Il Trattato sulla Carta dell’Energia ostacola l’avanzata del Green Deal europeo

, di Louise Groyer, Trad. di Stefania Ledda

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Il Trattato sulla Carta dell'Energia ostacola l'avanzata del Green Deal europeo

Martedì 22 novembre, Bruxelles avrebbe dovuto adottare la riforma del Trattato sulla Carta dell’Energia (TCE) ma senza un accordo tra i 27 Stati membri dell’UE, il voto è stato posticipato ad aprile 2023. La transizione ecologica in seno all’Unione Europea è quindi rinviata a “più tardi”, ancora una volta…

Il Trattato sulla Carta dell’Energia: di che cosa si tratta?

Dopo la caduta del blocco sovietico nel 1989, che segnava la fine della guerra fredda, gli Stati europei hanno tentato di cooperare al fine di assicurarsi dei propri approvvigionamenti energetici. Infatti, il settore energetico costituisce una fetta di richiesta sempre più grande in Europa e i paesi dell’ex-blocco sovietico hanno ampia disponibilità di risorse energetiche. Quindi, nel 1994 l’Unione Europea ha firmato il Trattato sulla Carta dell’Energia in seguito all’istituzionalizzazione delle competenze dell’UE nel settore dell’energia.

Gli Stati membri dell’UE hanno continuato il lavoro a favore del settore energetico attraverso il voto del “Terzo Pacchetto Energia” del 2009, il quale mirava a rinforzare l’intregrazione del mercato interno e a stimolare la concorrenza a beneficio dei consumatori europei. L’ultimo corpus legislativo europeo, il pacchetto “Energia pulita per tutti gli europei”, è entrato in vigore il 4 luglio 2019, e la proposta della sua approvazione è stata discussa e dibattuta dalla Commissione Europea nel novembre 2016.

Questa carta pone l’eliminazione delle divisioni politiche come il suo obiettivo principale. In realtà, quello più importante è la protezione degli investitori dell’Unione Europea nel settore energetico. Con la firma di questo testo, gli Stati sperano di rassicurare gli investitori del settore dell’energia e di stimolare i finanziamenti energetici in modo duraturo. In termini concreti, il testo consente un’apertura alla concorrenza ancora più importante all’interno della stessa UE e la limitazione degli intralci alla libera concorrenza del mercato, garantendo condizioni più stabili ed eque agli investitori.

Il Trattato sulla Carta dell’Energia: a che punto siamo?

Attualmente gli Stati firmatari del trattato sono 53, visto che l’Italia se ne è ritirata nel 2016. Da parte sua, l’ottobre scorso la Spagna ha comunicato la volontà del suo governo di ritirarsi dalla carta. Allo stesso modo, nelle ultime settimane, la Francia, la Germania e i Paesi Bassi hanno espresso il loro desiderio di ritirarsi. Come spiegare la crescente intenzione degli Stati firmatari di ritirarsi dal trattato?

Se prendiamo l’esempio della Spagna, è la voce degli esperti, degli ecologisti militanti e dei ricercatori che ha messo in evidenza il pericolo che questo trattato poteva rappresentare per il Green Deal europeo. Il trattato minaccerebbe la transizione verso l’utilizzo di energie rinnovabili e il raggiungimento dell’obiettivo di un’Europa decarbonizzata nel prossimo 2050. Questo trattato viene criticato anche perché permette alle società di tenere sotto controllo i tribunali arbitrali durante le controversie tra questi ultimi e gli Stati: l’arbitrariato è un modo di rendere giustizia senza passare davanti ai tribunali statali di giustizia pubblica.

I Paesi Bassi si sono visti protagonisti di una causa intentata dalla RWE e dalla Uniper, che sono entrambe multinazionali tedesche presenti nel settore energetico. RWE reclama dallo stato olandese la somma di più di 1 miliardo di euro in seguito al voto di una legge statale che bannava il carbone fino al 2030. Inoltre, la RWE ritiene di dover essere indenizzata con una somma simile tale da poter ricompensare le perdite subite derivanti dalla chiusura della centrale termica nel 2030. Anche la Francia è oggetto di procedimenti giudiziari: in seguito alla modifica delle tariffe di riacquisto dell’elettricità fotovoltaica nel 2020, la società tedesca Encavis ha reclamato un risarcimento allo stato francese. Resta il fatto che la Spagna è il paese europeo con il più alto numero di processi in corso o affrontati dai tribunali e riguardanti le rivendicazioni degli investitori in virtù del TCE. La Spagna conta circa una cinquantina di denunce di investitori del settore energetico.

Questo punto solleva il problema della lentezza con cui l’Europa si muove verso l’obiettivo della neutralità al carbone del 2050. Poiché la Spagna ha firmato il suo ritiro dal trattato, il suo governo, in maniera del tutto logica, deve potersi liberare dalle esigenze del trattato e, in particolare, dagli articoli sulle procedure di arbitrato. Però, la fine dell’applicazione del trattato è effettiva 20 anni dopo il ritiro di uno Stato da quest’ultimo. Questa disposizione perdura così nel tempo e permette ai giganti dell’energia fossile di perseguire gli Stati, di fatto rallentando la promozione delle energie rinnovabili. Così, il trattato non incoraggia gli Stati a impegnarsi nella transizione energetica poiché essi sono constantemente “minacciati” dalle esigenze del Trattato sulla Carta dell’Energia.

La decisione presa lo scorso ottobre dal governo spagnolo di ritirarsi dal trattato è la prima di una serie attribuite al testo.

In effetti, la carta è oggetto di lavori di modernizzazione miranti ad adattare il testo alle problematiche ambientali: le discussioni sulla modifica della carta sono iniziate quattro anni fa e sono durate più del previsto. Ciò è avvenuto a causa della pressione della popolazione in alcuni Stati firmatari, in particolare la Spagna, che si è così astenuta dal voto di venerdì 18 novembre al Consiglio dell’Unione Europea. Martedì scorso la Commissione Europea avrebbe dovuto deliberare sull’adozione o meno della modifica al trattato.

Una volta modificato, il trattato avrebbe dovuto presentare disposizioni quali l’esclusione della protezione degli investimenti nelle energie fossili nei territori degli Stati Membri e degli investitori in quanto parti contraenti dei contratti, per coloro che lo desiderano. Questa clausola permetterebbe di anticipare le scadenze e ridurre i costi legati ai contenziosi irricevibili o classificati come inappropriati.

La prossima tappa: un ritiro in blocco dell’UE?

Questo è ciò che spera l’eurodeputata del gruppo Renew, Marie-Pierre Vedrenne, che milita in favore dell’uscita in blocco dell’UE da questo trattato. Il meccanismo di risoluzione delle controversie attualmente adottato dalla carta non è però conforme al diritto europeo. Per cui, i tribunali internazionali non sono tenuti a rispettare la suddetta carta e sono liberi di prendere in considerazione o meno le sue disposizioni. Numerosi rapporti di esperti (in particolare, quello dell’Alto Consiglio sul Clima) sottolineano che il testo di riforma del Trattato sulla Carta dell’Energia non è compatibile con l’intensità degli sforzi di riduzione delle emissioni all’interno del settore energetico per poter attuare il programma 2030.

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