Eppure, è un’ardua prova per l’uomo, quella di guardare poco più in là del proprio naso. Per molti di noi si tratta della prima volta in cui veniamo sottoposti ad una limitazione così estrema della nostra libertà. Molti considerano le manovre di emergenza imposte come antidemocratiche, in quanto calate dall’alto ed eccessivamente limitative della nostra libertà. Ebbene, basterebbe spostare la nostra attenzione appena al di là del confine dell’Unione Europea, per osservare, che vi è un piccolo stato che restringe aspramente da anni le libertà dei cittadini, non per la loro protezione, come nel caso dei paesi democratici, ma per gli interessi di un ristretto gruppo di uomini che detiene il potere: la Repubblica di Bielorussia. È uno Stato dell’Europa orientale, alleato politico della Russia, con la quale confina ad est (i due Stati fanno parte dell’Unione Statale, un’entità sovranazionale ed intergovernativa fondata nel 1996 con l’obiettivo di armonizzare le differenze politiche ed economiche dei due paesi) e confinante con l’Unione Europea con Polonia e Lettonia ad ovest. Questo piccolo “Stato cuscinetto” tra UE e Russia conta poco meno di 10 milioni di abitanti, e ha come forma di governo una repubblica presidenziale. In quanto al tipo di forma di Stato la questione è controversa, ed occorre analizzarla. Per poter capire la forma di Stato sotto con la quale è organizzata la Bielorussia occorre rivedere quali sono le possibili forme di Stato moderne con le quali un popolo si possa organizzare: possono essere riassunte principalmente in democrazia, stato di diritto, assolutismo, dittatura e stato di polizia. Ci concentreremo sulla prima, ed attraverso lo studio di essa si potrà capire di conseguenza anche tutte le altre.
La democrazia è la forma di Stato vigente in Europa dopo la caduta dei regimi totalitari. Essa fu sperimentata per la prima volta nell’antichità in alcune città-stato greche, ben prima della nascita di Cristo, intorno al VI secolo a.C: questo termine deriva infatti dal greco, e significa potere (kratos) del popolo (demos). Questa forma di Stato conferiva per la prima volta al popolo la gestione diretta del potere, che avveniva durante le riunioni nelle Agorà, le piazze delle poleis greche. Chiaramente la democrazia ha subito una metamorfosi per poter rispondere alle esigenze del giorno d’oggi, ove non è pensabile di convocare il popolo per ogni decisione, ed è per questo che si eleggono dei rappresentanti, individui dotati di più elevate competenze gestionali e tecniche rispetto al cittadino medio, ai quali vengono affidate le redini dello Stato. Il potere del popolo risiede infatti proprio nel diritto di voto, che deve essere universale; le elezioni devono essere cicliche e pacifiche, prevedendo lo scambio di opinioni e programmi, ed una pluralità di posizioni e partiti deve essere a disposizione della scelta del cittadino. Oltre a ciò, uno Stato democratico deve garantire anche l’effettivo esercizio del potere da parte del popolo, impedendo abusi di potere da parte dei suoi rappresentanti, che sarebbero inevitabili se tutto fosse loro consentito senza limitazioni. Per prevenire ciò, il potere viene separato in esecutivo, legislativo e giudiziario. Viene redatta una Costituzione, la quale deve proteggere i cittadini garantendo i loro diritti e ne stabilisce i doveri. Infine, occorre specificare che uno stato democratico detiene il monopolio della forza e della violenza, e può utilizzarla solo per garantire la libertà dei cittadini, i quali sanno di essere protetti da violenze ingiustificate. Inoltre, le forze dell’ordine utilizzeranno la forza solo nei confronti di chi viola la legge, che deve essere giusta.
Dopo questo breve e doveroso sunto che chiarisce quali sono i requisiti minimi per poter parlare di uno stato democratico, si ha l’attrezzatura per calarsi negli ustionanti avvenimenti di questa fine Estate-Autunno 2020, che continuano purtroppo tutt’ora. Il 9 Agosto 2020 in Bielorussia si tengono le elezioni presidenziali. Prima delle elezioni la tensione era elevata: il presidente Aleksandr Lukaschenko, in carica dal 1994 da cinque mandati, si accingeva tranquillamente ad ottenere la conferma del suo sesto mandato consecutivo. Una bazzecola per l’uomo che è riuscito ad indire un referendum costituzionale, ottenendo l’estensione dei mandati possibili ad uno stesso presidente, precedentemente limitati a due, (una delle garanzie contro l’abuso di potere) e che ha spazzato via la concorrenza ottenendo nelle ultime quattro elezioni uno sproporzionato consenso a suo favore. Ebbene, anche stavolta, dopo aver preventivamente imprigionato come d’abitudine i più pericolosi avversari politici, fatto tacere giornalisti e blogger, e controllato i mezzi di comunicazione come mezzi di propaganda del partito, ha ottenuto secondo la Commissione Elettorale Centrale l’80,1% dei voti. Una vittoria che però immediatamente non è stata riconosciuta dal popolo, il quale non assiste da 26 anni, ovvero dalla prima elezione proprio di Lukaschenko, ad elezioni libere ed eque. Questa volta, i sentimenti di odio per il presidente, esacerbati dalla cattiva gestione dell’emergenza della Covid-19 e da una situazione surreale di arretratezza politica erano pronti a scoppiare. Fin da subito la candidata di opposizione, Svetlána Geórgevna Tichanóvskaja, che nei giorni precedenti alle elezioni aveva riscosso un enorme successo nelle piazze della capitale Minsk, contestava il misero ottenimento del 10% dei voti riportato dalla Commissione Elettorale Centrale. Le sue accuse hanno infiammato le piazze: migliaia di manifestanti si sono quindi riversati nelle strade, chiedendo verità e giustizia. La leader democratica viene costretta a fuggire nella vicina Lituania, con la speranza però che da lì a poco l’insurrezione popolare e l’intervento di potenze influenti avrebbero potuto risolvere la situazione a suo favore. Nel frattempo, nelle piazze scendono anche le forze dell’ordine, obbedendo ad un solo comando: far tacere il popolo, che secondo i capi del partito deve essere protetto dalle false credenze inculcategli dall’Occidente, e pertanto, per garantire la sua protezione e sicurezza, all’esercito ed alla polizia antisommossa viene data carta bianca. Numerosi video e testimonianze imprimono nella memoria gli orrori perpetrati ai danni di pacifici dimostranti, i quali purtroppo in alcuni casi hanno perso oltre alla libertà anche la loro stessa vita, nel tentativo di farsi riconoscere i diritti basilari per loro e per le generazioni future.
La Repubblica di Bielorussia non risponde dunque a nessuno dei criteri democratici. Con quale forma di Stato si organizza la Bielorussa dunque? Secondo l’enciclopedia Treccani la dittatura è: “un regime politico caratterizzato dalla concentrazione di tutto il potere in un solo organo”. Stato assoluto (governo assoluto di un singolo) e stato di polizia (dove il potere è concentrato nelle mani di un partito, che detiene la forza per mantenere il consenso) rientrano nella definizione di dittatura, mentre lo stato di diritto (che pone le leggi al di sopra di tutti, anche di chi detiene il potere) viene compreso nel concetto di democrazia. Ecco perché le possibilità sono solo due: democrazia o dittatura. Benché la democrazia non sia una forma di Stato perfetta – essa concede a cittadini disinformati gli stessi diritti di cittadini più preparati, rendendola potenzialmente pericolosa, poiché un’opinione errata, se democraticamente accettata, in uno Stato democratico non verrebbe respinta – essa è la forma di Stato con la quale si garantiscono maggiori libertà (sull’uguaglianza il discorso è più complesso) e si mantiene più facilmente la pace tra unità statali. Nonostante la storia e la scienza politica che razionalmente portano a giungere alla conclusione che la democrazia è il mezzo migliore per assicurare pace e libertà, appena pochi giorni fa il dittatore Lukaschenko ha esplicitamente dichiarato alla stampa di essere “un promotore di una nuova Costituzione. Non perché abbiamo bisogno di democrazia, la democrazia non è il punto. In questa situazione, ciò che mi preoccupa è altro: non possiamo dare questa Costituzione a un presidente sconosciuto. Sarebbe un disastro«, quindi»serve una nuova Costituzione ma deve essere a beneficio del Paese”. Egli ha probabilmente capito di non poter esercitare direttamente il potere: il popolo non lo accetterebbe. E tenta ora di aggirare il problema proponendo un presidente collegato al partito, superficialmente democratico, sperando di illudere i cittadini. Affermare che la democrazia non serve è un insulto agli uomini e donne che hanno combattuto perché questo ideale potesse liberare l’essere umano dalla schiavitù dei tiranni. Ed è un insulto ai bielorussi, che si trovano prigionieri di uno Stato che non riconosce loro la sovranità. Ed è la conferma che egli non ha minimamente a cuore l’interesse del Paese del quale si dichiara protettore.
La situazione, dopo più di cento giorni dallo scoppio delle prime manifestazioni post-elettorali, è ancora in fase di stallo. La situazione è politicamente complicata: il partito di Lukashenko vuole continuare il rapporto stretto con il Cremlino per potersi assicurare protezione politica, mentre la Russia è interessata a mantenere il paese nella sua orbita. Agli occhi di Mosca il rischio che un governo democraticamente eletto possa far avvicinare eccessivamente il paese all’orbita europea è troppo alto. Gli USA nel momento dello scoppio delle elezioni bielorusse erano guidati da un presidente non interessato ad intervenire a difesa della democrazia, ma ora si intravede uno spiraglio: Svetlána Tichanóvskaja ha già dichiarato di aver discusso con il nuovo presidente Biden su come gli USA possano supportare la crisi. L’Unione Europea è invece intervenuta, dichiarando di non riconoscere Lukaschenko come legittimo presidente e condannando i brogli elettorali, le incarcerazioni, le violenze. Ma la questione è delicata: l’Unione esercita un peso influente ma non decisivo sullo scacchiere internazionale. Essa, inoltre, non può intervenire a difesa di un paese, in quanto le relazioni internazionali non sono regolate da leggi condivise dalle varie unità nazionali, ma bensì dalla consuetudine, da alleanze, da trattati. Quindi, se l’UE intervenisse, nulla vieterebbe alla Russia di intervenire a difesa del suo alleato. L’Unione può pertanto limitarsi a prendere provvedimenti fin dove ne ha la potestà. Ed infatti i provvedimenti effettivi che sono stati impiegati sono sanzioni e il divieto d’ingresso degli ufficiali del partito e di Lukashenko nell’Unione.
Il mondo non è dunque rimasto indifferente e molto è stato fatto per aiutare la repubblica bielorussa ad emanciparsi dalla dittatura di Lukaschenko. Molto si deve però ancora fare. L’Unione Europea dovrebbe dotarsi di una buona strategia: sicuramente nel breve termine continuare a fornire supporto tecnico all’opposizione. Deve iniziare un dialogo con Mosca per trovare un accordo su come concedere ai cittadini il diritto di avere come presidente un leader eletto in modo veramente democratico, o quantomeno nuove elezioni con una ben più stretta sorveglianza da parte di osservatori internazionali; oltre a ciò, lavorare perché i cittadini bielorussi abbiano più opportunità di studio e lavoro nei territori dell’Unione, e proporre assieme a Mosca piani di miglioramento economico e strutturale del paese.
La crisi bielorussa è però solamente l’ultimo dei tanti e troppi casi di tirannide, violenza, diritti umani che vengono calpestati in nome dell’egoismo e della ricerca assettata del potere. Ma non v’è da stupirsi della frequenza con cui ciò accade in un sistema che non ha uno strumento democratico di risoluzione delle controversie internazionali, se non basato su sanzioni economiche, restrizioni al commercio, alleanze, sfere d’influenza, come quello attuale. Nel 2020, il mondo si trova ad essere governato a livello internazionale praticamente dallo stesso meccanismo con il quale era regolato nel XIX secolo. Questa crisi dimostra come la pace e la libertà degli uomini e delle donne non può essere basata su un sistema anacronistico e già dimostratosi fallace come quello nel quale l’uomo vive. Purtroppo, l’essere umano è abitudinario e il cambiamento può risultargli sconvolgente, perciò egli ha paura di ciò che non conosce, e lo considera invece minaccioso. Ma è nostro dovere saper guardare oltre, imparando dal passato ed analizzando il presente.
La Bielorussia è l’ennesima dimostrazione che il miglior modo per garantire la pace e lo sviluppo della democrazia nel mondo è infatti quello di porre fine alle sovranità illimitate degli Stati. In questo modo il sistema delle relazioni internazionali non sarebbe più vacillante e basato sulla legge del più forte. Invece nella situazione attuale gli Stati riescono a proteggere i loro cittadini solo parzialmente. Nessuno Stato è in grado di fare ciò pienamente. Non vi è un’entità nazionale in grado da sola di garantire sicurezza ai suoi cittadini. Perciò chiunque parla di libertà ed autodeterminazione degli Stati non comprende che ciò è possibile solo nella misura in cui altri Stati non decidano di diventare una minaccia. Invece di alleanze, favori, promesse, una proposta concreta è la creazione di un federalismo mondiale come obiettivo di lunga durata, ove i problemi di natura mondiale come la sicurezza, le guerre, il clima, i diritti umani, siano di competenza mondiali, i problemi di livello continentale dei continenti, quelli nazionali degli Stati e così via. Gli Stati non perderebbero nessuna libertà, né identità culturale. Ciò porterebbe anzi le varie identità culturali ad essere molto più rinsaldate, faciliterebbe la risoluzione di problemi spinosi come il cambiamento climatico, ma soprattutto diminuirebbe drasticamente i conflitti, garantendo davvero le libertà dei popoli mondiali, che si sentiranno più sicuri e di vivere in un mondo più giusto e pacifico.
Certo, questo è un obiettivo troppo distante nelle attuali condizioni del sistema mondiale. Ed è per questo che un federalismo europeo è il primo passo verso questo mondo ideale. Un Europa unita politicamente costituirebbe innanzitutto una grande potenza pacifica in grado di difendere il modello democratico molto più efficacemente. L’UE ha infatti un peso non decisivo nella risoluzione di questa, come di molte altre controversie, che senza dubbio avverranno in futuro se la politica europea non dovesse registrare un cambio di rotta, perché gli sforzi dei 27 Stati che la compongono sono poco razionali e scarsamente coordinati. Non costituisce pertanto una seria candidata al ruolo di araldo della democrazia nel mondo. A meno che gli Stati europei riconoscano di contare poco o niente politicamente, se non uniti. Gli Stati che attualmente compongono l’Unione, rinunciando ad una parte di sovranità, che comunque non sono in grado di esercitare da soli, riguardo a questioni che sono governabili soltanto a livello europeo come la sicurezza, la fiscalità, i rapporti internazionale, la difesa, garantirebbe innanzitutto la propria sopravvivenza. Inoltre, grazie al cappello europeo, potrebbero costruire un più elevato tenore di vita per i propri cittadini e aumenterebbero gli standard democratici. È necessario avere un’Europa forte, in grado di influenzare davvero positivamente situazioni controverse come la crisi bielorussa e situazioni analoghe. Gli egoismi ed i sentimenti nazionali sono un vicolo cieco. Un’Europa priva di dittature ed un mondo più libero hanno invece bisogno di scelte responsabili da parte dei cittadini europei. La scelta è nostra.
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