Sarà il caso ma mentre sto scrivendo questo pezzo mi trovo in visita da un mio amico a Francoforte sul Meno, o Meinhattan, come è soprannominato il centro della città. Ho deciso di scrivere un articolo che cercherà di analizzare tutto quello che è successo dal Consiglio Europeo del 25-26 giugno passando per il referendum greco e l’accordo del 13 luglio fino al weekend successivo del 18-19 luglio. Userò anche commenti emersi successivamente, ma non considererò gli eventi successivi. È vero che è ancora tutto in movimento, però i fatti che stanno determinando gli eventi possono essere fatti risalire a quelle settimane. Settimane di brividi freddi in un’estate afosa.
Il Consiglio Europeo del 25-26 non ha portato, come alcuni federalisti speravano (anche se non si aspettavano moltissimo a dire il vero) novità interessanti per quanto riguarda i progressi sotto l’aspetto istituzionale, ma anzi ha fatto precipitare gli eventi in maniera inaspettata. Una delle più gravi crisi dell’unione monetaria dalla sua fondazione si è palesata all’improvviso.
In questo articolo cercherò di riportare il susseguirsi degli avvenimenti, come sono stati vissuti dall’opinione pubblica, riflessioni sui protagonisti, analisi sulle dinamiche e su cosa fare da oggi in poi.
La delusione del rapporto del 5 presidenti e le difficoltà del Consiglio Europeo del 25-26 giugno
Diciamoci la verità: dal rapporto ci aspettavamo poco, ma è stato veramente una delusione maggiore del previsto. Le critiche sulla pochezza del rapporto sono state numerose [1]. Il documento sulle 4 unioni del 2012 era molto più avanzato. Non si sa quanto l’elezione di Syriza, o l’aumento della componente euroscettica nel parlamento europeo e nei vari parlamenti nazionali possano essere cause di questo arretramento tant’è però che il Consiglio Europeo dove si sarebbe dovuto trovare un accordo, a parere di molti analisti, sulla questione greca partì già piuttosto male dalla vigilia.
Il consiglio e il governo greco non sono riusciti a superare l’impasse che si è creato negli ultimi mesi in particolare per via della delicatissima questione pensioni [2].
Dal referendum greco all’accordo del 13 luglio: due vittorie di Pirro per la destra e la sinistra europea
E insomma si arriva così alla fine all’annuncio shock del 27 giugno in Grecia si terrà un referendum in 8 giorni, su un quesito che riguarderebbe un accordo ormai diventato carta straccia e su due documenti scritti in inglese e altamente tecnici dal cui risultato sarebbe dipeso secondo alcuni il destino dell’euro e dell’Unione e secondo Tsipras e Varoufakis l’inizio della fine dell’austerità in Grecia e in Europa [3].
Il 5 luglio il no vince con più del 60%. Le banche il giorno successivo vengono chiuse per timore di una corsa agli sportelli, viene fissato un limite di prelievo di 60 euro giornalieri e la BCE pur garantendo la liquidità alza il livello del collaterale per ottenerla [4]. Nel frattempo la reazione degli altri paesi non tarda a farsi sentire, soprattutto quella tedesca. Vengono convocati i vertici straordinari dell’Eurogruppo e un Eurosummit dei capi di governo dell’eurozona. Varoufakis si dimette e al suo posto arriva Tsakalotos. All’Eurogruppo Schauble raccoglie il guanto di sfida lanciato dal referendum greco e spara la sua bordata: Grexit temporaneo per cinque anni [5] per consentire alla Grecia il taglio del debito (non possibile secondo i trattati Ue) e per rimettersi in carreggiata. Il ministro tedesco riesce persino a fare scrivere questa proposta, al momento assolutamente non prevista dai trattati, nel draft preparato dall’Eurogruppo per l’Eurosummit del giorno successivo. Questo evento è per molti commentatori la fine del tabù dell’irreversibilità dell’euro dal punto di vista politico. Per evitare un’uscita traumatica dalla moneta unica il governo greco accetta un nuovo pacchetto di austerità, sul quale le opinioni se sia più o meno pesante rispetto a possibili accordi precedenti resta al momento oggetto di dibattito. Abbiamo avuto così due vittorie di Pirro in una settimana: il no del referendum greco che invece di dare a Tsipras più forza ai tavoli negoziali l’ha diminuita e l’accordo che non risolve assolutamente niente ma anzi aggrava la situazione dell’eurozona, diminuisce la fiducia nelle istituzioni europee e fa aumentare la percezione presso l’opinione pubblica internazionale di una Germania tirannica e ottusa.
I protagonisti
Tsipras dal “trionfo” al disastro
Il salvatore della sinistra europea in cerca d’autore è passato dall’essere l’eroe del giorno allo sconfitto o addirittura, secondo alcuni, un traditore nel giro di pochi giorni. Penso che per questi ultimi valga la pena citare Andreou:
“Come è facile essere ideologicamente puri quando non si sta rischiando nulla. Quando non devi fronteggiare la mancanza di beni, il collasso della coesione sociale, il conflitto civile, la vita e la morte. Come è facile chiedere un accordo che evidentemente non sarebbe stato accettato da nessuno degli altri Stati membri della zona euro. Quanto è facile prendere decisioni coraggiose quando non si mette in gioco la propria pelle”.
Il problema è che non si erano fatti i conti con “l’ostessa”. Io infatti mi chiedevo come i partigiani pro-Tsipras fossero così sicuri che con un no Tsipras avrebbe rivoltato il tavolo senza rischiare una Grexit. I suoi sostenitori nella settimana antecedente al referendum erano stati attivissimi sui social media e le tv nel sostenere che il referendum non fosse pro o contro l’euro, ma contro l’austerità questo perché se fosse passato il messaggio per cui il referendum avrebbe potuto determinare l’uscita dalla moneta unica, il sì avrebbe vinto. In questo senso la campagna “oxi” ha avuto successo e Tsipras ha ricevuto un nuovo mandato popolare. La questione però era che, contrariamente a ciò che sostenevano i vari commentatori pro-Tsipras, non c’era alcuna sicurezza che gli eventi si sarebbero sviluppati secondo la lettura del primo ministro greco. Il punto non era solo che non era chiaro quale posizione avrebbero assunto gli altri leader europei, ma anche quali sarebbero state le decisioni individuali e collettive che avrebbero potuto determinare l’uscita incontrollata e involontaria dall’euro della Grecia. Una specie di uscita per “errore”. Dopo tutto durante la guerra fredda non si era mai veramente temuto che le due potenze si dichiarassero guerra per una decisione ponderata, ma per errore umano. Kubrick docet. Invece la sicurezza di costoro era totale, manco Tsipras fosse la reincarnazione del Che.
Vanno dati comunque alcuni meriti a Tsipras: 1) Ha sbloccato una situazione che rischiava di rimanere statica sulle stesse posizioni per almeno due anni; 2) Il suo intervento al parlamento europeo è stato seguitissimo come anche il dibattito successivo. Far tornare il PE al centro del dibattito politico non è una cosa da poco di questi tempi;
Devo dire che negli ultimi giorni Tsipras ha recuperato punti almeno lui sta facendo degli sforzi per tenere la barca a galla il più possibile, non come qualcun altro...
A che gioco gioca Varoufakis?
.. tipo lui. Ebbene sì. Il nuovo supereroe della sinistra pura e dura (ma anche di alcune parti dell’estrema destra), grazie all’intervista del Newstatesman, è un tipo, a voler essere diplomatici, molto ambiguo. Per quanto lo si possa ritenere un’intellettuale di sinistra interessante nel panorama politico europeo, la sua condotta politica lascia più di un dubbio sui suoi obiettivi politici, ma soprattutto individuali. Non sono solo per i suoi comportamenti considerati troppo teatrali e poco graditi dalle sue controparti europee [6]. Ora la maggior parte dei suoi fan hanno gioito di questo suo modo di fare, ma in riunioni di alto livello e così difficili questi comportamenti sono presi per mancanza di professionalità. Le sue mosse successive sono quelle però che mi hanno lasciato più perplesso. I motivi delle sue dimissioni sono molteplici ormai: facilitazione negoziazioni Eurogruppo, differenza di vedute sul piano B con Tsipas o più semplicemente via di fuga dopo il risultato del referendum in caso di uscita dall’euro involontaria o meno con tutte le conseguenze del caso, “il ritiro in bellezza” potremmo definirlo [7]. Anche la sua intervista allo Newstatesman e il suo no al primo voto sugli accordi coi creditori e le sue dichiarazioni su Tsipars non possono che porre ulteriori interrogativi su Varoufakis. Ormai negli ultimi giorni sembra chiaro che tra lui e Tsipras si siano create distanze e che lui si è candidato per essere il leader dell’ala dura di Syriza e forse di Syriza stessa nel prossimo futuro. Anche le dichiarazioni sul piano B pongono non pochi interrogativi sulla sua fattibilità [8] e i suoi effetti (lo stesso Varoufakis ammette che forse la Grecia non ha le capacità tecniche per gestire l’uscita dall’euro). Non si capisce inoltre un’altra cosa: perché non tenere il piano segreto in attesa dei prossimi eventi? Perché svelarlo così? Il governo tedesco sapeva? Se lo sapeva allora il comportamento successivo di Schauble e degli altri, pur essendo criticabile, comincia ad essere più comprensibile.
Un’altra cosa poi è interessante e anche un po’ inquietante: i sostenitori di Varoufakis si sono lasciati conquistare da una figura che per fisico, comportamenti e altro sembra essere un eroe holliwoodiano di film d’azione. Non a caso è stato paragonato a Bruce Willis. Chi dice di combattere per un modello diverso dal capitalismo, non si è accorto di sostenere un prodotto capitalistico. Quando accetti che il sistema crei i suoi propri oppositori hai già perso. Per la serie: Houston abbiamo un problema. Temo che gli oppositori del cosiddetto “neoliberismo” [9] e del capitalismo in generale siano molto più neoliberisti e capitalisti di quanto credano.
Tusk, il jolly
Probabilmente la sorpresa più positiva. Il presidente del Consiglio Europeo evidentemente pur non avendo le capacità di programmazione di Von Rompuy, ha saputo prendere in mano la situazione chiarendo la posta in gioco, mettendo una deadline (fatto sempre importante) e imponendosi alla fine [10].
Non per niente è stato primo ministro per quasi due mandati in Polonia. Da tenere d’occhio per il futuro. Ci sarebbe da chiedersi quale visione abbia sul futuro dell’eurozona e della UE nel suo insieme dato anche il ruolo crescente che avrà la Polonia nei prossimi anni.
Schauble un piano da giorni di un futuro passato
Quando Schauble dopo il referendum ha scoperto le sue carte per molti federalisti il piano non era certo sorprendente soprattutto per chi ha letto il vecchio piano Lamers-Schauble presentato al Bundestag nel 1994. Il piano prevedeva un’eurozona più ristretta e più integrata politicamente e economicamente con economie sempre più convergenti e in cui gli altri paesi sarebbero entrati successivamente. Ora, probabilmente Schauble all’epoca, col senno di poi, aveva ragione, ma ora è troppo tardi per far rivivere un piano concepito 20 anni fa. 20 anni fa la Cina non era nel WTO, la Russia era allo sbando, non c’era stata la guerra in Iraq e la crisi dell’eurozona che ha fatto risorgere spinte nazionaliste allora sopite. Pensare di riavvolgere il nastro è un errore che potremmo tutti pagare caro. In caso di Grexit è molto probabile che l’eurozona sarà un corpo in procinto di morire sotto gli attacchi della speculazione internazionale. A meno che Schauble non pensi veramente di sfruttare il volano di una crisi scatenata da un Grexit per federare l’eurozona ma se è così, al di là del problema morale di farlo sul sangue dei greci, temo che lui la faccia troppo facile.
Schauble si preoccupa, anche giustamente secondo me, della tenuta di una federazione basata solo su trasferimenti fiscali in quanto la solidarietà europea è un concetto che verrà formandosi nel tempo e far poggiare la costruzione su queste basi potrebbe portare a gravi problemi in futuro ciononostante però bisogna considerare che:
– Secondo questo commento dell’Istituto Einaudi non esiste un “nord” in Grecia che possa sostenere il resto dell’economia, ma che data la particolarità della Grecia, almeno per il momento, il nord della Grecia debba farlo l’Europa;
– Non si capisce come l’economia greca possa convergere a livelli ritenuti accettabili senza investimenti in infrastrutture che, stante le politiche di austerità fiscale, non possono essere implementate.
– Esistono in tutti gli stati, federazioni comprese, zone più ricche e più povere. Pensare che tutte diventino ricche è alquanto improbabile anche perché non ci sono solo variabili interne da tenere in considerazione ma anche esterne e indipendenti dalla volontà dei singoli. Un miglioramento è senz’altro auspicabile, ma ci vorranno anni e anni. Noi non abbiamo tutto questo tempo.
– La produzione industriale tedesca non sta andando benissimo negli ultimi anni. Forse perché la maggior parte delle esportazioni tedesche sono intraeuropee e un calo della domanda interna europea potrebbe avere qualche effetto sull’economia tedesca?
– Il modello tedesco ha, come tutti i modelli, i suoi difetti [11].
D’altro canto io ho sempre detto che una volta fatta la Federazione sarebbe cominciato il vero lavoro. Caro Wolfie, non puoi pensare di prevenire tutto.
Marione è bravo ma non è il capo supremo di Eurolandia
Mario Draghi è considerato da molti esperti come l’unico ad agire veramente per il meglio dell’eurozona ed è anche, non a caso, l’unico ad avere poteri quasi federali per poterlo fare.
Durante questa crisi è stato accusato però di essere stato troppo debole e di aver diminuito il suo appoggio alle banche greche. Draghi si è difeso durante la conferenza del 16 luglio [12] trincerandosi dietro al rispetto del mandato della BCE. Va anche detto che le pressioni dopo il referendum erano tali che difficilmente avrebbe potuto fare di più.
In ogni caso le critiche di alcuni di un eccessivo impegno politico di Draghi [13], che andrebbe contro il principio di indipendenza della BCE, sono abbastanza condivisibili, ma il problema è che nel 2012 si era creato un vuoto politico e qualcuno doveva pur agire. Andrebbe pure notato che Draghi è da mesi che dice ai governi di fare la loro parte. La politica monetaria non può fare tutto. Da qui i discorsi sulle questioni fiscali, le riforme da applicare nei paesi, il salto quantico necessario verso un’integrazione più stretta e il riferimento al fatto che l’unione monetaria è imperfetta e quindi fragile e impossibilitata a dare i benefici che potrebbe dare se completata.
Continua...
Ndr.: L’articolo, scritto al termine delle turbolente settimane estive che hanno deciso - per il momento - il futuro prossimo di Grecia e Unione europea - non tiene conto degli avvenimenti piú recenti.
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