Indipendenza catalana: diritto di decidere o manipolazione delle élite?

, di Davide Cinotti

Indipendenza catalana: diritto di decidere o manipolazione delle élite?

Negli ultimi 13 anni la Catalogna è stata caratterizzata da un aumento esponenziale del sostegno all’indipendenza della regione. Secondo il CEO, l’istituto statistico del governo catalano, i catalani a supporto dell’indipendenza sono passati dal 13,9% del marzo 2006 allo storico 48,5% dell’ottobre 2013.

Grafico 3: Pensi che la Catalogna debba essere (Fonte: dati barometro CEO, 2006-2018).

A causa del ruolo della classe media istruita e delle élite dei partiti indipendentisti, in particolare CDC (Il principale partito storico indipendentista, dove militava il Presidente Catalano per eccellenza: Jordi Pujol), il processo di indipendenza catalana contemporaneo può essere considerato sui generis. Nonostante CDC, lo stesso partito, al governo della Generalitat (il governo regionale catalano), fosse autore delle politiche austere applicate durante la crisi economica e al centro dei casi di corruzione che hanno coinvolto la Spagna alla fine dell’ultimo decennio le élite di partito (Prima Mas, poi Puigdemont) sono state identificate dagli elettori, assieme alle associazioni di civili, come leader indiscussi del processo d’indipendenza. Esiste quindi una narrazione nazionalista creata ad hoc negli anni del governo indipendentista? Vi è un collegamento tra le élite dei partiti e i gruppi civici? E, infine, chi è a capo del processo? Le élite (quindi un cosiddetto processo top-down) o i gruppi civici (bottom-up)?

La crescita del consenso indipendentista

La situazione antecedente al rilancio dell’indipendentismo veniva definita «l’Oasi catalana», a causa della grande collaborazione presente tra il governo spagnolo e i partiti nazionalisti catalani. A quel tempo, l’aggettivo catalano seny, che significa compostezza/serenità, era comunemente usato per descrivere i catalani che erano visti come inclini alla negoziazione e al compromesso, spesso messi a confronto con l’ETA, e in generale, con il movimento indipendentista basco (Moreno 1988, 170). Quindi, il nazionalismo catalano non era considerato particolarmente problematico e il movimento indipendentista godeva di un sostegno limitato nel contesto post costituzione del 1978. L’unica eccezione indipendentista influente era la sinistra repubblicana (ERC) che, tuttavia, non divenne secessionista fino al 1989. Prima di quell’anno, il partito sosteneva l’autodeterminazione ma non l’indipendenza dalla Spagna. La situazione odierna è radicalmente diversa: dopo le elezioni regionali catalane di settembre 2015, il 53% dei deputati del Parlamento catalano era a favore dell’indipendenza (JxSì e CUP) e il 9% all’autodeterminazione (CatSìqueesPot). Molti esperti sostengono che questo cambio di posizione ebbe luogo tra coloro la cui sicurezza economica fu minacciata dal 2008.

Le ragioni economiche

Tra le ragioni che spingono alla secessione, come nel caso della prima Lega in Italia, viene spesso posto il fattore economico. Se quest’ultimo potesse spiegare la crescita del sostegno secessionista in Catalogna, indipendentemente da altri fattori, l’emergere del secessionismo sarebbe logicamente avvenuto in precedenza, ad esempio durante la crisi economica della metà degli anni ’90. Quello fu in realtà il decennio del consenso autonomista, quando il secessionismo godeva di scarso sostegno tra i catalani. Inoltre, se questo fosse il fattore principale, le idee secessioniste sarebbero emerse anche in altre regioni spagnole colpite dalla crisi economica.

Gli attori

Il processo di indipendenza catalana mostra quattro attori: i due principali partiti indipendentisti catalani e i due principali gruppi civici. I de partiti sono il Partit Demòcrata Europeu Català (PDCAT, successore del CDC) ed Esquerra Republicana de Catalunya (ERC). CDC è stato il principale partner di una coalizione di governo a lungo termine nel governo regionale (1980-2003; 2010-2012), mentre ERC è un partito regionalista, creato nel 1931, che ha costantemente guadagnato forza, diventando un partner rilevante nel governo catalano (2003-2010) e vincendo le elezioni europee 2014 in Catalogna. Durante l’ultimo decennio, entrambi hanno intrapreso una «deriva populista», abbracciando gli argomenti e le affermazioni fatte da altri partiti regionalisti più radicali, trasformando il classico discorso moderato catalano in una retorica secessionista, rendendola mainstream (Barrio, Barbera, Rodríguez, 2018). I due gruppi civici sono rispettivamente il consolidato Omnium Cultural (OC) e la nuova Assemblea Nacional Catalana (ANC). Il primo è nata negli anni sessanta come un’associazione con l’intento di preservare la lingua catalana, oggi una delle figure che governavano il processo indipendente. La seconda è l’organizzatrice della più grande manifestazione della storia catalana, la Diada del 2012, e anch’essa è una figura fondamentale del successo dell’indipendenza. Entrambi hanno contribuito a promuovere un’azione collettiva a favore della causa secessionista sin dalla nascita del movimento. Nel 2015 ANC e OC, formano con i due maggiori partiti (ora anch’essi) secessionisti una candidatura congiunta, il cosiddetto Junts pel Si (JxSí), con l’obiettivo di trasformare le elezioni in una sorta di referendum sull’indipendenza.

Il referendum

Dopo la “consultazione informale sul futuro della Catalogna” del 2014, il primo ottobre 2017 il governo catalano ha tenuto un controverso referendum per l’indipendenza, a cui agli elettori è stata posta la domanda: "Volete che la Catalogna sia un paese indipendente sotto forma di una Repubblica?”. La Generalitat (il governo autonomo catalano) ha stimato che l’affluenza alle urne fu del del 43% (2,2 milioni). Tra coloro che hanno votato, il 90,2% ha votato Sì e il 7,8% ha votato No.

(Fonte: CEO. Elaborazione dati Baròmetre d’Opinió Política, 2006-2018, CiU nel 2015 si scioglie dando vita a due nuovi partiti).

Di questi quattro gruppi uno solo ha dominato indiscusso il processo. Nonostante politiche austere del suo governo (2010-2013), i casi di corruzione del partito, l’affermazione dei due gruppi civici e le controversie tra i partiti indipendenti CDC è stato il leader politico del processo di indipendenza.Il movimento per l’indipendenza contemporanea in Catalogna non è aumentato drammaticamente nel 2008, quando è esplosa la crisi economica, ma solo nel 2012, anno del congresso di Reus, quando per la prima volta CDC (con ERC lo storico partito regionale) ha dichiarato apertamente la sua intenzione di costruire uno stato indipendente. Un fattore che può aiutarci a rispondere è capire se ANC ha ricevuto finanziamenti pubblici Di Omnium Cultural, ad esempio, è noto almeno che tra il 2008 e il 2010 ha ricevuto 1,5 milioni di contributi dalla Generalitat (Martínez, 2016).

Analisi sociale e politica

Gli esperti sono divisi tra coloro che sostengono che il nazionalismo catalano sia sempre esistito (Guibernau 2013; Keating, 2001) e quelli che sostengono che nel corso degli anni successivi alla costituzione del ’78 vi sia stata una premeditata azione del governo(storicamente indipendentista) della Generalitat finalizzata alla secessione dallo Stato spagnolo ( Castan, 2018; Crameri, 2015; Dowling, 2017). Il secondo gruppo pone le élite culturali e intellettuali al centro del movimento, in particolare quelle con esperienza in settori legati ai media: esse svolgono un ruolo cruciale di collegamento tra le élite politiche e le associazioni civili. Durán (2016) scrisse di come come TV3 (la televisione controllata dal parlamento catalano) abbia causato un aumento sia dell’affluenza alle urne sia di voti a CiU (il principale partito indipendentista, oggi disciolto) nelle elezioni parlamentari catalane del 1984 (2016). Lo stesso fenomeno si ripresenta all’interno del sistema educativo: secondo Clots e Masella (2013), già due generazioni sono cresciute in un sistema educativo in catalano, dove materie come la geografia e la storia sono fortemente concentrate sulla costruzione e sul rafforzamento dell’identità catalana. Wood (1981) si riferisce a questo come imprenditoria politica: un gruppo secessionista sfrutta le fessure esistenti e «accarezza le fiamme del malcontento» per far avanzare il suo programma mentre, parallelamente, crea l’immagine ideale di un nuovo Stato che protegge gli interessi e la dignità di i suoi cittadini”. Un altro esempio paradigmatico di questi argomenti è illustrato dal dibattito a lungo termine sulle lamentele fiscali sintetizzato con lo slogan Espanya ens roba (la Spagna ci ruba) che è diventato il grido di battaglia della campagna di indipendenza durante la recessione economica del 2008 e, in particolare nei primi anni del 2010, durante negoziati (falliti) per un nuovo accordo fiscale per la Catalogna (Dowling, 2017).

Gli autori sono anche divisi sul ruolo dei partiti nel processo. Considerando il livello di intenzionalità, Panebianco (1982) distingue tra un cambiamento che è il risultato dell’intenzionalità (che definisce «scelte deliberate e consapevoli») e la non intenzionalità, vale a dire «l’effetto voluto o previsto delle dinamiche organizzative». Tra le diverse dimensioni del cambiamento di posizione politica, ce ne sono due che sono particolarmente interessanti per l’analisi: il grado di intenzionalità e, soprattutto tutto, la sua origine. Il cambiamento nei partiti regionali catalani può essere concepito come un processo adattivo (Katz & Mair, 1990), in base al quale le parti si adattano progressivamente alle trasformazioni ambientali o come un processo in cui i leader di partito svolgono un ruolo guida (Harmel & Tan). Nel primo caso, il leader del partito ha poco spazio di manovra (Adams, 2004; Adams & Somer-Topcu 2009; Crozier e Friedberg, 1978), mentre nel secondo è il motore del cambiamento (Müller e Strøm 1999; Rohlfing, 2015; Benski e Langman, 2013). Secondo Dowling (2017), se usiamo le definizioni di classe tradizionali, il movimento catalano è il più debole tra la classe lavoratrice industriale e postindustriale. Questa è una notevole differenza, ad esempio, con il movimento scozzese, che ha prodotto una profonda spaccatura nella Scozia post-industriale ed è diventato un elemento importante a Glasgow e in altre aree urbane. La base sociale del movimento per l’indipendenza è costituita da settori della classe media a Barcellona, mentre al di fuori delle grandi aree urbane, all’interno della regione dove la lingua catalana è il principale mezzo di comunicazione, gode di una base sociale più ampia e il supporto all’indipendenza si trova a livelli superiori al 60 per cento. Come mostra il grafico, la percentuale di indipendentisti tocca l’eccezionale percentuale del 76,37% nei paesi con meno di 2000 abitanti per poi calare gradualmente fino al 40% negli agglomerati urbani che superano i 150 mila abitanti. La città di Barcellona presenta un caso a parte, dove le percentuali del sì raggiungono il 47,98 per cento.

Grafico (Fonte: CEO. Elaborazione dati Baròmetre d’Opinió Política. 2a onada 2018).

È importante notare che l’area metropolitana di Barcellona comprende i due terzi del peso demografico della Catalogna e il sostegno per l’indipendenza nella città si aggira qui tra il 35 e il 50 per cento, a seconda del barrio (quartiere in spagnolo). Nella popolazione totale catalana il 48% ottenuto a settembre 2015 rimarrà probabilmente il più alto sostegno sociale per l’indipendenza nel prossimo futuro. Un’analisi delle preferenze a seconda del titolo di studio ci può fornire un altro interessante dato. Come si evince dal grafico, il sostegno all’indipendenza per chi ha un titolo elementare è pari al 37,9%. La percentuale aumenta al 41,36 per chi è un possesso di una licenza media fino a salire al 55,28% per chi è in possesso di una laurea ed infine calare al 41,62% per chi è in possesso di un master o un dottorato. Anche questo dato sottolinea come la battaglia per l’indipendenza non segua gli stessi binari della classica contestazione proletaria, abbracciando una fascia della popolazione che ha ricevuto un’educazione terziaria e benestante.

Grafico (Fonte: CEO. Elaborazione dati Baròmetre d’Opinió Política. 2a onada 2018).

Dal 2011 l’indipendentismo si è trasformata da una lotta della sinistra radicale catalana (rappresentata dal partito CUP) alla prima richiesta politica della borghesia medio-alta. Tra i cittadini il cui reddito mensile è inferiore a € 1.200, nel 2018 il sostegno all’indipendenza è pari al 36,21%, mentre chi guadagna tra i 2.000 e 3.000 euro al mese è il 48,89% (CEO, 2018). La classe lavoratrice vede l’indipendenza catalana come non in grado di fornire alcun cambiamento significativo nelle proprie circostanze sociali o economiche e il movimento per l’indipendenza ha avuto poco da dire sulla giustizia sociale. Nel frattempo, movimenti come gli indignados e il «movimento dei 15m» non sono riusciti a dare una valida alternativa all’ordine politico esistente. In questo contesto, la debolezza delle risposte dei partiti tradizionali alla crisi economica è stata notevole.

Grafico (Fonte: CEO. Elaborazione dati Baròmetre d’Opinió Política. 2a onada 2018).

Secondo l’analisi quantitativa di Muñoz e Tormos (2015), ci sono molti fattori che dovrebbero essere considerati per spiegare questo cambio, come quello economico, la dimensione dell’identità e l’azione delle élites politiche. Inoltre, è importante non trascurare dimensioni come la storia, le istituzioni, il successo di alcune narrative, l’ideologia e, soprattutto, il fattore di mobilitazione necessario per raggiungere una comprensione più generale.

Il ruolo dell’identità nazionale nell’influenzare il sostegno alla secessione ha ricevuto poca conoscenza teorica e attenzione. Questo è probabilmente dovuto al fatto che, a livello individuale, l’identità nazionale è diventata un concetto altamente stabile, che non cambia facilmente, almeno a breve termine, ma spiegherebbe solo modelli stabili di consenso alla secessione, non i cambiamenti sul consenso.

Il fatto che i partiti politici adattino sistematicamente le loro posizioni ideologiche ai cambiamenti nell’opinione pubblica e i loro rivali rafforzano la tesi secondo cui, nel governo della Generalitat, è stata mantenuta una élite catalana. Quest’ultima, alla luce dei dati indicati, ci fa supporre sia riuscita a rimanere al governo nel corso degli anni grazie a una chiara lettura dell’opinione pubblica. Ritengo tuttavia che l’analisi della letteratura esistente non sia sufficiente a confutare la tesi che vi sia stato un progetto di nazionalizzazione agli albori della democrazia post-franchista da parte delle élite catalane (El Paìs accusò di questo CDC nel 1990, dopo che aveva redatto il “Programa 2000”, volto ad aumentare il senso di Nazione in Catalogna, intervenendo nel sistema educativo e nei media, con diversi punti portati a termine nei decenni successivi). Rimane comunque un’ utile spunto per analisi future.

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