Stati membri che non hanno ancora ratificato”.

E persino nel diritto internazionale, dove pure esiste un grado di integrazione molto inferiore a quello europeo, si è consapevoli che nessun testo potrebbe mai entrare in vigore, ove fosse richiesta l’unanimità delle ratifiche, tanto che i trattati internazionali entrano in vigore quando un numero minimo prefissato di paesi li ratifica.

Terza obiezione: l’integrazione europea non può avanzare senza la Francia

Questa osservazione nasce da un’idea nostalgica d’Europa, legata al mito dei paesi fondatori. Occorre prendere atto che, da allora, è passata molta acqua sotto i ponti. L’allargamento a 25, prima, e presto ad altri Stati che bussano alle porte d’Europa, ha mutato profondamente gli equilibri politici europei e le regole del gioco.

La Francia, oltretutto, appare oggi come un paese allo sbando, ripiegato su se stesso, privo di alcuna reale voce in capitolo sulla politica estera mondiale e incapace di riformare la propria politica economica. I disordini delle banlieu, prima, e la protesta studentesca contro il CPE, poi, ne hanno mostrato la preoccupante fragilità. Lasciare che l’ultima parola sul nostro destino spetti a questo paese (o a qualsiasi altro) equivarrebbe oggi ad un suicidio politico collettivo. Le speranze della Francia di risollevarsi da questa crisi d’identità dipendono al contrario da un rilancio dell’integrazione europea, al quale la Francia stessa avrà tutto l’interesse ad accodarsi.

Non bisogna dimenticare, del resto, che molti sostenevano che sarebbe stato impossibile creare l’euro senza la Gran Bretagna. I fatti hanno mostrato come è andata.

Vi sono poi le numerose obiezioni giuridiche, secondo le quali il referendum paneuropeo sarebbe contrario al diritto, o perché in alcuni paesi è vietato dalla Costituzione, o perché secondo i trattati vigenti la Costituzione, per entrare in vigore, deve essere approvata all’unanimità.

Per prima cosa occorre precisare che, sul piano giuridico, si tratterebbe di un referendum consultivo, non vincolante. Ogni Stato sarebbe poi libero di ratificare o meno il testo in base alle procedure previste dalla propria Costituzione.

Inoltre è chiaro che si tratterebbe di mettere in atto una procedura completamente nuova, che per definizione non può rientrare appieno nel diritto esistente. La storia dell’integrazione europea, del resto, è ricca di esempi di «forzature» del diritto preesistente dettate da una precisa volontà politica di avanzamento. Nel dicembre 1975, al Consiglio europeo di Roma, l’allora presidente di turno Aldo Moro ottenne una decisione a favore dell’elezione diretta del Parlamento europeo nonostante l’opposizione di Gran Bretagna e Danimarca, le quali si adeguarono successivamente per non rimanere isolate. Come se non bastasse, l’elezione del Parlamento europeo si svolge tuttora in contrasto con i Trattati, che prevederebbero una procedura di elezione uniforme su tutto il territorio europeo. Altrettanto accadde nel 1990, quando fu convocata la Conferenza Intergovernativa sull’Unione economica e monetaria, con l’opposizione della Signora Thatcher.

Sarebbe perfettamente possibile, in presenza di una forte volontà politica, almeno da parte di un primo gruppo di Stati, indire un referendum paneuropeo. Qualche Stato potrebbe effettivamente decidere di non parteciparvi, ma ciò non ridurrebbe la portata dell’iniziativa.

Vi è infine, sia nella JEF europea che in una parte del MFE, chi pensa che una carta politicamente importante come quella del referendum andrebbe giocata soltanto in presenza di una Costituzione più avanzata, che dia vita ad una vera Federazione europea.

A nostro avviso non vi sarebbe alcuna possibilità di elaborare una nuova Costituzione in tempi ragionevoli, se quella attuale non dovesse vedere la luce. I governi più ostili alla federazione direbbero che i cittadini non vogliono una Costituzione europea, e tenterebbero di chiudere la partita per molti anni.

La sola ed unica sfida che si pone oggi di fronte a noi, è quello di ottenere la ratifica di questa Costituzione, eventualmente con le modifiche che abbiamo detto. È bene ribadire che questo testo, sia pure con qualche limite, permette di fare importanti avanzamenti. Inoltre, il fatto stesso che la ratifica abbia incontrato delle difficoltà consentirà di aprire molto presto la partita degli emendamenti. E se la Costituzione sarà stata approvata per mezzo del referendum, che per definizione esclude l’unanimità, allora anche gli emendamenti dovranno essere approvati e ratificati con un sistema che escluda a propria volta l’unanimità, e sarà possibile escludere dalla trattativa gli Stati più ostili, perché essi con ogni probabilità non avranno ratificato la Costituzione al primo turno.

Per concludere, se vi sarà un referendum europeo su questo testo, vi saranno in pochi anni le condizioni per arrivare ad un testo nettamente più avanzato, mentre se esso non vi sarà, è probabile che le condizioni per mettere ai voti un testo migliore non si creeranno mai. Sarebbe davvero un peccato sprecare un’occasione storica in nome di un’obiezione di principio.

Articolo tratto da The Federalist Debate, Papers for Federalists in Europe and the World, edizione di Giugno 2006.

Immagini:

 Referendum Plus, il drink energetico usato nella campagna sul referendum sulla costituzione europea in Spagna; fonte: Flickr
 Manifesti in vista del referendum sulla costituzione europea in Francia (Avignon),Maggio 2005; fonte: Wikimedia

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