L’avvio della Conferenza sul futuro dell’Europa cade nell’anno in cui i federalisti celebrano l’ottantesimo anniversario del Manifesto di Ventotene (redatto nel 1941 nell’isola mediterranea dove Mussolini aveva confinato i suoi oppositori) e nel quale si terrà la COP26 di Glasgow, la conferenza dell’ONU che dovrà prendere decisioni cruciali per arrestare la corsa della specie umana verso il baratro di una crisi ambientale irreversibile. I tre avvenimenti del 2021 hanno in comune relazioni strutturali rilevanti, non solo la semplice coincidenza temporale. Questa raccolta di brevi saggi si propone di illustrare le connessioni tra questi diversi avvenimenti e le loro implicazioni politiche.
L’Unione Europea deve affrontare numerose sfide. Qui ci limitiamo a richiamare i due fronti che decideranno il suo futuro. Il primo è quello interno, vale a dire una maggiore coesione politica e sociale tra i cittadini europei, ancora considerati dai loro governi come cittadini nazionali membri di un’Unione dall’identità incerta, né confederale né federale. La politica interna europea ha avuto un soprassalto salutare con il piano Next Generation EU, quando la Commissione ha reagito al dramma della pandemia proponendo un generoso piano finanziato mediante un debito pubblico europeo. La Conferenza deve ora decidere se questa politica si debba considerare eccezionale o strutturale. Nel secondo caso, una «capacità fiscale» dell’Unione dovrebbe essere approvata per consentire al bilancio dell’Unione di garantire una permanente sostenibilità del debito pubblico europeo. Maggiori risorse proprie consentirebbero un potenziamento delle attuali politiche di coesione sociale e territoriale e un sufficiente sostegno allo European Green Deal, che rappresenta la colonna portante di Next Generation EU.
Il secondo fronte – o la seconda sfida – che la Conferenza dovrà affrontare riguarda i mezzi della politica estera europea. La guerra fredda è finita con la caduta del Muro di Berlino e la dissoluzione dell’URSS. Da allora, poco o nulla è stato fatto per evitare che la fine del sistema bipolare di governance mondiale si traducesse in un processo di pacificazione tra vecchie e nuove potenze. Oggi, occorre prendere atto che il nuovo sistema internazionale multipolare è sempre più minacciato da pericolose tensioni nazionalistiche e rivalità tra grandi potenze, nessuna delle quali si può definire superpotenza, seppure lo desideri. Il passato delle superpotenze è passato per sempre. Tuttavia, non si vuole accettare che le tensioni tra potenze possano essere attenuate dalla ricerca delle vie per una convivenza pacifica. Di conseguenza, si accetta passivamente il rischio di rottura di un equilibrio precario, con conseguenze drammatiche per la pace, l’ambiente e il benessere dei cittadini del mondo.
Per evitare un’ulteriore degenerazione dei rapporti internazionali, l’Unione europea deve dotarsi di due mezzi cruciali per contrastare il pericolo di una grave crisi internazionale e sostenere l’incerto cammino verso una pacifica global governance. La prima riforma riguarda l’uso internazionale dell’euro, che è già una moneta d’importanza globale, ma non è ancora in grado di assumere un ruolo alla pari del dollaro e delle monete che aspirano a quel ruolo, come il renminbi cinese, lo yen giapponese o la sterlina. Per conseguire questo risultato, il mercato europeo dei capitali dovrà divenire altrettanto attraente di quello del dollaro. Inoltre, alla riforma monetaria e finanziaria dell’euro, l’Unione dovrà affiancare una riforma del suo sistema di sicurezza. Per il momento, l’Unione si propone di difendere la sua «autonomia strategica», ma con mezzi inadeguati, come dimostrano gli insuccessi nell’area mediterranea, dove si sono imposte militarmente Russia e Turchia, e come dimostra la continua tensione tra NATO, Russia e Unione europea a causa dei problematici rapporti con Ucraina, Bielorussia e paesi dell’Europa dell’Est, una parte dei quali è già entrata nell’Unione, mentre un’altra parte è in bilico tra Russia e Unione Europea. Il problema della sicurezza e di una difesa europea autonoma dalla NATO non potrà pertanto essere ignorato dalla Conferenza.
Non è compito di questa introduzione entrare nel merito delle riforme che dovranno essere discusse e proposte nel corso della Conferenza, le cui finalità non sono ancora chiare. Tuttavia, nei brevi saggi qui raccolti sono contenuti numerosi suggerimenti sulle riforme necessarie per consentire all’Unione di dotarsi di un governo democratico e capace di agire per accrescere il benessere dei cittadini europei e progettare un futuro di pace per l’Europa e per il mondo. Ricordo solo una linea politica che ha ispirato l’azione dei federalisti dai tempi della Resistenza al nazifascismo e della ricostruzione post-bellica: la campagna per l’elezione a suffragio universale del Parlamento europeo e la riforma, promossa da Altiero Spinelli nel corso della prima legislatura europea, sfociata nel progetto di Trattato per l’Unione europea. Da allora, molte riforme dell’Unione sono state tentate, ma nessuna è risultata sufficiente a garantirle un assetto stabile, ovvero quella situazione di potere che Machiavelli definiva «stato». Esistono le avvisaglie affinché si possa di nuovo affermare questa linea d’azione.
Nel Parlamento europeo si sono delineate, in questa legislatura, due grandi polarità: da un lato un insieme di forze che si definiscono progressiste, favorevoli a più Europa; dall’altro una corrente che si definisce sovranista, favorevole a meno Europa. Si tratta di una contrapposizione che si era manifestata nel corso della prima legislatura, quando il Club del Coccodrillo, guidato da Altiero Spinelli, aveva promosso la prima radicale riforma dell’Unione, e che si è ripresentata quando nel 2002 si è aperta la Convenzione sul futuro dell’Unione Europea. I relativi insuccessi di queste iniziative dovrebbero servire da monito a chi dovrà trarre le conseguenze istituzionali della Conferenza sul Futuro dell’Europa: il rifiuto del Progetto Spinelli e del Trattato per una Costituzione europea è tra le cause non secondarie dell’ascesa dell’euroscetticismo e del sovranismo.
Qui mi limito a chiarire le ambiguità che si nascondono dietro le etichette di progresso e conservazione nel contesto europeo, una contrapposizione che non coincide con la consueta distinzione tra destra e sinistra nel contesto nazionale. Le riforme europee riguardano un processo d’integrazione «sovranazionale», pertanto chi è favorevole a «più Europa» intende procedere verso un rafforzamento dei poteri sovranazionali di governo dell’Unione, in ipotesi un governo europeo democratico legittimato da un Parlamento bicamerale, una camera dove sono rappresentati i cittadini e una camera dove sono rappresentati i governi nazionali. Chi è favorevole a «meno Europa» intende impedire che si avanzi nella direzione indicata dai federalisti e, in alcuni casi, pretende che siano revocati al livello nazionale alcuni poteri che già sono stati affidati all’Unione: in sostanza difende un progetto confederale, un’Europa delle Patrie, come avrebbe voluto de Gaulle.
Sulla distinzione destra-sinistra mi limito a richiamare alcune illuminanti considerazioni di Norberto Bobbio. Bobbio sostiene che «il criterio più frequentemente adottato per distinguere la destra dalla sinistra è il diverso atteggiamento che gli uomini viventi in società assumono di fronte all’ideale dell’eguaglianza, che è insieme a quello della libertà e a quello della pace, uno dei fini ultimi che si propongono di raggiungere e per i quali sono disposti a battersi». Oltre a questa chiara distinzione tra destra e sinistra, Bobbio indica alcuni importanti contenuti delle rivendicazioni contemporanee della sinistra. «Mai come nella nostra epoca – afferma – sono state messe in discussione le tre fonti principali di diseguaglianze: la classe, la razza e il sesso. La graduale parificazione delle donne agli uomini, prima nella piccola società famigliare, poi nella più grande società civile e politica, è uno dei segni più certi dell’inarrestabile cammino del genere umano verso l’eguaglianza”. Infine, si manifestano le avvisaglie “di una possibile estensione del principio di eguaglianza al di là addirittura dei confini del genere umano, un’estensione fondata sulla consapevolezza che gli animali sono eguali a noi uomini per lo meno nella capacità di soffrire.» [1]
Nel discutere di questi problemi, Bobbio ricorda che alcune sue considerazioni sono state ispirate da un più antico saggio di Luigi Einaudi, nel quale Einaudi ricordava come la struttura democratica dello stato consentisse alle forze del liberalismo e del socialismo di trovare, nelle loro controversie, un punto di equilibrio tra i valori della libertà e dell’eguaglianza così che entrambi gli schieramenti potessero realizzare quelle riforme, come le prime strutture del welfare state, indispensabili per garantire la pace interna e il miglioramento delle condizioni di vita della società, in particolare degli strati più poveri. Queste osservazioni di Einaudi, riguardanti la fase progressiva dello stato nazionale, si possono ovviamente applicare alle dispute correnti nel Parlamento europeo, perché le distinzioni destra-sinistra, libertà-eguaglianza, sono ancora necessarie per dipanare alcune controversie su scala europea, come ad esempio le misure per istituire un salario minimo europeo oppure le politiche per favorire l’inserimento dei giovani e delle donne nel mondo del lavoro, in un mercato continentale.
Vi è pertanto un inevitabile terreno di sovrapposizione tra i problemi «destra-sinistra» che si dibattono nel quadro nazionale e quelli che si dibattono al livello sovranazionale, quando è necessario ripartire alcune competenze che sono più efficacemente gestite su scala sovranazionale, applicando il principio di sussidiarietà. Anche in questo caso è comunque necessario tenere presente la distinzione tra progresso e reazione (o conservazione) formulata nel Manifesto di Ventotene, perché la conservazione dei privilegi si cela spesso dietro il paravento della difesa dell’interesse nazionale e dell’antidemocratico voto all’unanimità. In breve, la struttura parzialmente confederale dell’Unione funge da paravento per politiche conservatrici. Questa anomalia è congenita alla fondazione dell’Unione, che non è avvenuta mediante un processo costituente al termine del quale la Costituzione federale sarebbe stata sottoposta all’approvazione dei cittadini, come negli Stati Uniti d’America. Con la Dichiarazione Schuman si è scelto il metodo del gradualismo e del realismo. La fondazione della Comunità Europea del Carbone e l’Acciaio (CECA) è stata un’innovazione di importanza storica. Jean Monnet ha avuto il grande merito di individuare con chiarezza sia le condizioni minime per l’avvio di un processo di unificazione politica tra stati nazionali sia il punto di arrivo: la federazione europea. Tuttavia, dopo la prima crisi europea – la sconfitta della Comunità Europea di Difesa (CED) – nei Trattati di Roma il punto di arrivo fu sostituito dalla vaga espressione «una unione sempre più stretta». Da allora, i governi nazionali hanno potuto sfruttare le ambiguità dell’europeismo, un’espressione che cela la volontà di indebolire l’Unione quando si vogliono proteggere interessi nazionali.
È venuto il momento, con la Conferenza sul futuro dell’Europa, di ritornare all’obiettivo politico cruciale indicato sia nella Dichiarazione Schuman che nel Manifesto di Ventotene, dove è scritto: «La linea di divisione tra partiti progressisti e partiti reazionari cade ormai non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa quelli che concepiscono come fine essenziale della lotta quello antico, cioè la conquista del potere politico nazionale – e che faranno, sia pure involontariamente, il gioco delle forze reazionarie lasciando solidificare la lava incandescente delle passioni popolari nel vecchio stampo, e risorgere le vecchie assurdità – e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopereranno in primissima linea come strumento per realizzare l’unità internazionale».
La linea di divisione tra progresso e reazione indicata nel Manifesto consente alle forze politiche presenti nel Parlamento europeo di comprendere più approfonditamente come i loro ideali di libertà, democrazia e uguaglianza si possano coniugare a più livelli, da quello della comunità locale, al livello regionale, nazionale ed europeo e come l’Unione possa diventare un veicolo politico decisivo – un solido stato internazionale – per diffondere su scala mondiale l’ideale dell’unità politica tra popoli, in breve, la pace internazionale.
Resta ora da chiarire un’ultima ambiguità contenuta nei termini di progresso e di forze progressive. Si tratta di un’ambiguità che rischia di alimentare pericolose illusioni. Il filosofo Henrik von Wright ha mostrato, con solide argomentazioni, come questa ambiguità – che definisce il «Mito del progresso» – abbia potuto manifestarsi e diventare un modo di pensare universalmente adottato. Nell’età moderna, grazie agli straordinari sviluppi del pensiero scientifico e all’affermazione dell’industrializzazione, si è consolidata un’idea di progresso che coincide con lo sfruttamento economico delle nuove tecnologie. Tuttavia, le tecnologie possono avere molteplici usi: l’energia nucleare può servire per produrre elettricità oppure la bomba atomica, la bioingegneria può consentire di guarire malattie ereditarie oppure creare razze umane super-forti e super-intelligenti; l’intelligenza artificiale può ridurre la fatica del lavoro oppure progettare armi micidiali comandate a distanza. Più in generale, l’industrializzazione ha prodotto lo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali, la distruzione del paesaggio e della biodiversità. I filosofi dell’illuminismo discutevano delle condizioni necessarie per favorire il perfezionamento morale dell’umanità. Questa idea di progresso non coincide con quella del progresso materiale, sebbene questo secondo significato del termine si riferisca ad aspetti del miglioramento della condizione umana che non devono essere sottovalutati. “La moderna idea di progresso – afferma von Wright – mostra due diversi contesti, di differente origine storica. Il primo è l’idea di progresso mediante l’accumulazione di conoscenze e i miglioramenti della scienza e della tecnologia. Il secondo associa il progress con la perfezionamento dell’uomo e dell’ordine civile." [2]
La precisazione di von Wright consente di mostrare un altro aspetto dell’attualità del Manifesto di Ventotene. Il suo primo capitolo si intitola «La crisi della civiltà moderna» e si apre con l’affermazione: «La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della libertà, secondo il quale l’uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita» Questo breve cenno è sufficiente per mostrare che gli estensori del Manifesto non intendevano considerare la federazione europea come una costruzione che riguardasse solo gli europei, ma come una premessa per affrontare e superare la crisi della civiltà moderna. La seconda guerra mondiale è il sintomo evidente di un drammatico regresso civile. Sebbene oggi si discuta, impropriamente, di uno scontro tra civiltà, la politica dovrebbe proporsi di incoraggiare il dialogo tra le molte civiltà che si sono radicate in tutti i continenti. Un dialogo che deve avere come punto d’arrivo la creazione della convivenza pacifica universale di tutti i cittadini del mondo, una civiltà cosmopolitica.
È questo l’ideale che dovrebbe guidare i lavori della Conferenza sul futuro dell’Europa. Esistono due grandi aporie nel sistema internazionale attuale che impediscono la sua realizzazione. La prima riguarda la sfida del cambiamento climatico, un pericolo incombente sul futuro delle prossime generazioni e dell’umanità, perché la specie umana non è immortale e il sistema della produzione industriale, iniziato con lo sfruttamento del carbone e dell’energia meccanica, non è più sostenibile. I 17 Global Sustainable Goals approvati dell’ONU nel 2015 sono una testimonianza del fatto che il pericolo è noto e che l’ostacolo va superato. Ora, finalmente, si è levata la voce dei giovani contro l’inazione dei governi nazionali, che temono di perdere consensi elettorali nel breve periodo a causa dei costi della decarbonizzazione della biosfera. In questo modo scaricano la responsabilità e l’onere delle riforme sulle generazioni future.
Il secondo grande ostacolo alla creazione di una civiltà cosmopolitica consiste nell’ottuso perseguimento della politica di potenza da parte dei principali soggetti del sistema internazionale. La politica di potenza, la ricerca di un primato mondiale a tutti i costi, condanna l’umanità – se consideriamo la comunità dei cittadini del mondo come una comunità di destino – a uno spreco imperdonabile. La corsa agli armamenti assorbe altrettante risorse di un efficace piano globale di decarbonizzazione del pianeta. La conquista dello spazio, al fine di piantare una bandiera nazionale sulla Luna o su Marte, indica una volontà di colonizzazione che riproduce su scala cosmica la politica imperialista europea dei secoli scorsi. I progressi della scienza e della tecnologia sono sfruttati per annientare altri esseri umani, distruggere il pianeta che ci ospita e soddisfare la vanità di qualche capo di stato.
Questi nefasti orientamenti della politica internazionale dovrebbero essere discussi dalla Conferenza sul futuro dell’Europa. Dai suoi lavori potrebbe scaturire il segno di una nuova epoca per gli europei e i cittadini del mondo. Alla fine della seconda guerra mondiale, popoli stremati, impoveriti e sofferenti hanno sperato in un mondo nuovo senza muri e fili spinati, senza più guerre, genocidi ed emigrazioni forzate. Queste speranze sono state in gran parte deluse. La crisi della civiltà moderna è ancora una ferita aperta: ecco il messaggio del Manifesto di Ventotene.
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