Il Parlamento europeo che i cittadini hanno deciso con il loro voto del 6-9 giugno ha una composizione diversa da quella che abbiamo conosciuto nell’ultimo quinquennio, ma meno di quanto si aspettavano i sondaggisti. Per capire quale maggioranza ci aspetta, tocca guardare a come sono andate queste elezioni europee.
Che le destre abbiano vinto è un dato di fatto. Partito Popolare Europeo (PPE), Identità e Democrazia (ID) e Conservatori e Riformisti Europei (ECR) escono trionfanti dalla tornata elettorale, con i loro partiti di rappresentanza che ottengono la maggioranza dei seggi in quindici dei ventisette Stati membri. Eppure, la prossima maggioranza non è da dare per scontata, e con lei, la prossima Commissione, con il suo o la sua Presidente.
Il dato più impressionante si registra in Francia, non tanto per chi ha vinto, il Rassemblement National (RN) di Marine Le Pen e Jordan Bardella - già primo partito oltralpe nel 2019 - ma per come lo ha fatto: con uno schiacciante 30% che gli assicura di essere il partito più rappresentato all’interno del Parlamento europeo. Le prime proiezioni, poi confermate dal risultato, uscivano mentre in altri Paesi, tra cui l’Italia, le urne erano ancora aperte. A queste, il Presidente Emmanuel Macron - il cui partito ha raccolto la metà dei consensi di RN - ha risposto in modo drastico, sciogliendo l’Assemblée Nationale Législative e indicendo nuove elezioni.
Tuttavia, è altamente improbabile che ID, Eurogruppo trainato da RN, farà parte della nuova maggioranza europea. Innanzitutto a causa della Lega.
Il partito italiano si è salvato alle urne, ottenendo il 9% dei consensi, grazie alla candidatura del Generale Roberto Vannacci, l’ex militare della Folgore che ha ottenuto nei mesi scorsi una notevole visibilità mediatica per le sue colorate esternazioni sui temi dell’etnia e dell’orientamento sessuale. Senza Vannacci e le sue 550mila preferenze, sarebbe stato una Caporetto per il partito di Matteo Salvini, che dai 19 seggi conquistati con il 34% dei consensi di cinque anni fa è passato a raccoglierne solo 8.
C’è poi da considerare il risultato della Germania, dove Alternative für Deutschland ha superato le aspettative con un 15.90% di consensi che gli è valso il secondo posto in patria, dietro ai popolari della Christlich Demokratische Union Deutschlands (CDU), e 17 seggi al Parlamento europeo. Il partito di estrema destra tedesco faceva parte di ID fino a poche settimane fa, ma le ultime esternazioni dell’esponente di punta Maximilian Krah, essenzialmente un sminuimento delle colpe delle Schutzstaffel naziste, oltre alle indagini sullo stesso Krah e su Petr Bystron per una presunta collaborazione con i servizi segreti cinesi, hanno comportato un espulsione dal gruppo. Gli esponenti di AfD siederanno quindi nelle fila dei non iscritti, ed è pressoché impossibile che qualsiasi altro partito voglia stringere accordi con loro.
A conti fatti, ID occupa 58 seggi nel nuovo Parlamento, gli stessi del mandato appena concluso. Non è però più sesta forza dell’emiciclo; complice il ridimensionamento dei Verdi, si ritrova a essere la quinta.
Per un partito italiano che determina la poca influenza di un Eurogruppo, ce ne sono altri che ne fanno la forza, a partire da Fratelli d’Italia (FdI). Vincitore delle elezioni in Italia, il partito di destra ha anch’esso accentrato il suo appeal su una personalità: la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, detta Giorgia, recordwoman di preferenze. Il nome della leader di partito è stato scritto su più di 2 milioni di schede elettorali, anche se è noto che rinuncerà al seggio per incompatibilità di incarichi. Con 24 seggi su 73, FdI è il partito più numeroso di ECR, è prima causa dell’aumento di seggi dell’Eurogruppo (che nello scorso mandato erano 67) ed è l’unico grande partito d’Europa ad aver confermato la vittoria delle precedenti politiche aumentando il proprio consenso in termini percentuali. Da tempo, Ursula Von der Leyen, Presidente della Commissione europea uscente e Spitzenkandidat del PPE, flirta politicamente con Meloni e non è un mistero come gradirebbe l’appoggio suo e, possibilmente, di tutta ECR per un secondo mandato, ma c’è chi vuole impedirlo.
Si tratta del gruppo dei Socialisti e Democratici (S&D), il cui Spitzenkandidat Nicolas Schmit aveva apostrofato i partiti di ID e ECR come “non democratici”. Per Schmit, l’unica coalizione possibile è quella uscente, composta da PPE e S&D con i liberali di Renew Europe e i Verdi. Stessa cosa sostiene Elly Schlein, Segretaria del Partito Democratico (PD), il cui risultato alle urne definisce un ruolo importante nel Parlamento europeo. Il PD, uscito dalla torre d’avorio in cui si era barricato negli ultimi anni, ha raggiunto il 24%, migliorando sia in termini percentuali che di voto il risultato delle scorse politiche e delle scorse europee. Non solo. Con i suoi 21 seggi, il PD è il partito più numeroso di S&D, scalzando il Sozialdemokratische Partei Deutschlands (SPD) tedesco che ha deluso con un misero 13.90%. A dare man forte nell’Eurogruppo ci sono gli spagnoli del Partido Socialista Obrero Español (PSOE), usciti sconfitti da un testa a testa con il Partido Popular (PP) ma comunque sostenuti dal 30% degli elettori, e i francesi del Parti Socialiste (PS), tornati a contare, dopo anni tremendamente bui, grazie alla coalizione Réveiller l’Europe.
Le forze politiche più numerose di S&D hanno un punto in comune non indifferente: si scontrano quotidianamente in patria con la destra. In Italia, il PD con Lega e FdI, in Spagna, il PSOE con Vox (che ha portato 6 seggi a ECR) e con il neonato Se Acabó la Fiesta (che ancora non sappiamo dove posizionerà i suoi 4 seggi nell’emiciclo), in Francia, il PS con RN e con Reconquête! di Éric Zemmour (che pure ha raccolto 5 seggi per ECR). Tale aspetto può condizionare notevolmente il PPE, gruppo più numeroso dell’Europarlamento, soprattutto per via di certi partiti non di poco conto che vi appartengono.
Appare improbabile che sia la CDU di Von der Leyen a proporre di non includere ECR nella maggioranza, specie dopo essere stato il primo partito a indicare la necessità di un passo indietro sul Green Deal al Congresso del PPE a Budapest e dopo aver consolidato i rapporti con FdI. Potrebbe invece essere più convincibile Platforma Obywatelska (PO) di Donald Tusk, partito polacco che occupa 20 seggi nel PPE e che ha vinto per un pelo le elezioni contro l’euroscettico Prawo i Sprawiedliwość (PiS), appartenente a ECR. I due partiti polacchi differenziano molto sull’approccio all’Unione europea, e con la contrarietà del PO sarebbe durissima per Von der Leyen riuscire a costruire la Große Koalition che va da S&D e ECR passando per Renew Europe.
Numeri alla mano, senza S&D non è possibile nessun’altra maggioranza realistica, nemmeno una comprendente PPE, ECR e ID, che si fermerebbe a 317 seggi, numero lontano dai 361 necessari. L’unica chance per una maggioranza di destra sarebbe riabilitare AfD e raccogliere altri consensi tra i non iscritti, ma ne verrebbe fuori una soluzione ancora più sgradita a tanti esponenti del PPE, e pure a qualcuno di ECR. Oppure convincere Renew Europe ad apprezzare sia ECR sia ID, forse una missione ancora più difficile.
Un tentativo di Von der Leyen con esito fallimentare, tra l’altro, potrebbe bruciare le sue possibilità di essere rieletta Presidente della Commissione. Già nel 2019 non tutti gli esponenti della maggioranza erano convinti della sua figura e fu necessario l’apporto del Movimento 5 Stelle (M5S) tra le fila dei non iscritti. Oggi, la fiducia nei suoi confronti è appesa a un filo, e il PPE è una vasca di squali pronti a soffiarle le candidatura. C’è la Presidente uscente del Parlamento europeo Roberta Metsola, che parte però svantaggiata dal risultato del suo partito, il Partit Nazzjonalista (PN) di Malta, sconfitto alle urne dai socialisti del Partit Laburista (PL), c’è l’intramontabile Manfred Weber, del CDU come Von der Leyen, e ci sono degli outsider come il Primo ministro croato Andrej Plenković del partito Hrvatska Demokratska Zajednica (HDZ), capace di vincere le elezioni europee con dieci punti di distacco sulla prima compagine di opposizione.
Rispetto a cinque anni fa, il cosa ci aspetta sarà determinato solo in pochissima parte da Renew Europe, che soffre la sconfitta di Renaissance in Francia, il flop del Freie Demokratische Partei (FDP) in Germania, e la mancata elezione di Eurodeputati in Italia, con le liste Stati Uniti d’Europa e Azione-Siamo Europei rimaste entrambe sotto la soglia di sbarramento. Renew Europe rimane comunque la terza forza nell’Europarlamento, ma con un numero di seggi esageratamente ridimensionato a quello dello scorso mandato, 79 a 101. I Verdi invece, potrebbero non essere nemmeno interpellati. Alle scorse elezioni, forti del contrasto alla crisi climatica tornato all’ordine del giorno grazie alle manifestazioni di Fridays For Future, avevano eletto 71 Eurodeputati, stavolta solo 53. Un vero peccato per il partito italiano Alleanza Verdi-Sinistra (AVS), sorpresa delle elezioni con il 6.9% dei consensi.
Insomma, il gioco dei troni non presenta tante alternative, ma potrebbe riservare delle sorprese. Sicuramente non si tratterà di trattative da svolgere senza preoccupazioni, le guerre in Ucraina e in Medio Oriente non aspettano, la crisi climatica non arretra, la popolazione europea è da convincere e da coinvolgere, considerato che solo la metà - il 51.01% per l’esattezza - si è recata alle urne, con una percentuale di affluenza intorno o addirittura sotto al 40% nella maggioranza degli Stati membri. Infine, non c’è da dimenticare come a novembre si voti anche dall’altro lato dell’Oceano, e come nel 2016 il risultato di quell’elezione colse l’Unione europea totalmente impreparata a doversela cavare da sola. Sempre meglio prevenire che curare.
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