Giro a la izquierda in America Latina

, di Alice Tommasi

Giro a la izquierda in America Latina

Con le ultime tornate elettorali l’America Latina ha mostrato un netto cambio di tendenza, con le vittorie della sinistra confermate dalla rielezione (con seguito di proteste) di Evo Morales in Bolivia e il trionfo di Alberto Fernandez in Argentina, così come le agitazioni di piazza in Cile e Ecuador.

La regione latino-americana, dopo essere stata teatro di politiche progressiste intraprese da governi di sinistra sul finire degli anni 90, ha visto la battuta d’arresto delle forze socialiste a seguito dell’elezione, in tempi diversi e con idee di fondo diverse, di Mauricio Macri nel 2015 in Argentina e di Jair Bolsonaro nel 2018 in Brasile.

La situazione è ulteriormente aggravata dai disequilibri politici di Ecuador e Bolivia: Lenin Moreno ha minimizzato gli investimenti pubblici e l’intervento statale, mentre Evo Morales perde costantemente consenso interno.

Ecuador

Il Presidente Moreno ha negli ultimi anni ridisegnato le politiche macroeconomiche del suo predecessore, in un’ottica di progressiva limitazione della spesa pubblica. Ciò ha avuto come conseguenza violenti manifestazioni che hanno interessato le maggiori città dell’Ecuador. Il recente culmine delle riforme è stato un piano – ribattezzato paquetazo – che si componeva di una serie di misure, concordate con il Fondo Monetario Internazionale in cambio di un credito di 4.2 miliardi, che comprendevano in ultima istanza la soppressione del sussidio statale sui combustibili. L’abolizione del sussidio, atto a garantire il livello dei prezzi del carburante relativamente basso, ha scatenato il 3 ottobre scorso lo sciopero nazionale da parte di Fenacotip (Federazione nazionale delle cooperative del trasporto pubblico), a cui sono seguite le violente proteste campeggiate da associazioni civili e studentesche e dai gruppi indigeni. I manifestanti, dopo dieci giorni ininterrotti di proteste che hanno contato sette morti e decine di feriti, sono riusciti ad ottenere un negoziato con il governo che ha revocato il rincaro della benzina.

Il caso è emblema della propulsione al progressismo che i governi del Sud America stanno manifestando nelle ultime elezioni: la significativa vittoria nello scorso anno di Andres Manuel Lopez Obrador in Messico, l’affermazione del Kirchnerismo alle primarie presidenziali argentine di questo agosto, e infine il rifiuto del ritorno alle ricette del Fondo Monetario Internazionale in Ecuador.

Bolivia

Il 24 ottobre scorso Morales aveva ottenuto il suo quarto mandato, confermando la linea di interventismo statale fino a quel momento perseguito. La rielezione, su cui giaceva il sospetto di brogli, ha tuttavia causato il dilagare di rivolte e contestazioni da parte, diversamente da quanto accade in Cile ed Ecuador, delle fasce più agiate della popolazione, rivendicanti i propri interessi compromessi dalle manovre governative. Il Presidente ha in un primo momento dichiarato lo stato di emergenza, ma in seguito, sotto pressione dell’esercito si è dimesso.

Cile

Proprio come accaduto in Ecuador, anche in Cile sono scoppiate rivolte a causa dell’aumento del costo della vita. Le proteste ancora in atto chiedono le dimissioni del presidente Sebastian Piñera che, scusatosi per il “mancato ascolto”, ha promesso un ingente piano di riforme. Ma le promesse non convincono e le vittime delle manifestazioni salgono. La causa? L’ennesimo aumento del prezzo del biglietto dei mezzi pubblici, capro espiatorio della più estesa disuguaglianza sociale ed economica del Paese, risalente all’autoritarismo liberista di Augusto Pinochet.

Argentina

Lo scorso 27 ottobre il candidato di opposizione alle presidenziali in Argentina, Alberto Fernandez, ha vinto con il 47.82% dei voti contro il 40.67% del presidente uscente Maurizio Macri. Macri, fedele alle politiche economiche neoliberiste, aveva come obiettivi la restaurazione delle regole del mercato economico e finanziario e impedire l’aumento delle tasse. Tuttavia, l’inflazione è rimasta elevata, e l’aumento dei tassi di interesse USA tra il 2017-2018, determinanti l’apprezzamento del dollaro, ha provocato la fuga dei capitali e la svalutazione del peso. È nel 2018 che è stato erogato il più grande salvataggio nella storia del Fondo Monetario Internazionale: 57 miliardi di dollari. I risultati non sono stati soddisfacenti, in primis l’impoverimento della popolazione (la popolazione sotto la soglia di povertà raggiunge il 32%).

L’affermazione alle elezioni presidenziali del Fronte de Todos ha rappresentato un importante mutamento al governo di Macri: Fernandez sin da subito ha tentato di tranquillizzare i mercati sostenendo che non è in discussione il pagamento del debito nei confronti del FMI, ammettendo però una possibile rinegoziazione.

L’agitazione che sta attraversando il Sud America è sintomo di un chiaro rigetto delle politiche economiche neoliberiste adottate negli ultimi decenni. Politiche che, per motivi anche molto differenti tra loro, quali gli scandali personali, le morti dei leader storici, l’arresto della crescita economica, la generale diffidenza da parte dei sostenitori di un tempo, hanno portato ad una brutale inversione di marcia. Qualunque sia la direzione politica dei governi dell’America latina, ancora una volta il problema sembra essere determinato dall’impossibilità di governare un mondo globalizzato, connotato da stati economicamente interconnessi, e dall’assenza di un governo unico.

Fonte immagine: Wikimedia.

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