Cose turche, con curdi, scandinavi e NATO

, di Cesare Ceccato

Cose turche, con curdi, scandinavi e NATO
U.S. Mission to NATO, Public domain, via Wikimedia Commons

All’ultimo vertice NATO di Madrid è stato approvato l’ingresso nell’organizzazione di Svezia e Finlandia, non senza qualche polemica di sottofondo. Il malumore della Turchia verso i presunti terroristi curdi ospitati nei citati Paesi scandinavi avrebbe portato, secondo la ricostruzione di numerosi organi di stampa, a un infame compromesso dell’Alleanza Atlantica con Erdoğan, è davvero andata così?

Sul finire del mese di giugno, si è riunito a Madrid il trentatreesimo vertice della NATO, importante momento di confronto per i Capi di Stato e di Governo dei Paesi aderenti all’Alleanza Atlantica sulla possibilità di introdurre nuove politiche, lanciare nuove iniziative, invitare nuovi membri e costruire partnership con Paesi non NATO. Quello di Madrid è stato il terzo vertice andato in scena quest’anno, un unicum nella storia dell’organizzazione, giustificato - come si può immaginare - dall’invasione russa in Ucraina e dalle sue conseguenze. Tra queste, la volontà di Svezia e Finlandia di aderire alle attività dell’Alleanza.

I due Paesi scandinavi, da quasi vent’anni facenti parte dell’Unione europea, in campo militare si sono contraddistinti per una lunga tradizione di neutralità. La Svezia non è mai stata convinta di un’adesione alla NATO, oltre che per ragioni di opportunità geopolitica, per una forte ideologia pacifista. Il mantra di Stoccolma per preservare la pace, dal termine della Guerra Fredda, è stato “dialogo e disarmo”, non a caso, la propria spesa militare è diminuita anno dopo anno. L’inversione di tendenza si è avuta nel 2014, quando la Russia ha annesso la Crimea. Oggi, con le ostilità dei vicini di casa cresciute ancora di più, non ha visto altra strada che seguire gran parte dell’Occidente. Stesso discorso si applica per la Finlandia, Stato a lungo bipartisan, visto il Patto di non belligeranza stretto a fine Seconda Guerra Mondiale con l’Unione Sovietica e le sporadiche collaborazioni con la NATO, tra cui l’importante adesione al programma “Partnership for Peace”. Quanto portato avanti da Putin in Ucraina è stato decisivo per la decisione di fare domanda di appartenenza all’Alleanza Atlantica.

Efficienti dal punto di vista economico, collaborativi, senza evidenti attriti con gli altri Paesi membri dell’organizzazione e ottimi promotori del processo di integrazione europea, per Svezia e Finlandia la strada per entrare a far parte dell’organizzazione sembrava spianata. Eppure, dopo una vigilia concitata, sono state necessarie quattro ore di discussione affinché la richiesta di adesione ottenesse parere positivo all’unanimità. A ostacolare il tutto, ci si è messa la Turchia. Casus belli: l’ospitalità che i due Paesi scandinavi offrono ai rifugiati politici curdi, tra i quali figurerebbero anche dei certificati terroristi.

Gli episodi nel conflitto curdo-turco, visto anche da quanto tempo si sta consumando, hanno portato a uno smisurato numero di considerazioni, inferiore probabilmente solo a quello relativo al conflitto israeliano-palestinese. Le cose certe da tenere in conto per parlare di quanto successo a Madrid sono l’effettiva presenza di profughi curdi in Svezia e Finlandia, il riconoscimento da parte dell’Unione europea del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) quale organizzazione terroristica dal 2002, la politica di repressione del Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan verso i gruppi combattenti curdi senza evidente distinzione tra PKK, PYD e YPG/YPJ e le elezioni presidenziali in Turchia del 2023.

Stringere un’alleanza militare con Stati che non portino avanti una politica anti-terroristica è senza alcun dubbio inaccettabile, questa situazione, secondo Erdoğan, si sarebbe verificata con l’adesione di Svezia e Finlandia. Il Presidente turco ha fermamente sostenuto che tra i rifugiati curdi che i due Paesi ospitano, ci siano importanti esponenti del PKK e che le relazioni intrattenute dalle Istituzioni svedesi e finlandesi con l’YPG/YPJ - l’Unità di Protezione Popolare, milizia curda in prima linea nel respingimento dell’ISIS a Kobanê, Siria, tra il 2014 e il 2015 - favorisca il potenziamento della dichiarata organizzazione terroristica. Accusata di violazioni del diritto internazionale, mai verificate, l’YPG/YPJ per Erdoğan non è altro che una filiale siriana del PKK e, in quanto tale, non va aiutata ma combattuta.

Nelle quattro ore citate in precedenza, si è svolto un colloquio sul tema che ha visto protagonisti, oltre a Svezia, Finlandia e Turchia, anche gli Stati più influenti dell’Alleanza Atlantica. Un lungo momento di cooldown collettivo che ha portato alla redazione di una dichiarazione di intenti tra i candidati a entrare a far parte della NATO e Ankara e al ritiro del veto di quest’ultima. Un memorandum che dalla stampa è stato ripreso come un ricatto, un accordo sulla pelle dei curdi, una cessione dei diritti di una popolazione che ha combattuto uno dei più temibili gruppi terroristici degli ultimi anni in cambio di una più forte collaborazione militare. Così non è. La dichiarazione di intenti, come suggerisce il nome stesso, non prevede concrete misure da adottare, ma la presa in carico di un impegno da parte di uno Stato che, in parole povere, dà la propria parola d’onore ma sa di non essere vincolato a rispettarla e di non incorrere in tal caso in sanzioni.

Il memorandum, strutturato in cinque punti, sancisce innanzitutto l’impegno di Svezia e Finlandia a continuare la battaglia contro ogni tipo di terrorismo e a rafforzare la propria legislatura sul tema. Continuare, non avviare. Contrariamente a quanto proclamato da Erdoğan, i due Paesi scandinavi non agevolano i gruppi terroristici, tutt’altro, hanno alcune delle leggi in merito più avanzate a livello globale; una delle riforme più sostanziose e precise in assoluto sul terrorismo ha avuto vita proprio in Finlandia, tra il finire del 2021 e l’inizio del 2022. Segue affermando la piena coesione con i Paesi NATO nella condanna delle organizzazioni riconosciute come terroristiche (tra cui il PKK) e con le generica e poco chiara promessa di interrompere qualsiasi supporto al PYD, il Partito curdo dell’Unione Democratica, bandiera dietro cui Erdoğan dice si nascondano i combattenti criminali dell’YPG/YPJ, per cui da identificare come pericoloso. Infine, stabilisce la fine dell’embargo parziale sul trasferimento di tecnologie militari ad Ankara, dettaglio che già aveva il benestare degli altri Paesi NATO e unica questione totalmente coerente con il vertice di Madrid. Insomma, all’interno del documento non c’è nulla che faccia pensare che la NATO abbia abbandonato i diritti del popolo curdo.

Ciò che ha fatto infuriare l’opinione pubblica è stata la richiesta di Erdoğan di estradare in Turchia i supposti terroristi curdi oggi in Svezia e Finlandia (non una novità, la stessa richiesta era già stata formulata più volte), che secondo quanto riportato dalla stampa, i vertici scandinavi avrebbero accettato. In realtà, Svezia e Finlandia - in primis attraverso la voce della premier svedese Margaret Andersson - hanno nuovamente sottolineato come l’accordo sulle estradizioni rispetterà le leggi nazionali e gli standard europei. L’estradizione è infatti un processo parecchio complicato, non è un caso che ne avvengano davvero poche. Allora perché Erdoğan, tornato in patria ha esultato dei risultati ottenuti a Madrid e dichiarato di una promessa svedese di estradare 73 “terroristi” in Turchia?

Sebbene disponga della seconda più grande forza armata dell’Alleanza Atlantica, la Turchia non può dormire sonni tranquilli. Si trova infatti in una posizione parecchio scomoda, tra l’Unione europea - quindi l’Occidente - e la Russia, sia geograficamente che ideologicamente. Negli ultimi anni abbiamo imparato bene o male a conoscere la figura di Erdoğan, un personaggio particolare che - sebbene ancora genuinamente convinto di portare il proprio Paese nel gruppo di Bruxelles - ha messo in avuto una serie di sotterfugi e politiche contestabili, tra queste, emergono senza scavare troppo a fondo quelle che legano la Turchia a Putin. Il rapporto con il mandante dell’invasione in Ucraina è ben poco trasparente, si pensi agli accordi sull’energia, a quelli sulla gestione delle navi da guerra nel Mar Nero, o ancora al reciproco sostegno per interessi convergenti nel conflitto tra Armenia e Azerbaijan riemerso nel tardo 2020. Ma se conosciamo il Presidente, non conosciamo perfettamente cosa ne pensi di lui la maggioranza del popolo turco, tenuto conto anche delle decisioni presidenziali - in questo caso praticamente dittatoriali, dirle contestabili sarebbe limitante - volte a indebolire la libertà di stampa, soprattutto relativamente alla politica interna, sondaggi inclusi. Dati statistici sono quasi introvabili, ma dal poco che si può reperire, pare che i turchi siano tra i popoli più allarmati da quanto sta accadendo nell’Est Europa e che la popolarità del Presidente vacilli. Non una situazione tranquilla in vista delle elezioni presidenziali del 2023, in cui Erdoğan punta alla riconferma.

Sarebbero quindi stati il timore che il Paese resti isolato all’interno della NATO, timore accreditato dalla ferma posizione del Presidente statunitense Joe Biden, uno dei soggetti più influenti dell’organizzazione, che probabilmente non avrebbe lasciato Madrid senza che venisse accettata la richiesta di adesione di Svezia e Finlandia, e la necessità di portare un po’ di “sano” nazionalismo propagandistico a casa in vista delle elezioni a convincere Erdoğan ad accettare una generica dichiarazione scritta che non menziona l’estradizione per poi venderla come vittoria a tutto tondo.

Veniamo alla procedura di estradizione, perché quanto detto finora certo la rende poco probabile, ma non la esclude. Svezia e Finlandia hanno affermato che valuteranno le richieste di estradizione della Turchia di presunti terroristi, tenendo conto dei documenti forniti dall’intelligence di Ankara e rifacendosi alla Convenzione europea sull’estradizione del 1996. Una persona può essere estradata nel Paese d’origine attraverso la concessione del Ministro della Giustizia del Paese che la ospita e previa condanna del giudice competente, anch’esso, del Paese ospitante. Si tratta di una fattispecie legale, e come ogni fattispecie legale, non può mai essere esclusa. Ma in questo caso è poco probabile per un’infinità di motivi, di cui tre fondamentali. Il primo è che non si può in alcun modo dubitare che avvengano strani giochi di potere tra Stati, il processo di estradizione è regolato dal diritto internazionale per mezzo della già citata Convenzione europea sull’estradizione e della CEDU. Il secondo è che non è pensabile siano condannate persone innocenti, seguendo quanto dettato dal Rule of Law Index del World Justice Project, Svezia e Finlandia occupano oggi rispettivamente il quinto e il secondo posto su scala globale nella classifica per la miglior giustizia penale. Il terzo è che a processo finiranno dei terroristi presunti che sono rifugiati politici appurati, in quanto tali, l’estradizione nel Paese d’origine comporterebbe per loro la concreta possibilità di andare incontro a una pena disumana o degradante, in netto contrasto con quanto stabilito dalla CEDU al suo articolo 3.

Sempre secondo il Rule of Law Index emerge come su 139 Paesi classificati, la Turchia occupi il 133esimo posto nella scala dei diritti fondamentali. Nulla che purtroppo non sapessimo già e non combattessimo per cambiare. Noi, come i Paesi democratici, Svezia e Finlandia incluse. C’è quindi davvero qualche motivo per credere che ci abbasseremo a queste cose turche?

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