La crisi climatica che stiamo vivendo rappresenta una delle più grandi sfide che l’umanità abbia mai affrontato e richiede risposte urgenti. Gli ultimi dati non lasciano dubbi: se non si interviene immediatamente, la situazione si aggraverà. Sono decenni che la scienza ha avvertito i governi di tutto il mondo su quanto duro fosse l’impatto dell’uomo sulla natura e l’ambiente, e oggi la stessa scienza concorda su quanto sia cruciale questo momento per stabilire il futuro del pianeta. Per questo la politica ha un ruolo fondamentale, ma per molto tempo i governi nazionali sono stati inerti e sordi alle sollecitazioni scientifiche, se non addirittura negazionisti.
Questa mancanza di azione politica è continuata nella pressoché sostanziale indifferenza di gran parte dell’opinione pubblica finché la questione non ha toccato la coscienza collettiva della società civile. È stato soprattutto l’impegno dei movimenti sociali, attraverso manifestazioni e azioni di protesta, a spingere il dibattito pubblico sul tema dell’ambiente, ad attirare l’attenzione dei media, ad introdurre nel vocabolario comune espressioni come “sostenibilità”, “giustizia climatica”, contribuendo a divulgare in maniera semplificata le informazioni scientifiche. In questo modo, la consapevolezza sui cambiamenti climatici è cresciuta incredibilmente negli ultimi anni. Si pensi all’enorme risonanza che hanno avuto le manifestazioni di Fridays For Future. Giovani e giovanissimi studenti e studentesse di tutto il mondo invocano l’azione immediata dei Governi nazionali, offrendo alla causa un impegno davvero notevole.
Ma la crisi ha una portata planetaria e per questo motivo le rivendicazioni dei movimenti ambientalisti devono essere portare su un livello che vada oltre gli Stati, globale. Se l’obiettivo è la giustizia climatica, è necessario muoversi al di fuori del paradigma tradizionale della nazione, perché si necessita di nuove forme di costituzionalismo: nuove istituzioni o organizzazioni sovranazionali, nuovi accordi vincolanti con sistemi di garanzia certi, e in sostanza un trasferimento della sovranità nazionale a un livello superiore. Gli ambientalisti non sembrano contemplare l’idea di un governo globale della giustizia climatica e a volte non sembrano neppure riconoscere che le istituzioni contro cui protestano rappresentano un mezzo concreto per raggiungere gli obiettivi di cui si sta discutendo.
Forse è arrivato il momento di ragionare intorno alla possibilità di un governo globale della crisi, purché democratico ovviamente. Ed è qui che entra in gioco il pensiero federalista. È possibile una interconnessione tra prospettive di federalismo globale e le rivendicazioni dei movimenti sociali per l’ambiente?
Quando si parla di federalismo, è normale pensare in primo luogo ad un certo tipo di forma di Stato o di Governo, ma in generale adottare una prospettiva federalista significa innanzitutto riconoscere i limiti del sistema degli Stati nazione, comprendere che ci sono sfide globali e interessi comuni all’intera umanità e che nel nostro mondo globalizzato abbiamo bisogno di nuove forme di potere in grado di affrontare una tale complessità. Il principio di fondo del federalismo è il perseguimento della pace, ma secondo diverse interpretazioni anche la questione ambientale, intesa come relazione pacifica tra l’uomo e la natura rientra tra i fini ultimi del federalismo.
Tuttavia, il federalismo non si configura unicamente come una visione politica, poiché è necessario considerare anche l’azione delle cosiddette forze federaliste, attori partecipanti a tutti gli effetti della società civile, si pensi all’Union des fédéralistes européens (UEF), ai Jeunes Européens Fédéralistes (JEF), al World Federalist Movement (WFM) o alle decine di sezioni nazionali dell’UEF e della JEF, senza contare le sezioni locali di queste ultime.
I gruppi della società civile che lottano per la giustizia climatica saranno attori cruciali nella rivoluzione ambientalista se sapranno adottare anche prospettive istituzionali e questo significa prendere in considerazione l’idea di fare proprio il punto di vista federalista. Al momento non c’è alcuna connessione stabile e consolidata tra movimenti ambientalisti e forze federaliste, anche per le differenze in termini di composizioni e strutture, tuttavia uno scambio di idee sarebbe sicuramente essere utile. Non è scontato che gli attivisti per l’ambiente condividano le proposte di forme di potere federali, ma ciò non preclude la possibilità di allearsi, mettere insieme le forze, per alcuni obiettivi comuni.
A livello europeo, per esempio, un grande obiettivo potrebbe essere redigere una Costituzione che imponga la protezione dell’ambiente e il rispetto degli adempimenti per il clima a tutti gli Stati membri. Ciò potrebbe essere un primo passo verso un costituzionalismo globale dell’ambiente. Analogamente, sarebbe utile una riforma dei Trattati europei che vada nella stessa direzione, con una limitazione delle competenze degli Stati in materia, da trasferire all’Unione.
Su scala globale, invece, prospettive federaliste potrebbero condurre a richiedere istituzioni governative internazionali che si occupino specificamente di questioni ambientali e che abbiano poteri esecutivi sugli Stati aderenti. Inoltre, sarebbe importante rivendicare una riforma in senso democratico dei processi decisionali in seno alle Nazioni Unite.
È bene sottolineare che non si tratta di adottare il federalismo come fine ultimo della lotta per l’ambiente, ma sfruttare una direzione di questo tipo come strumento per ottenere specifici risultati politici. E ciò diviene ancora più importante nel momento in cui si comprenderà, finalmente, che occorre iniziare a costruire e implementare un sistema politico internazionale che possa esigere il rispetto di maggiori obblighi da parte degli Stati e che offra maggiori garanzie di diritto a discapito delle sovranità esclusive nazionali. Perché questo è l’unico contesto in cui è possibile immaginare un futuro di soluzioni efficaci per le questioni ambientali, per il riscaldamento globale, per la giustizia climatica.
Chiaramente, anche una prospettiva di questo tipo incontra dei limiti, in primo luogo perché non è per nulla scontato che gli Stati nel mondo vogliano effettivamente cedere parte della propria sovranità per sottoporsi a qualsivoglia potere globale per combattere la crisi climatica, specie se pensiamo al fatto che stiamo attraversando, anche in Europa, una fase storica in cui riemergono i nazionalismi e i sovranismi. Tuttavia, anche in questo i movimenti sociali avranno un ruolo cruciale. Come abbiamo sottolineato, oggi esiste una consapevolezza sui temi ambientali molto più forte che in passato ed è destinata a crescere. In pochissimi anni, diverse politiche in materia sono state adottate e alcuni accordi sono stati già raggiunti nel campo della cooperazione internazionale.
L’attivismo dal basso e le pressioni che arrivano alle istituzioni dall’esterno sono necessari. Più la società civile e i cittadini tutti sapranno mobilitarsi, più i Governi si sentiranno in dovere di intraprendere azioni concrete. È necessario però compiere questo ulteriore passo: comprendere e far comprendere alle persone che per combattere la crisi che stiamo vivendo abbiamo fortemente bisogno di una governance mondiale democratica, altrimenti tutti gli sforzi risulteranno insufficienti nel lungo periodo. Sarà proprio la società civile, adottando quindi una prospettiva di tipo federalista, e facendo circolare idee e linee di pensiero nuove e convincenti, a dover spingere i Governi nazionali a cedere sovranità in favore di un sistema sovranazionale che si occupi delle questioni ambientali.
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