Giornata internazionale della donna, tra femminismo mainstream e Europa fortezza

, di Mariasophia Falcone

Giornata internazionale della donna, tra femminismo mainstream e Europa fortezza

Le questioni di genere sono ormai entrate a tutti gli effetti nel dibattito pubblico e in quello politico, facendo diventare mainstream l’etichetta di femminismo e il parlare “delle donne”. Questa diffusione ha dato vita a delle creazioni pseudofemministe, inquinando il senso reale del femminismo, senza contribuire davvero al raggiungimento dell’equità di genere.

Il problema centrale che nessuno sembra più vedere, tra “una donna al quirinale” e l’altra, tra un tutt* e tutti/e, è che, ad anni dall’inaugurazione dell’8 marzo come giornata internazionale della donna, viviamo in una società che si fonda su strutture in cui le discriminazioni di genere sono endemiche, e che ancora oggi rendono essere una donna difficile, rischioso e penalizzante. Sebbene la condizione delle donne sia migliorata negli ultimi decenni, questo non rende le loro condizioni per forza migliori o peggiori, ma solo diverse, con nuove discriminazioni da affrontare man mano che si complica lo scenario tradizionale di oppressori e oppressi.

La parità di genere come argomento del discorso politico contemporaneo è effettivamente ovunque, anche in luoghi un tempo impensabili. Il discorso sul femminismo in un certo senso è anche arrivato nelle dichiarazioni dei sovranisti e dei nazionalisti europei, che si sono appropriati, attraverso le parole delle loro leader donne, delle questioni di genere secondo le loro lenti. Questo si aggiunge al femminismo di Oriana Fallaci, passando per quello di J.K. Rowling e di Arcilesbica, che pretende di liberare le donne, ma solo alcune, opprimendone altre (o altr*). Si può allora parlare ancora di femminismo se si intende l’emancipazione di un gruppo solo a patto di opprimerne un altro?

Questo può essere spiegato da quella convergenza che Sara Farris ha definito nel suo libro come Femonazionalismo, ovvero una forma di nazionalismo femminista e femocratico che si concretizza nell’uso da parte delle forze sovraniste e nazionaliste europee di estrema destra dei temi del femminismo in chiave anti-immigrazione e xenofoba, e quindi della stigmatizzazione dell’altro (non cristiano, non bianco) sotto l’etichetta della parità di genere. Il concetto viene delineato dalla Farris dopo un’analisi approfondita degli scenari politici recenti in Francia, Italia e Paesi Bassi, dove il dibattito politico (pre-pandemia) è dominato da anni da posizioni anti-immigrazione. La diffusione del femonazionalismo in Europa ha trovato la strada spianata da significati, immagini e simboli, che saturano quella che noi erroneamente crediamo sia la cultura occidentale ed europea, la European way of life , ma che è in realtà fortemente radicata nel razzismo sistemico e nella xenofobia, in quell’idea di Europa fortezza del nazionalismo europeo.

In un certo senso questa convergenza non deve sembrare innaturale. Infatti, nel nazionalismo la donna ha un ruolo centrale fin dalla definizione iniziale della nazione. Poiché la nazione viene definita dalla nascita e dalla appartenenza etnica, le donne sono essenziali alla formazione dello stato nazionale in quanto le produttrici biologiche della nazione e riproduttrici della cultura della nazione stessa di cui ne mantengono la purezza. Tuttavia, non è la donna come individuo che può autodeterminarsi ad essere centrale, ma lo è per il ruolo che ha il loro corpo nella riproduzione. Questo è ancora più evidente nel discorso dei movimenti pro-vita e in come tali movimenti siano tutti vicini agli ambienti nazionalisti e di estrema destra, quasi ossessionati dal salvaguardare il corpo della donna a scapito della sua libertà.

Sotto l’etichetta della parità di genere e sotto i festeggiamenti di ogni anno per l’8 marzo, nascondiamo tutte le paure dell’Europa bianca e cristiana nei confronti dell’altro che viene da fuori i nostri confini. Negli anni, infatti, abbiamo assistito all’implementazione di politiche discriminatorie e alla definizione nel dibattito generale di qualsiasi soggetto non-bianco e non-cristiano come per forza intrinsecamente misogino e sessista, la cui cultura costituisce un rischio con cui le donne europee non devono entrare in contatto e da cui le donne di quella stessa cultura devono essere salvate da noi occidentali.

L’idea che viene mandata avanti dal femonazionalismo è che in Europa non ci siano più problemi di equità di genere, che, come società, si è arrivati ad essere abbastanza evoluti da lasciare fuori dai nostri confini tutta la complessità e la resistenza delle strutture patriarcali. Di conseguenza, le donne migranti devono essere “salvate” in quanto soggetti provenienti da una cultura per definizione (in quanto altra e al di fuori dell’Europa) sessista e patriarcale. Ma possiamo davvero credere che sia così quando in Polonia non si può accedere più ad un aborto sicuro neanche in casi di malformazione, o se in Italia il 40% di omicidi totali sono femminicidi?

Non bisogna dimenticare che nelle varie ondate di femminismo si è andati molto vicini al punto di contatto tra femminismo, nazionalismo e razzismo, e i movimenti femministi hanno dovuto sempre scendere a patti con le loro zone d’ombra. Questo lo sappiamo dai tempi, per esempio, del Equal Rights Amendment e della National Women’s Conference del 1977, fino al femminismo di terza ondata con il movimento RiotGrrrl che apertamente rifiuta le questioni razziali. A significare come l’oppressione dell’altro sia talmente radicata dentro di noi che ci viene difficile capire che non ci può essere un’emancipazione senza l’altra.

A contribuire alla diffusione del femonazionalismo sono le molte figure femminili in posizioni di leadership nelle fila dell’estrema destra, da Giorgia Meloni, a Marine Le Pen fino a Alice Weidel. Il loro ruolo, non solo contribuisce queste forze politiche a scrollarsi di dosso l’etichetta di coloro che non tutelano gli interessi delle donne, ma aumentano il loro consenso perché forniscono un finto sguardo femminista sulle cose, e garantisce loro un’autolegittimazione nel portare avanti il discorso femonazionalista. In un certo senso, per queste forze politiche sono, e sono state, le donne la loro arma più forte, com’è successo con il voto delle donne bianche nell’elezione di Donald Trump.

Dall’altro lato, il dibattito sull’immigrazione è sempre più disumanizzante, come abbiamo visto negli ultimi giorni con la distinzione tra i “finti” profughi e gli Ucraini che scappano “davvero” dalla guerra. Gli uomini migranti, in particolare, sono sempre presentati come una minaccia, mentre questo non avviene con le donne migranti a cui affidiamo le cure dei nostri anziani e bambini. Questo succede in realtà perché vediamo le donne come più assimilabili (più domabili) e, affidandole ai lavori di cura e di servizio, non garantiamo loro realmente l’emancipazione che garantiamo alle donne europee. La società europea è convinta di poter modellare le donne migranti, dando loro una nuova nazionalità e una nuova identità. Con il pretesto di salvarle dalla loro cultura retrograda e misogina, le rendiamo vittime di una violenza duplice, patriarcale e coloniale.

Quando l’Europa relega l’oppressione delle donne solo al mondo fuori dai suoi confini ideologici, non fa quello di cui parlava Said nel dare all’altro fuori dai suoi confini gli aspetti più negativi e deplorevoli di sé che non vuole vedere? E questa esternalizzazione ci dice molto di più su di noi che sull’altro; in particolare, di quanto ancora non ci siamo liberati né del nazionalismo né del sessismo, ma facciamo i conti con la loro evoluzione in femonazionalismo europeo.

Si fa ancora fatica a capire quale può essere il posto per questa riflessione nel dibattito su quale Europa vogliamo e se vogliamo che questa sia federale anche per mettere fine a quella che è la violazione sistematica di diritti umani più lunga della storia. Nonostante la diffusione del femonazionalismo, continuano ad esserci importanti spazi di resistenza, dai movimenti femministi in Polonia alle rivendicazioni transfemministe in tutto il mondo. Da questo punto di vista, il federalismo europeo, essendo un progetto d’Europa antitetico rispetto a quello del nazionalismo europeo, può esserlo anche nei confronti di chi ritiene le donne come soggetti senza agency continuando ad opprimerle. Per questo, bisogna ambire alla creazione di una piattaforma comune di civiltà in cui tutte queste battaglie possano trovare una casa comune nel federalismo per potersi compiere.

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