L’Unione europea nasce a partire dal disastro umanitario derivante dalla Seconda guerra mondiale, e proprio per questo motivo pone alla base della sua azione, interna ed esterna, il rispetto dei diritti umani. Tale base giuridica è sancita dagli articoli 2, 3(5) e 21 del Trattato sull’Unione europea, per cui i diritti umani e l’uguaglianza sono valori fondamentali dell’UE e delle sue relazioni con i Paesi partner.
In particolare, l’articolo 2 spiega che “L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze [...]”.
L’articolo 3 dice che “Nelle relazioni con il resto del mondo l’Unione [...] contribuisce alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo sostenibile della Terra, alla solidarietà e al rispetto reciproco tra i popoli [...] e alla tutela dei diritti umani [...] e alla rigorosa osservanza e allo sviluppo del diritto internazionale, in particolare al rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite”.
Infine, l’articolo 21 rimarca in maniera più esplicita lo stesso concetto: “L’azione dell’Unione sulla scena internazionale si fonda sui principi che ne hanno informato la creazione, lo sviluppo e l’allargamento e che essa si prefigge di promuovere nel resto del mondo: democrazia, Stato di diritto, universalità e indivisibilità dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, rispetto della dignità umana, principi di uguaglianza e di solidarietà e rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale”. Pertanto, la Carta dei diritti fondamentali dell’UE e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo devono guidare tutte le politiche dell’Unione.
L’UE però, già da un po’ di tempo, sta mostrando al mondo che questi nobili principi rimangono solo sulla carta quando si tratta di politiche migratorie. È pur vero che la necessaria riforma del sistema di Dublino è una prerogativa degli Stati membri, i quali hanno ancora un elevato grado di responsabilità per quanto riguarda il sistema di accoglienza, e che quindi l’Unione cerca di agire secondo le proprie (poche) competenze. Ma questo non può giustificare gli orrori che avvengono lungo i confini della “fortezza Europa” a causa delle politiche di esternalizzazione delle frontiere. L
’UE è quindi a pieno titolo corresponsabile della violazione dei diritti umani che si sta verificando ad esempio in Tunisia e in Libia. I trattamenti inumani e degradanti, nonchè la tortura e in alcuni casi anche la morte, sono azioni che da molti anni ormai vengono direttamente finanziate dalla Commissione europea attraverso vari strumenti. E questo è stato dimostrato anche da una recente ricerca, il cui titolo è "Beyond Borders, Beyond Boundaries: A Critical Analysis of EU Financial Support for Border Control in Tunisia and Libya”, commissionata dal gruppo del Parlamento europeo dei Verdi/ALE.
Per quanto riguarda i finanziamenti ricevuti, la Tunisia ha ottenuto 73 milioni di euro per la gestione delle frontiere tra il 2018 e il 2022, e altri 105 milioni nel 2023. La Libia invece nello stesso periodo ne ha ricevuti 71. Una buona parte di questi fondi deriva dallo Strumento di vicinato, cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale - Europa globale (NDICI-Europa globale). Coerentemente con i principi che dovrebbero dare forma alla politica estera dell’Unione, questo strumento si fonda (almeno sulla carta) sul rispetto dei diritti umani. In particolare, analizzando il regolamento istitutivo, si legge che l’obiettivo generale dello strumento è “sostenere e promuovere la democrazia, lo Stato di diritto e il rispetto dei diritti umani [...]”, applicando “un approccio basato sui diritti che comprenda tutti i diritti umani, sia civili e politici che economici, sociali e culturali, al fine di integrare i principi in materia di diritti umani, aiutare i titolari dei diritti a rivendicarli, con particolare attenzione alle persone e ai gruppi più poveri, emarginati e vulnerabili”, e che i finanziamenti “non sostengono azioni o misure che possono comportare la violazione dei diritti umani nei paesi partner”.
Inoltre, l’articolo 29 specifica che i finanziamenti dell’Unione nell’ambito dello strumento non devono sostenere azioni o misure che potrebbero portare a violazioni dei diritti umani nei Paesi partner.
Nel 2021 la Commissione europea ha anche adottato un Toolbox per applicare nel concreto questo approccio basato sui diritti umani (HRBA). All’interno di questa guida, si ribadiscono prima di tutto le quattro caratteristiche fondamentali dei diritti umani: l’universalità, l’indivisibilità, l’inalienabilità e l’interdipendenza. I diritti sono universali perché appartengono a tutti gli esseri umani; indivisibili perché hanno tutti la stessa importanza e non si possono classificare; inalienabili perché non possono essere sottratti per nessun motivo; e interdipendenti perché si influenzano tra di loro e la violazione di uno comporta anche la violazione degli altri. In aggiunta, nel documento ufficiale di adozione di questa “cassetta degli attrezzi”, si sottolinea più volte la responsabilità diretta degli Stati membri e delle istituzioni europee nel promuovere, rispettare e realizzare i diritti umani nei Paesi esterni all’UE.
Insomma, l’approccio da adottare per gli interventi in politica estera sembra essere abbastanza chiaro. Da questi documenti emerge un’Unione europea impegnata nella sua missione di pace, di promozione dei valori della libertà, dell’uguaglianza e rispetto dei diritti umani. Una rivendicazione bellissima, di cui essere veramente orgogliosi. Finalmente una politica estera basata sui diritti, non sullo sfruttamento e la violenza. Un cambio di rotta radicale da parte dell’Europa rispetto alle politiche coloniali del secolo scorso. E invece, purtroppo, come spesso accade le buone intenzioni non trovano applicazione concreta e resta solo una flebile illusione che ci possa essere uno Stato (o unione di Stati) che dia priorità alla sicurezza umana rispetto alla sicurezza dei confini.
Il 17 agosto 2023 è stata pubblicata una comunicazione congiunta da varie Special Procedures delle Nazioni Unite, le quali rimarcano il fatto che “numerosi rapporti evidenziano un modello coerente e diffuso di abusi e violenze perpetrati dalle autorità governative, in particolare dalla polizia, la Guardia nazionale e la Guardia costiera tunisine. I migranti dell’Africa sub-sahariana, i rifugiati e i richiedenti asilo sono soggetti a un maggiore rischio di detenzione arbitraria, sfollamento arbitrario ed espulsione collettiva senza un giusto processo e misure di valutazione individuale”. Inoltre, “si teme che le autorità tunisine non siano in grado di valutare le richieste di protezione e di assistere i migranti, i rifugiati e i richiedenti asilo in situazioni di vulnerabilità e/o con esigenze specifiche”. Infine, “le autorità tunisine starebbero effettuando espulsioni al confine con la Libia durante la notte”. Dallo stesso documento emerge chiaramente la preoccupazione che “l’eventuale cooperazione contribuirebbe a far emergere modelli pervasivi e coerenti di violazione dei diritti umani contro questi gruppi di persone in Tunisia. In particolare, [...] il rafforzamento delle attività e dei progetti che aumentano l’intercettazione dei migranti in mare e il loro rimpatrio illegale in Tunisia e in Paesi terzi non sicuri [...], costituisce una violazione del principio di non respingimento”.
Discorso simile va fatto per la Libia, dove una missione di esperti indipendenti dell’ONU ha dichiarato che dal 2016 sono stati commessi una serie di crimini contro l’umanità verso i migranti e gli stessi cittadini libici, concludendo che il supporto alla cosiddetta Guardia Costiera Libica viola il principio di non respingimento, in quanto la Libia non può essere considerato un posto sicuro per migranti e rifugiati. Questo perché, oltre ai già citati crimini, come le ingiustificate privazioni della libertà ai danni di migranti, le autorità libiche hanno accordi con i trafficanti e gli scafisti, soprattutto nel contesto dell’intercettazione, del rimpatrio e della detenzione dei migranti. è stato poi documentato che la Guardia Costiera Libica, equipaggiata con gli strumenti finanziati dall’UE, ha sparato diverse volte in direzione delle navi ONG che operano in zona SAR e anche direttamente verso le barche piene di migranti.
Sulla base di questi dati è quindi possibile intravedere un trend sempre più negativo, che sta portando l’intera Unione a chiudersi in sé stessa, a costruire muri fisici e metaforici intorno ai propri confini, e che sembra sorda di fronte alla voce di attivisti e giuristi che chiedono che le norme vengano rispettate. Come può essere credibile una Commissione europea che critica la situazione dello stato di diritto in alcuni Paesi, quando essa stessa non rispetta le regole del diritto? La guerra in Ucraina ha mostrato al mondo intero che l’Europa è capace di ospitare milioni di rifugiati in pochi mesi (5 milioni a inizio 2023), dimostrando quindi che la chiusura delle frontiere verso i Paesi dell’Africa e dell’Asia è solo questione di razzismo. Dall’altra parte, infatti, la famosa e tanto temuta “crisi migratoria” del 2015 ha portato a poco più di un milione di arrivi nel vecchio continente, e sembrava di essere di fronte a un’invasione ingestibile e incontrollata. E la situazione è resa ancora più drammatica dal fatto che ormai questo approccio è diffuso in tutta la classe dirigente, da sinistra a destra, passando per il centro.
Ma è veramente questa l’Europa che vogliamo? E un’ipotetica Unione federale sarebbe una soluzione sufficiente per risolvere questi problemi? Se si prendono come esempio gli Stati Uniti, la risposta non può che essere negativa, considerando la militarizzazione che è avvenuta al confine con il Messico. Per questo motivo, ad avviso dell’autore, la battaglia federalista dovrebbe concentrarsi non soltanto su una maggiore integrazione sovranazionale, ma deve fondarsi sul rispetto della democrazia, dello stato di diritto e dei diritti umani, perché senza questi principi la Federazione è tale solo nel nome. E senza queste condizioni, oserei dire, la Federazione non s’ha da fare.
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