Bielorussia e democrazia

, di Stefano Spoltore

Bielorussia e democrazia
Fonte: Protest actions in Minsk (Belarus), August 16, Wikimedia Commons, https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Protest_actions_in_Minsk_(Belarus),_August_16.jpg

Le dimostrazioni di protesta in Bielorussia contro la rielezione a presidente di Aljaksandr Lukašėnka ripropongo il tema della democrazia in molte delle Repubbliche sorte all’indomani del crollo dell’URSS. Alle recenti elezioni, con gli oppositori incarcerati o fuggiti all’estero, Lukašėnka si è riconfermato Presidente dove governa incontrastato dagli anni ’90. La stessa cosa accade in Azerbaigian, Kazakistan, Turkmenistan, Tagikistan, dove gli stessi presidenti vengono eletti ancora e ancora, con elezioni farsa fin dal crollo dell’Unione Sovietica ormai trenta anni fa. A questo elenco potremmo aggiungere anche la Russia, dove, dagli inizi del nuovo secolo, Putin governa alternando il proprio ruolo da primo ministro a presidente e dove, dopo il referendum costituzionale approvato il luglio scorso, potrà governare sino al 2030.

La democrazia in senso occidentale, come dichiarato da Putin nell’estate del 2019, sembra non adattarsi alla Russia e alle sue ex-repubbliche. Le elezioni e i referendum popolari sono utilizzati per dare una parvenza di legittimazione popolare a governi in realtà di stampo autoritario.

Le proteste in Bielorussia presentano una peculiarità che la UE dovrebbe incoraggiare: invocano nuove elezioni, la liberazione degli oppositori, ma non chiedono una rottura dei legami con la Russia, né invocano un avvicinamento all’Unione Europea. È l’esatto contrario di quanto avvenuto cinque anni fa con le proteste popolari in Ucraina, quando il Paese si spaccò tra i sostenitori della firma di un accordo di associazione all’Unione Europea e quelli contrari perché fautori di un’intesa economica con la Russia. Quell’accordo non fu siglato e iniziò una guerra civile, di cui si trascinano gli echi ancora oggi, che ha portato la regione più ricca del Paese, il Donbass, a proclamare la propria indipendenza con il sostegno della Russia. In quella regione è ancora in corso una cosiddetta guerra silenziosa. La doppia anima dell’Ucraina, in parte filo-occidentale e in parte filo-russa, la rende vittima di sé stessa, con precise responsabilità di USA e UE che anziché favorire il dialogo hanno fatto di tutto per spingere il governo ucraino verso posizioni occidentali (vedi la proposta di entrare a far parte della Nato) che hanno ulteriormente irrigidito le posizioni nel Paese dei filo-russi e del Cremlino stesso.

In Bielorussia lo scenario degli oppositori di Lukašėnka vede il tentativo di dar vita a una “via nazionale” del Paese, una sorta di terza via, per non schierarsi o contrapporsi all’Occidente o alla Russia. Si tratta di un tentativo che garantirebbe alla nazione di svolgere un ruolo di ponte tra est e ovest. Sembra quasi che le vicende ucraine abbiano suggerito una diversa strada da percorrere per difendere e sostenere la democrazia.

Per dare forza a questo proposito un ruolo chiave potrebbe svolgerlo l’Unione Europea se non si appiattisse sulle posizioni statunitensi. Al momento l’Occidente si è limitato a non riconoscere le elezioni presidenziali e ha annunciato sanzioni contro la Bielorussia, con il risultato che dopo alcune prime dichiarazioni critiche di Putin al modo in cui erano state gestite le elezioni nel paese, Mosca si è poi schierata in totale aiuto a Lukašėnka che non ha perso tempo nel parlare di complotti occidentali contro il suo Paese.

La questione di fondo per l’Unione Europea è che per essere credibile e per favorire il dialogo con la Russia e alcune delle sue ex repubbliche deve avere una propria politica estera e di difesa, autonoma rispetto agli USA. Sino a quando invece la UE appoggerà la politica estera statunitense (sia che al governo vi sia un presidente democratico oppure uno repubblicano) la credibilità e l’efficacia delle sue azioni resteranno vane come le vicende ucraine purtroppo hanno, e stanno tutt’ora, dimostrando ampiamente.

In questo contesto i manifestanti e le proteste popolari a Minsk rischiano di restare senza uno sbocco democratico ma, anzi, di sfociare in un inasprimento della repressione per di più con l’appoggio russo.

Il popolo bielorusso, come quello ucraino, rischiano di restare prigionieri dei propri sogni di libertà, vittime della contrapposizione russo-americana con l’Unione Europea incapace di agire in modo autonomo, perché priva di un governo e quindi della necessaria autorità e credibilità. Non c’è credibilità senza potere e questo è un tema che gli europei dovranno affrontare e porre al centro del dibattito nei prossimi mesi nel corso della Conferenza sul futuro dell’Europa. Le sole parole di solidarietà o le sanzioni non garantiranno purtroppo al popolo bielorusso il diritto alla democrazia.

L’articolo è uscito come «Lettera al giornale» sul quotidiano, cartaceo, «La libertà», del 20 ottobre 2020.

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