Con le decisioni della BCE del 22 gennaio 2015 sull’acquisto di titoli degli Stati dell’Eurozona, Mario Draghi onora l’impegno che aveva preso il 26 luglio del 2012 di difendere l’euro whatever it takes. Siamo in presenza di un passaggio storico, con il quale viene definitivamente acquisito il fatto che la BCE abbia il “titolo” per acquistare il debito degli Stati membri. “Per come la vedo io, questo è un momento da Alexander Hamilton” – disse qualche anno fa Paul Volcker, già presidente della Federal Reserve americana, parlando della situazione europea – “Il problema è che non lo vedo”.
Il debito pubblico statale non è bellissimo, ma il debito pubblico in comune fa la forza di una federazione. È questa la lezione che ci ha lasciato Alexander Hamilton, primo Ministro del Tesoro americano, capofila dei federalisti all’epoca della Convenzione di Filadelfia (1787). Una lezione che Mario Draghi sembra voler seguire, passo dopo passo, da tre anni a questa parte. E che ha ripreso pienamente, non certo nella lettura del comunicato ufficiale che riporta le decisioni prese dalla BCE, bensì nel corso della conferenza-stampa, rispondendo alle domande dei giornalisti: è qui che dà sempre il meglio di sé, esponendo con semplicità, ma anche con estremo rigore e chiarezza, la sua filosofia politica.
1) “La politica monetaria ha implicazioni dirette sul bilancio”, un’espressione con la quale ha inteso rafforzare il concetto-chiave del discorso del 2 agosto 2012 (“Gli spread sovrani rientrano nel nostro mandato, nella misura in cui bloccano il funzionamento dei canali di trasmissione della politica monetaria”). Un concetto con il quale intendeva legittimare l’acquisto dei titoli di stato dei Paesi in difficoltà. In altri termini: se il mandato della BCE è quello di preservare la stabilità monetaria dell’Eurozona, è dovere dell’Istituzione fare tutto il possibile per evitare che la crisi del debito di uno o più Paesi impedisca il funzionamento della politica monetaria per tutta l’area. È lo stesso modo di ragionare di Hamilton: “Se un fine è chiaramente compreso in uno dei poteri previsti, e se un provvedimento, avente un rapporto evidente con questo fine, non è espressamente vietato da una speciale disposizione della Costituzione, allora questo provvedimento può sicuramente essere considerato come di competenza del governo nazionale”. L’acquisto di titoli pubblici da parte della BCE è dunque divenuto uno strumento di politica monetaria e su questo punto – ha aggiunto Draghi – c’è stata l’unanimità nel Board, con un “riconoscimento anche giuridico” dell’iniziativa. Si è dunque affermato un principio irreversibile.
2) “Poiché oggi non c’è ancora un Tesoro europeo allora dobbiamo porci il problema di come distribuire il rischio a livello dell’Eurosistema”. Anche su questo punto è stata fatta un’affermazione di principio e poi si è trovata una soluzione politica. Sempre a partire dalla necessità di garantire l’unicità della politica monetaria, la BCE coordinerà gli acquisti dei titoli di stato dei singoli Paesi (the ECB will coordinate the purchases, thereby safeguarding the singleness of the Eurosystem’s monetary policy), la cui implementazione avverrà però in forma decentrata, cioè ad opera delle Banche centrali nazionali. Per quanto riguarda il rischio a fronte perdite ipotetiche, questo sarà ‘condiviso’ (cioè in capo alla BCE direttamente) per il 20%, comprendente il totale del rischio per gli acquisti dei titoli delle Istituzioni europee (BEI ed ESM) pari al 12% e l’8% degli acquisti dei titoli degli Stati. Il restante 80% del rischio non sarà condiviso e quindi rimarrà in capo alle singole Banche centrali nazionali. Qualcuno forse può essere rimasto deluso da questa soluzione politica, attendendosi una totale condivisione dei rischi. Ritengo invece importante che sia stato affermato il principio del ‘risk sharing’, è meno importante che si applica ‘solo’ per il 20%. E su questa questione lo stesso Draghi ha ironizzato con i giornalisti che insistevano sulla presunta ‘debolezza’ della soluzione trovata: “se facciamo funzionare il piano di acquisti il problema del rischio non si porrà”.
3) “La politica monetaria è importante ai fini della crescita e noi facciamo tutto il possibile perché funzioni, ma da sola non basta: ci vogliono gli investimenti e riforme strutturali”. Draghi ha richiamato il Piano Juncker come il catalizzatore degli investimenti (e il necessario clima di fiducia attorno ad esso), mentre ha detto che è compito dei governi portare avanti le riforme strutturali che creino quelle condizioni ambientali e normative favorevoli a far ripartire gli investimenti.
L’attesa svolta della BCE è dunque molto importante perché si crei un nuovo clima politico in Europa. Il fatto che sia temporalmente contestuale all’avvio del Piano Juncker è ancora più importante perché crea un clima favorevole al suo dispiegamento: le due azioni combinate possono chiudere la lunga fase di recessione dell’economia europea e della sua crisi politica. Occorre sfruttare politicamente queste potenzialità che stanno emergendo, rilanciando per i Paesi della zona Euro gli obiettivi delle tre Unioni: fiscale, economica e politica. E sulla base delle emergenze che la crisi europea pone: la necessità non più differibile per l’Europa di una propria politica economica e di sicurezza, per poter esercitare un ruolo in un mondo globalizzato e denso di pericoli. Un New Deal for Europe diventa ora anche una rivendicazione della Federazione europea.
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