Seconda parte dell’analisi dell’articolo di Simone Giorgione e Daniele Panella sul caso dello scontro tra la Corte Costituzionale Tedesca e la Banca Centrale Europea.
( Trovate la prima parte qui )
RAPPORTI TRA CORTI
L’art. 267 TFUE assegna un particolare e importantissimo compito alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ovvero quello di interpretazione dei Trattati e degli atti delle Istituzioni dell’Unione Europea. Le pronunce della Corte lussemburghese sono vincolanti per i giudici degli Stati membri, i quali sono obbligati a decidere il caso secondo l’interpretazione fornita.
In linea generale la Corte Costituzionale italiana è sempre stata ben disposta, nonostante i contrasti avuti in passato sulla supremazia del diritto dell’Unione, a imboccare la strada del dialogo nei confronti della Corte di Giustizia. Un esempio in tal senso arriva, proprio di recente, dal caso Taricco. Con sentenza depositata in data 8.9.2015, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea aveva stabilito la disapplicazione degli artt. 160, co. 3 e 161, co. 2 del Codice penale, in materia di atti interruttivi della prescrizione, da parte del giudice quando, l’intervenuta prescrizione, avrebbe comportato da un lato, con riguardo all’art. 325, par. 1, TFUE l’impossibilità di infliggere sanzioni per «numero considerevole di gravi casi di frode che ledono gli interessi finanziari dell’Unione» [1] e, dall’altro, con riferimento all’art. 325, par. 2 TFUE, quando «il termine di prescrizione, per effetto delle norme indicate, risulta più breve di quello fissato dalla legge per casi analoghi di frode in danno dello Stato membro» [2].
La Corte di Cassazione e la Corte d’Appello di Milano hanno però ritenuto che l’art. 325 TFUE, così come interpretato nel caso Taricco, si ponesse in contrasto con 3, 11, 27, co.3, 101, co. 2, ma, più importante di tutti, anche con l’art. 25, co. 2 Cost. L’istituto della prescrizione, infatti, rientra nel regime del diritto penale sostanziale e, dunque, non può sfuggire al principio della riserva di legge consacrato nell’art. 25, co. 2 della Costituzione. Invero, la prescrizione, se basata sulle generiche espressioni del “numero considerevole di casi” ovvero sulla “grave frode”, alla luce della giurisprudenza Taricco, cesserebbe di essere legale ledendo la soglia di determinatezza necessaria nonché il divieto di retroattività, essendo i fatti in contestazione anteriori all’8.9.2015. Così, con ordinanza n. 24 del 2017, la Corte Costituzionale ha disposto un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, rimettendo ad essa la questione sull’applicabilità della regola “Taricco”. La “Grande Chambre” della Corte di Giustizia con sentenza del 5.12.2017 ha statuito l’obbligo per il giudice nazionale di disapplicare la regola “Taricco” nel caso in cui questa contrasti con il principio di legalità e sufficiente determinatezza della fattispecie. Più nello specifico, la Corte ha da un lato stabilito che la regola non può essere applicata a fatti anteriori, in virtù del divieto di retroattività in malam partem; dall’altro che spetta ai giudici nazionali la valutazione della compatibilità della regola con l’ordinamento interno. Quindi possiamo con orgoglio affermare di aver ottenuto una vittoria notevole; vittoria, ottenuta con lo strumento ideale del dialogo senza comportare alcuna frizione od ostacolo all’integrazione europea, in un momento durante il quale la nostra Corte avrebbe potuto opporre i “controlimiti”, scegliendo sicuramente la via più conflittuale. Ma così non è stato. Infatti, «va certamente riconosciuto come la ‘strategia diplomatica’ che ha pervaso l’ordinanza n. 24 del 2017 sia risultata vincente; ha pagato, in termini di risultato finale, la scelta, pur a fronte di una motivazione ferma nel sostenere la natura sostanziale della prescrizione e l’importanza della legalità in materia penale quale “principio supremo dell’ordinamento” […]» [3].
IL 5 MAGGIO TEDESCO
Il 5 maggio 2020 è il giorno in cui il martello tedesco si è abbattuto con più violenza sull’Unione, già alle prese con un nemico nuovo, misterioso ed invisibile, come definito da qualcuno. Questa volta vi è, però, una differenza: il martello è stato impugnato non da ambiziosi politicanti, ma da chi avrebbe il dovere di valutare che le scelte politiche siano, in ottica di reciproco controllo e bilanciamento, coerenti con il sistema. Così, la Corte Costituzionale tedesca, con fare quasi da bullo arrogante, ergendosi a unico custode delle conoscenze e verità enunciate dai trattati: « a. ha detto che la Banca centrale europea (BCE) dei tempi di Draghi ha operato al di là delle sue competenze, confondendo la „politica monetaria“ (che fa parte delle competenze esclusive dell‘Unione) con la „politica economica“ (di cui l’Unione al più assicura il coordinamento dettandone gli indirizzi di massima); b. ha dato dell’incompetente alla Corte di giustizia dell’Unione europea (che, male utilizzando il criterio di proporzionalità, scriverebbe sentenze non intelligibili, che pertanto non vanno rispettate, essendo ultra vires, cioè al di là competenze attribuite alla Corte dai Trattati); c. ha ordinato al Governo federale e al Parlamento tedesco di opporsi al sistema europeo degli acquisti di titoli pubblici; d. ha ordinato alla Bundesbank di uscire dal sistema europeo di banche centrali; e. a meno che, entro tre mesi, la BCE non dia sufficienti (cioè: condivisibili dal Tribunale tedesco) giustificazioni circa il suo operato» [4]. Non esistono parole migliori per descrivere l’operato della Corte. Come già accennato in sede introduttiva, nel 2018 la Corte di Giustizia aveva concesso un bel due di picche alla questione sollevata dalla Corte tedesca, ribadendo che il PSPP fosse perfettamente compatibile con gli scopi assegnati alla BCE dall’art. 127 TFUE. Proprio quest’ultima norma, infatti, assegna alla Banca Centrale, nonché all’intero sistema di banche centrali (SEBC), l’obiettivo di mantenere la stabilità dei prezzi e di perseguire gli obiettivi previsti dall’art. 3 TUE, tra i quali figura « lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente» [5]. Dunque, vengono attribuite alla BCE le competenze in politica monetaria, lasciando quelle di politica economica, seppur strettamente fiscale, agli Stati membri, con l’inevitabile commistione tra le due.
Bisogna, poi, ricordare che l’Unione Europea, in forza dell’art. 5 TUE, opera attraverso i principi di attribuzione e proporzionalità. Invero, essendo l’Unione un ordinamento derivato, non gode di poteri originari, ovvero di poteri propri, ma gode solo di poteri che gli Stati istitutivi della stessa gli hanno volontariamente attribuito. Poteri che, nonostante siano volontariamente attribuiti devono essere proporzionati e congrui agli obiettivi perseguiti, ponendo, dunque, un freno all’attività dell’unione. In altre parole, ogni attribuzione all’UE rappresenta una limitazione alla sovranità statale. Proprio argomentando dalle attribuzioni, il Secondo Senato di Karlsruhe si chiede se il PSPP rientri nelle competenze della BCE e se, dunque, i principi di attribuzione e proporzionalità siano stati rispettati. Invero, secondo la Corte tedesca, la BCE avrebbe agito al di fuori delle proprie attribuzioni laddove una politica espansiva come il PSPP che, lungi dall’essere una politica monetaria in senso stretto, avrebbe comportato numerosi effetti anche nell’economia reale, accusando la Corte di Giustizia di aver valutato, sic et simpliciter, il programma come coerente con gli obiettivi perseguiti e, dunque, pienamente proporzionato. La Corte di Giustizia, infatti, ha ricordato che «In tale contesto, risulta dal considerando 4 della decisione 2015/774 che, al fine di raggiungere l’obiettivo di tassi di inflazione inferiori, ma prossimi, al 2%, il PSPP mira ad allentare le condizioni monetarie e finanziarie, comprese quelle delle società non finanziarie e delle famiglie, al fine di sostenere i consumi aggregati e le spese per investimenti nella zona euro e di contribuire in ultima analisi ad un ritorno nel medio termine ai tassi di inflazione preventivati» [6]. Di qui, in una circostanza che il quantitativo di titoli da acquistare fosse predeterminato mensilmente, nonché alla temporaneità della misura, il risultato della piena proporzionalità con l’obiettivo perseguito.
Se “il fine giustifica i mezzi”, come scriveva Machiavelli nel 1500, allora la Banca Centrale Europea è riuscita nel suo intento. Il “whatever it takes”, per quanto compiutamente argomentato sopra, si è concretizzato in un salvataggio dell’euro e dell’Eurozona; il differenziale sui titoli di stato è diminuito e nel corso degli anni, stabilizzandosi a livelli “naturali” secondo l’ottica mainstream rispetto i rapporti tra debito pubblico/pil e deficit pubblico/pil. Il target principale dell’inflazione al di sotto del 2% e la stabilità dei prezzi è stato raggiunto nel corso degli anni nonostante un ritardo “fisiologico” della trasmissione della politica monetaria sull’economia reale.
Source 2 ECB database.
Chi ha beneficiato di questa concomitanza di fattori è statasicuramente la Germania, almeno in termini di costo di finanziamento del debito essendo stata fra le nazioni ad aver beneficiato maggiormente della politica di QE. Inoltre, è riuscita a migliorare le proprie condizioni economiche, generando crescita del PIL, aumentando la produttività, implementando politiche di deflazioni dei salariali e realizzando surplus commerciali da record nel corso degli anni. Il banchiere centrale ha operato come arbitro nel conflitto tra Stati sovrani che emettono debito: da un lato i paesi periferici oggetto di forte speculazioni che invocavano, giustamente, la di riduzione dei tassi di interesse e l’intervento della banca centrale nell’acquisto dei titoli; dall’altro lato i paesi relativamente più forti, capeggiati dalla Germania, che richiedevano una politica monetaria più restrittiva. [7]
Quindi, è certo che una simile politica come quella del QE si pone come compromesso tra gli interessi dei diversi stati europei; ma è altrettanto certo che una politica totalmente neutrale non può esistere e che, in un modo o nell’altro, andrà a vantaggio di alcuni ed a discapito di altri. Una volta stabilito, dunque, che il PSPP rientra all’interno delle competenze assegnate alla BCE non risultando ultra vires e, dunque, rispettoso del principio di attribuzione, va stabilito a chi spetterebbe il potere di sindacare la legittimità di atti in contrasto con tali principi che: «per la Corte tedesca non può competere in ultima istanza alla Corte di giustizia perché altrimenti c’è il rischio che l’UE riplasmi a proprio vantaggio la di-stribuzione delle competenze tra ordinamento sovranazionale e Stati membri, introducendo modifiche sostanziali ai Trattati, seppure nella via informale delle pronunce giurisdizionali. Ma la soluzione alternativa presenta il rischio speculare che sia il tribunale costituzionale a riplasmare il riparto competenziale, questa volta a vantaggio dello Stato membro e sempre senza passare per una modifica formale dei Trattati» [8]. Alla luce di quanto detto, non sarebbe azzardato affermare che dietro una tale statuizione vi sia un possibile, e malcelato, interesse nazionale, o politico, in un momento di grossa difficoltà per l’Unione. Inoltre, dato ormai certo è che le Corti Costituzionali hanno un gran potere. Proviamo per un secondo ad immaginare se la nostra Corte, come tutte le altre, «dichiarasse la contrarietà a Costituzione delle misure obbligatorie di aggiustamento macroeconomico legate al fondo salva-Stati, per violazione dell’obbligo costituzionale di politiche di piena occupazione quale può evincersi dall’art. 4» [9], facendo, così, valere i propri “controlimiti”; il risultato sarebbe disastroso ed in grado di porre un definitivo freno all’integrazione europea.
Sarà, quindi, compito delle Istituzioni Europee trovare un nuovo equilibrio, e sarà, sicuramente, compito della Banca Centrale Europea, nelle mani della nuova presidente, Christine Lagarde, giustificare l’operato del suo processore, la quale non si è detta affatto preoccupata dalla pronuncia del Tribunale Costituzionale tedesco Ancora una volta, il futuro dell’Europa è nelle mani del suo banchiere centrale. Il destino dell’Unione è arrivato ad un bivio. Tick tock European Union, time is over (?).
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