Il 65° anniversario della Conferenza di Messina e Taormina (1-3 giugno 1955) non poteva cadere in un momento migliore. I federalisti, infatti, sono oggi alla ricerca di un metodo per avviare un processo di riforma del trattato di Lisbona, al più tardi entro il semestre di presidenza francese dell’Ue (giugno 2022). Alla luce del ruolo svolto nei negoziati che portarono ai trattati di Roma, ecco perché ricordare la Conferenza può offrire ottimi spunti.
Svoltasi all’indomani del fallimento per mano francese del progetto per una Comunità europea di difesa (CED) e una Comunità politica europea (CPE), la conferenza siciliana convocata dal ministro degli esteri Gaetano Martino riunì i suoi omologhi dei paesi membri della CECA. Fattore trainante fu la decisione dei governi del Benelux di tentare di rilanciare l’integrazione europea sul piano economico.
È poco noto, ma un ruolo essenziale nell’impostare i lavori della conferenza di Messina fu svolto da Johan Willem Beyen, ministro degli esteri dei Paesi Bassi. Costui ebbe un ruolo determinante nell’orientare la conferenza non solo verso il progetto, caro a Jean Monnet, di una rinnovata integrazione economica verticale (nel settore dell’energia atomica) ma anche verso un’integrazione economica orizzontale riguardante l’economia «nel suo complesso», sul modello del Benelux.
Spronati dall’olandese, Paul-Henri Spaak e Joseph Bech, ministri degli esteri di Belgio e Lussemburgo, rimisero un memorandum circa l’idea di un «mercato comune». Il loro testo fu accolto positivamente dai governi tedesco e italiano. Pertanto a Messina, pur non lasciando cadere la proposta di Monnet, prevalse la decisione di puntare essenzialmente sull’integrazione economica orizzontale.
Era consuetudine che la formulazione dei trattati internazionali avvenisse durante riunioni a porte chiuse e senza pubblicità, tra ambasciatori ed alti funzionari dei ministeri degli esteri nazionali. Ma questo metodo fu contestato dai federalisti che a Messina rivendicarono necessario affidare la redazione degli articoli all’Assemblea comune, nucleo originario del Parlamento europeo, dotata di poteri costituenti e composta da rappresentanti dei cittadini. I lavori dell’Assemblea dovevano essere dunque pubblici e procedere con votazioni a maggioranza.
La conferenza decise di non privilegiare né il metodo tradizionale a porte chiuse né quello costituente. Prevalse invece l’idea di conferire mandato ad un Comitato di esperti nominati dai governi e dalle istituzioni europee, ma guidati da un «coordinatore politico». Questo Comitato avrebbe dovuto studiare la fattibilità dei due progetti in discussione, cioè "la creazione di un’organizzazione comune per lo sviluppo pacifico dell’energia atomica e l’istituzione di un mercato comune, da realizzare per tappe, mediante la riduzione progressiva delle limitazioni quantitative e l’unificazione dei regimi doganali”. Questi progetti si sarebbero poi concretizzati nei trattati istitutivi dell’EURATOM e della Comunità Economica Europea (CEE).
A svolgere il ruolo di «coordinatore politico» venne chiamato Paul-Henri Spaak, uomo di spessore e già presidente del Movimento europeo dal 1950 al 1954. Spaak aveva inoltre diretto con Altiero Spinelli il Comité d’études pour la Constitution européenne che aveva allestito i lavori dell’Assemblea ad hoc prevista dal progetto di articolato della Comunità europea di difesa. Il fine, attraverso una Comunità politica europea espressamente istituita dalla medesima Assemblea, era garantire il controllo democratico sull’esercito nel ratificando trattato per la Comunità europea di difesa.
Il modus operandi di quello che per brevità si prese a chiamare «Comitato Spaak» muoveva da documenti di lavoro quasi sempre preconfezionati dai validi collaboratori del presidente (Pierre Uri e Hans von der Groeben) ai quali seguirono risoluzioni volte a definire la base degli articoli dei futuri trattati.
Il Comitato Spaak pervenne ad un rapporto dal contenuto ben preciso che fu fatto conoscere all’opinione pubblica, la quale ebbe modo di dibatterne ed esprimersi positivamente. Per tali ragioni la conferenza che in seguito lo trasformò in trattato riuscì a non snaturarlo introducendovi elementi tipici delle retroguardie nazionaliste.
La ricorrenza potrebbe essere l’occasione per i federalisti di rinnovare l’esperienza siciliana, rilanciando l’organizzazione della Conferenza sul futuro dell’Europa. Fortemente voluta da Ursula von der Leyen, essa fa parte degli orientamenti politici con cui l’attuale presidente di Commissione si è presentata alle istituzioni e ai cittadini europei circa un anno fa. La disponibilità a “eventuali modifiche del trattato”, ad attribuire un “diritto d’iniziativa per il Parlamento europeo”, oltre all’apertura verso i cittadini, soprattutto i giovani, come agenti importanti di cambiamento, fanno pensare alla Conferenza come a un momento seminale nel processo costituente di un’Europa veramente federale.
Recuperando il ruolo che i federalisti volevano per l’Assemblea comune a Messina, alle agorà tematiche e dei cittadini e a quelle dei giovani proposte dal Parlamento europeo potrebbero essere attribuiti anche compiti di predisposizione dei testi delle raccomandazioni finali.
I rappresentanti delle agorà illustreranno le loro conclusioni nella plenaria della Conferenza con gli eurodeputati, i ministri del Consiglio, i vicepresidenti della Commissione, i rappresentanti dei parlamenti nazionali e di altre istituzioni. Le raccomandazioni dovrebbero essere poi adottate dalla Conferenza, auspicabilmente, entro il 2022 e, speriamo, sottoposte al Parlamento europeo piuttosto che al Consiglio europeo. Questo costituirebbe un primo passo verso una graduale esautorazione di quest’ultimo come organo che fin troppo ha determinato i destini dell’Ue e i cui limiti sono emersi nitidamente durante la crisi innescata dalla Covid19.
L’emergenza sanitaria ha prima rallentato, poi fatto slittare l’inizio della Conferenza, che doveva aprirsi lo scorso 9 maggio. Al momento è incagliata in un negoziato in cui pare essere proprio il Consiglio il principale responsabile, e non è dato sapere quando si avvierà. Speriamo che l’urgenza, il nuovo pacchetto sul Recovery Fund della Commissione, la ravvivata alleanza franco-tedesca, ma anche una ritrovata solidarietà tra i popoli europei nello spirito dei trattati esercitino sulle istituzioni la dovuta pressione per la determinazione di una data. Al riguardo si è già espressa nel frattempo la commissione affari costituzionali del Parlamento. Confidiamo nella plenaria del PE che dovrebbe pronunciarsi a metà giugno.
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