Il 4 marzo 2018 sarà una data da ricordare per due motivi importanti.
In Germania gli iscritti al SPD, con il 66%, hanno dato il via libera ad un governo di Große Koalition con la CDU/CSU all’insegna di “un rilancio per l’Europa”, come recita il preambolo del documento siglato a metà gennaio dai negoziatori, nel quale si legge che “la Germania ha nei confronti dell’Europa un’infinita gratitudine” ed in cui si tracciano le linee-guida del rilancio europeo.
La lettura del documento (testo italiano) é impressionante: si disegnano i principi di un modello economico e sociale per la Germania e per l’Europa, un nuovo patto che consente di coniugare il welfare della tradizione ‘renana’ (economia sociale di mercato) con le esigenze della competitività nell’era della globalizzazione.
In Italia si è eletto il nuovo Parlamento al termine di una brutta campagna elettorale, partita con il dibattito (sic) sui sacchetti di plastica, il canone RAI, i vaccini obbligatori e via di seguito e che si è concluso con la corsa ai rilanci su fantasiosi tagli alle tasse. Il tema del progetto europeo non si è manifestato con forza, malgrado gli slogan sugli Stati Uniti d’Europa di PD e +Europa (vedremo poi se, dal confuso risultato elettorale emergerà, alla fine, quella “scelta di campo” pro-Europa che i federalisti hanno posto nella Convenzione per un’Europa federale del 27 gennaio a Roma).
Questo risultato elettorale è la logica conseguenza della crisi profonda della politica italiana. Un sistema politico che si è mostrato incapace di riformare le proprie istituzioni, come dimostra anche il tentativo fallito di andare verso il monocameralismo legislativo e precedentemente verso il federalismo fiscale. E con un’Amministrazione pubblica in cui burocrazia e ampie aree di opacità non consentono di rispondere con efficienza e trasparenza alla domanda che proviene dal mondo delle imprese e del lavoro. E che ha contribuito in modo consistente al crollo degli investimenti e dell’occupazione negli ultimi dieci anni.
La forza numerica dei movimenti populisti e anti-sistema che emerge in queste elezioni italiane è dunque la rappresentazione politica di una frammentazione sociale che non trova più risposte nella politica (nazionale e tradizionale). E che si traduce nella richiesta di una difesa contro chi sembra minacciare la propria sicurezza (i migranti) oppure si riversa, in forma immaginaria, contro tutto ciò che opera nel mondo globale (le istituzioni internazionali e sovrannazionali, la finanza e via di seguito). E che finisce per dar fiato ai movimenti nazionalisti, humus di un pre-fascismo di ritorno.
La politica nazionale non è in grado di contrastare questa tendenza, anzi la alimenta, dal momento che non può fornire strumenti politici ed istituzionali per rispondere alla domanda di sicurezza e di sviluppo, i due beni pubblici basilari di una qualsiasi comunità politica.
Per questo occorre dire che, proprio attorno a questi due beni pubblici essenziali, deve costruirsi la piattaforma di un rilancio del progetto europeo: una difesa e una politica estera comune da una parte, una politica di sviluppo industriale nei settori di punta dell’innovazione e di sostegno all’occupazione per gestire la transizione verso la società della conoscenza, dall’altra. E che, per fare tutto ciò, è necessario un bilancio europeo dotato di risorse proprie, per rendere possibile un processo decisionale europeo autonomo rispetto a quello degli Stati.
Sono questi i temi sui quali dovrà misurarsi l’iniziativa franco-tedesca che si annuncia nelle prossime settimane.
Gli stessi che una malconcia classe politica italiana ha finora finto di non vedere, e ciò ha finito per accentuare, con queste elezioni, l’ingovernabilità del Paese. Ha commesso lo stesso errore dei grandi partiti tedeschi nel settembre 2017 che litigarono sui problemi della politica interna, trascurando il progetto europeo. Ora hanno rimediato con l’accordo ratificato il 4 marzo.
Allo stesso modo anche alle forze politiche italiane toccherà ora affrontare il problema che hanno voluto evitare prima, ma in condizioni peggiori. Dovranno infatti dire subito, nei tentativi di dar vita ad un governo, se l’Italia vorrà esser parte di un rilancio del progetto europeo oppure restarne ai margini del processo decisionale.
Il tempo delle liti del cortile italico è finito. È il momento della scelta di campo decisiva: dentro il processo di rifondazione dell’Unione oppure alla deriva in un Mediterraneo privo di sicurezza e di sviluppo.
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