Argentina. Questo è il nome che spagnoli e portoghesi diedero alla “terra d’argento”, metallo prezioso che secondo una leggenda i nativi donarono ai conquistatori europei. Una terra ricca di fonti naturali e materie prime, una popolazione di quasi 50 milioni di abitanti (di cui circa la metà di origine italiana) che ha vissuto alti e bassi nella sua storia. Prima la colonizzazione europea, poi l’indipendenza nel 1826 e la democrazia altalenante, di mezzo l’ultima dittatura militare del 1976 ed infine il ritorno della democrazia nel 1983.
Democrazia che quest’anno, nello specifico il 10 dicembre, festeggerà il quarantesimo anniversario dalla sua restaurazione. Rinata dopo il militarismo, i desaparecidos e le Madres de plaza de Mayo, dopo decenni di paura e oppressione. Quarant’anni di grandi passi in avanti, una moderna industrializzazione che ha portato il Paese a essere uno dei più sviluppati della regione, ma anche con l’economia finanziaria più instabile. L’enorme debito pubblico post-dittatura ha messo in difficoltà l’economia, i prestiti del Fondo Monetario Internazionale hanno acuito le disuguaglianze, tutto culminato con la crisi del 2001. Crisi da cui il Paese però è uscito grazie alle politiche di sviluppo dei Governi Kirchner, che evidentemente non sono state del tutto sufficienti (soprattutto dopo l’ulteriore prestito contratto con il Fondo Monetario Internazionale dal Presidente Macri a un anno allo scadere del suo mandato).
Il 10 dicembre sarà anche il giorno della proclamazione del nuovo Presidente, uscito inizialmente dalle Primarie del 13 agosto chiamate PASO [1], successivamente dal primo turno generale del 22 ottobre (sempre nel caso non ci sia bisogno del secondo turno, eventualmente il 19 novembre).
La situazione attuale
"Necesitamos generar un nuevo ciclo virtuoso”. Con queste parole Alberto Fernandez, attuale Presidente argentino, eletto nel 2019 al primo turno con la coalizione di centro-sinistra Frente de Todos (peronista di sinistra e kirchnerista), annuncia la non ricandidatura alle nuove elezioni presidenziali.
L’annuncio di Fernandez avviene dopo quello di Mauricio Macri (ex-Presidente e fondatore del movimento di centro-destra liberale Propuesta Repubblicana) in [un’intervista televisiva del 26 marzo- >https://www.infobae.com/politica/2023/03/26/mauricio-macri-anuncio-que-no-sera-candidato-en-las-proximas-elecciones/], e prima di Cristina Fernández de Kirchner (ex-Presidente, attuale Vice di Fernandez e de facto leader della coalizione peronista) il 16 maggio in una lettera pubblica sul suo sito web.
Questa per il PASO è stata una campagna aspra, alle volte violenta almeno tra i militanti dei vari schieramenti. Tutto questo è dovuto alla situazione drammatica del Paese, il quale rischia di tornare sull’orlo del fallimento. L’inflazione alle stelle, un precario accordo con il Fondo Monetario Internazionale, la crisi economica da post-Covid e la drammatica siccità che non si arresta. La situazione è paragonabile a pochi momenti critici della storia economica dell’Argentina. Sicuramente la nuova amministrazione dovrà dare delle risposte concrete, sia per la politica interna che per i dossier internazionali (la guerra in Ucraina, l’integrazione regionale, il rapporto con la Cina).
I principali macro-schieramenti politici, che si possono contendere il potere, sono sostanzialmente tre:
- Il fronte peronista, Union por la Patria, che con “Alber” [2] e “CFK” [3] fuori dai giochi, la palla passa alle sue fazioni interne, che hanno trovato espressione in due candidati. Dati i possibili mal di pancia interni (tra i peronisti sono frequenti) diciamo che la partita interna ancora non si è conclusa.
- La coalizione liberale, Juntos por el cambio, alleanza che non sembra molto rinnovata, guidata dalla stessa classe dirigente pre-2001 vicina al Presidente Fernando de la Rúa e della controversa amministrazione di Mauricio Macri. Anche Juntos esprime due candidature.
- L’inedita alleanza libertaria di estrema destra, La libertad Avanza, guidata dall’economista Javier Milei, alternativo sia al centro-sinistra peronista che al centro-destra macrista.
I Peronisti
Lo spazio politico peronista, Union por la Patria, esprime due candidature radicalmente opposte tra di loro: Sergio Massa e Juan Grabois.
Massa è l’attuale Ministro dell’Economia e Leader del Frente Renovador, partito centrista peronista, è lo stesso politico che alle elezioni del 2015 decise di andare in solitaria facendo perdere la presidenza ai peronisti, a vantaggio del liberale Mauricio Macri. Massa è visto da molti come un compromesso tra le varie anime “tormentate” dei peronisti, ma allo stesso tempo come un uomo dell’establishment, più volte Ministro e pare favorevole al dialogo con il Fondo Monetario Internazionale per rinegoziare il debito. Il candidato Vice-Presidente di Massa è il navigato peronista Agostin Rossi (attuale Capo di Gabinetto dei Ministri di Fernandez e già Ministro della Difesa), fedele alla linea di CFK.
Juan Grabois invece rappresenta la fazione più movimentista dell’Union por la Patria, vicina alle lotte sociali e sindacali dall’Argentina post-2001. Un giovane giurista, professore di Giurisprudenza all’Università di Buenos Aires, membro del Pontificio Consiglio per lo Sviluppo Umano Integrale e attualmente leader del movimento di sinistra Frente Patria Grande. Espressione di una sinistra movimentista, favorevole all’integrazione latinoamericana e vicina alla dottrina sociale della Chiesa. La candidata Vice-Presidente è Paula Abal Medina, attivista e ricercatrice in scienze sociali. Grabois è convito che questa elezione storica (a quarant’anni dal ritorno della democrazia) sia una lotta politica tra i “figli del 2001” e i “genitori del 2001”, un confronto generazionale e politico allo stesso tempo.
La destra liberale
Juntos por el Cambio, coalizione della destra moderata, figlia dell’esperienza di Governo di Macrì, è espressione di due candidature dei due principali partiti che compongono l’alleanza: Propuesta Repubblicana e la Unión Cívica Radical.
C’è Horacio Rodriguez Larreta (Economista liberale, fedele macrista e attuale Capo del Governo della Città Autonoma di Bueno Aires), con Gerardo Morales candidato Vice-Presidente (Radicale dell’UCR, discusso Governatore della Provincia di Jujuy, ritenuto responsabile dei recenti scontri con la popolazione indigena nella suddetta provincia dopo la controversa riforma del diritto di manifestazione).
E c’è Patricia Bullrich (Ex-peronista vicina al moderato Menem, ex-Ministra di Macri e dirigente di Propuesta Repubblicana) e Luis Petri candidato Vice-Presidente (Radicale dell’UCR ed ex-deputato nazionale per la Provincia di Mendoza). Entrambe figure in continuità con la politica “neoliberista” di Maurizio Macrì, che cercano con fatica di togliersi di torno questo fantasma politico non sempre visto di buon occhio anche dagli stessi componenti della coalizione. I Peronisti rinfacciano ai moderati del Juntos non solo l’amministrazione Macri, ma anche la vicinanza che una buona parte della loro classe dirigente aveva con la presidenza de la Rúa, ritenuta responsabile della grande crisi del 2001. La strada per la riconciliazione con il popolo argentino sembra in salita, ma tutto può cambiare da un momento all’altro. Sicuramente un cambiamento l’elettorato argentino si aspetta, bisogna vedere se il cambiamento porta il volto di Larreta o Bullrich.
L’estrema destra
Invece il candidato dell’estrema destra è Javier Milei (Economista molto liberale, attuale deputato della Città Autonoma di Buenos Aires e fondatore dell’alleanza La Libertad Avanza). Rappresenta una destra conservatrice in campo sociale e «anarco capitalista» (autodefinitosi) in campo economico, negazionista del cambiamento climatico, “avversario del marxismo culturale” e anti-abortista.
Molto simile, se non la replica argentina, di altre destre populiste ed autoritarie già sperimentate nel mondo, anche nello stesso continente americano. La candidata Vice-Presidente è Victoria Villarruel (Giurista, attivista di estrema destra vicina al partito spagnolo Vox e Deputata Nazionale per la Provincia di Buenos Aires), recentemente entrata nel polverone per aver fatto del negazionismo riguardo la dittatura argentina del 76.
Milei, per far fronte all’aumento dei prezzi e del debito pubblico, propone la cosiddetta “dollarizzazione”, ovvero l’aggancio del Peso argentino al Dollaro, per scongiurare un’ulteriore svalutazione della moneta. Bisogna dire però che quest’ultimo è un controverso esperimento già testato in Argentina ai tempi di Carlos Menem, che portò il Paese prima alla recessione poi al default nel 2001.
Le sfide in politica estera
Le due grandi sfide in politica estera di cui il futuro Presidente dovrà occuparsi sono l’integrazione regionale con il Brasile ed il rapporto con la Cina.
Con la vittoria in Brasile di Lula da Silva si è aperta e forse consolidata a strada dell’integrazione regionale. Il Brasile è il paese con il quale l’Argentina di Fernandez sta progettando l’uso di una moneta comune per evitare l’utilizzo del dollaro come moneta commerciale. Così facendo l’emancipazione totale dell’ingombrante vicino nordamericano non sembra dietro l’angolo, ma forse il rafforzamento dell’autonomia si trova in fondo ad uno o due quartieri più in là.
Il rapporto con la Cina sicuramente è la sfida più grande dell’attuale e del futuro governo argentino. Pechino nei confronti del paese dell’America Latina sta mettendo in campo il suo classico metodo di colonizzazione economica. Una sorta di colonizzazione concordata con il colonizzato. Due esempi concreti: a giugno nei pressi della Tierra del Fuego è stata progettata la costruzione di un porto da parte di una compagnia di stato cinese, un investimento da 1,25 miliardi di dollari, per imbarcare materie prime prodotte nella regione (ricca di gas e con un forte potenziale industriale) e l’uso di una centrale elettrica; a luglio il Governo Fernandez, con il Ministro Sergio Massa, ha stretto un accordo con la Cina per effettuare i pagamenti in Yuan delle importazioni commerciali e parte del debito con il Fondo Monetario Internazionale, evitando di attingere alle riserve di dollari in esaurimento. Questo per provare a rilanciare il commercio estero e pagare l’oneroso debito pubblico. Questi accordi rendono l’Argentina sempre più dipendente da Pechino e inevitabilmente influenzano il proprio posizionamento internazionale (basta vedere la neutralità dell’Argentina di fronte il conflitto in Ucraina).
Come andrà a finire?
Una cosa con certezza possiamo dirla: l’Argentina sembra sempre più polarizzata e non si sa bene di che colore sia la luce in fondo al tunnel o come saranno le curve del tunnel. Gli ultimi sondaggi danno un quasi testa a testa tra il Cambio (31,9%) e la Unión (30,8%), a seguire la Libertad (20,8%).
La destra liberale dopo quattro anni di opposizione sembra abbastanza compatta, anche se la lotta per la leadership presidenziale creerà delle crepe; Milei da parte di quasi tutti i settori tradizionali della politica argentina è visto come un candidato folkloristico (anche se non sarebbe la prima volta che un politico populista di destra sfati i pronostici); infine la Union kirchnerista si presenta unita ma scontenta, ecco perchè la parola d’ordine della base peronista è “unidad, unidad y unidad”.
Aspettiamo e vedremo i risultati. Sicuramente come diceva Mercedes Sosa: “todo cambia en este mundo”.
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