La Belt and Road Initiative (BRI), in altre parole la nuova via della seta, rappresenta un grandioso progetto diretto a intensificare le comunicazioni tra due rilevanti protagonisti mondiali, Unione Europea (UE) e Cina, posti agli estremi della grande piattaforma continentale euroasiatica. Allo stesso tempo essa può qualificare i territori intermedi che si collocano geograficamente lungo il percorso. La BRI dovrebbe materializzarsi attraverso vie terrestri, marittime e digitali. Le vie di terra che si prospettano sono nuove linee ferroviarie ad alta velocità/capacità attraverso gli Stati dell’Asia centrale (già membri dell’URSS) perché la linea esistente, la transiberiana russa, è lenta e datata. Rimane aperto l’interrogativo sullo scartamento che sarà adottato per le nuove linee, quello europeo o quello russo-cinese, per evitare trasbordi o cambi dei carrelli che introdurrebbero intralci nella fluidità dei percorsi. Le vie marittime potrebbero essere due. La prima attraverserebbe l’oceano Indiano e il canale di Suez con approdi nel Mediterraneo, mentre una seconda rotta passerebbe attraverso l’oceano Artico con approdi nell’Europa settentrionale, grazie al cambiamento climatico che libera d’estate il percorso dalla presenza di ghiacci.
Le due grandi economie, quella europea e quella cinese, presenti ai due poli estremi del progetto, sono poi già attrezzate per gestire, al proprio interno, la distribuzione dei prodotti scambiati. In Europa, accanto alla fitta rete tradizionale, è in via di completamento il progetto TEN rivolto a realizzare nove corridoi ferroviari europei ad alta velocità/capacità. In questo quadro si pone l’urgenza di completare il nuovo collegamento ferroviario Lione-Torino, che è parte del corridoio mediterraneo che va dalla penisola iberica all’Ucraina. Integra poi tale collegamento il corridoio Rotterdam – Genova, di cui è in via di realizzazione il “terzo valico” a nord del porto ligure, uno dei capilinea marittimi della via della seta in Italia. L’opera è strategica per i collegamenti portuali con l’Europa settentrionale e l’area industriale della pianura padana. Non bisogna, inoltre, dimenticare che con le merci e i servizi viaggiano anche le idee e gli stili di vita, com’è già accaduto in Europa a seguito del processo d’integrazione economica del dopoguerra. Occorre quindi tener presente le conseguenze culturali e politiche che i diversi protagonisti del processo possono subire. La posta in gioco è lo sviluppo equilibrato delle aree interessate dall’iniziativa e ciò richiede una stretta cooperazione politica tra UE, Comunità degli Stati Indipendenti (comprendente la Russia e altri otto paesi ex URSS) e Cina. E’ evidente che la BRI creerebbe un blocco di sviluppo intercontinentale euroasiatico con la conseguente emarginazione mondiale degli Stati Uniti d’America.
L’UE, nell’ultimo vertice governativo con la Cina del 9 aprile scorso, ha messo chiaramente in luce le sue debolezze in termini di visione strategica e di capacità contrattuale. In sostanza ha rinviato le sue scelte perché sconta le divisioni tra i suoi Stati membri sulla portata del negoziato, in conseguenza del quadro di potere intergovernativo che guida l’UE. Essa non dispone in politica estera di un proprio governo sovranazionale, di natura federale, responsabile di fronte a un parlamento dotato di pieni poteri democratici e capace di definire obiettivi politici vitali. Infatti, la politica estera dell’UE è di competenza degli Stati membri, mentre la politica commerciale comune, di competenza comunitaria, è stata ampiamente aggirata dalle iniziative bilaterali realizzate dalle singole capitali europee. Il problema del futuro dell’UE resta, in ogni modo, all’ordine del giorno soprattutto dopo queste elezioni europee.
Naturalmente ciò impone anche una riflessione europea sul proprio riposizionamento strategico nei rapporti con Pechino. La detta riflessione riguarda il rafforzamento della posizione contrattuale UE nei seguenti settori:
1. introduzione di garanzie circa la partecipazione delle imprese europee nella costruzione e gestione della via della seta, con adeguato finanziamento e sostegno politico delle autorità UE;
2. sviluppo della libertà di esportazione e di investimento in Cina, dato l’attuale forte squilibrio nell’interscambio (Import commerciale UE dalla Cina = 375 miliardi di $, export UE verso la Cina = 198 miliardi di $ nel 2017) e contrasto dei dumping cinesi;
3. sviluppo di “campioni europei” competitivi sul mercato cinese (vedi la vendita di 300 Airbus);
4. rivendicazione di garanzie circa l’esercizio non discriminatorio del “golden power” cinese nei confronti degli investimenti europei nel paese e controllo degli investimenti cinesi in Europa.
Inoltre, occorre aggiungere un richiamo geo-politico per la promozione di un nuovo ordine internazionale di cui potrebbe essere protagonista l’UE. Il processo di costruzione europea si è sviluppato sotto l’ombrello protettivo statunitense (militare ed economico: NATO, Piano Marshall e liberalizzazione degli scambi) nel quadro della divisione bipolare del mondo. Oggi l’ordine bipolare non esiste più, gli Stati Uniti hanno tentazioni isolazioniste e l’UE rischia di essere travolta dall’attuale disordine internazionale. Nel mondo si sono ormai affermati tre grandi protagonisti militari: USA, Russia e Cina. In questo equilibrio a tre, ogni attore ha una capacità militare che può essere sopraffatta dall’alleanza degli altri due. Non c’è spazio per un gendarme mondiale. Ciò impone agli attuali grandi protagonisti militari mondiali una grande cautela, ma sebbene vi sia un controllo costante della situazione da parte dei rispettivi servizi di sicurezza, il gioco può sfuggire di mano con il rischio di un olocausto mondiale.
La deterrenza, tradizionale e nucleare, è sempre meno affidabile a causa dell’avvento della cibernetica e della possibilità di interferire a distanza nelle comunicazioni, nei centri di comando e di controllo delle operazioni militari degli avversari. Tuttavia, oggi, la sicurezza non può più essere affidata ai rapporti di forza, fattore strutturale nel passato sistema degli Stati indipendenti e sovrani. Oggi la sovranità è diventata permeabile e l’indipendenza è sostituita dall’interdipendenza. L’ordine internazionale può essere garantito solo se organizzato sulla base di regole condivise, aprendo un processo di graduale costituzionalizzazione dei rapporti internazionali, tramite lo sviluppo transitorio delle organizzazioni di governo mondiale parziale (IMF, WTO, OSCE…) in attesa della democratizzazione e del conferimento di pieni poteri di governo mondiale all’Organizzazione delle Nazioni Unite.
La Cina in quaranta anni è diventata la seconda potenza economica mondiale (la terza se consideriamo nel suo insieme l’UE). Tuttavia, quale posto occuperà tra 20-30 anni? Sarà certamente la prima potenza economica mondiale se consideriamo il suo potenziale demografico e i possibili tassi di sviluppo interni. Gli unici vincoli vengono dalla capacità del mercato mondiale di assorbire i suoi surplus produttivi e dalla propria disponibilità di risorse materiali, agricole innanzitutto, per soddisfare i bisogni alimentari crescenti della sua popolazione, dovuti anche all’incremento degli standard di vita. Già ora il paese è costretto a importare notevoli quantità di derrate dall’America latina e dall’Africa ed è impegnato nell’acquisto di terreni produttivi in Africa e in Ucraina. Tutto ciò spiega il suo multilateralismo commerciale. Vanno poi verificati gli impatti sul paese dell’accelerazione del progresso tecnologico, della globalizzazione e della crescita dell’interdipendenza umana, con le spinte alla democratizzazione del sistema, come già accaduto con l’URSS.
Sono questi i punti deboli della Cina che l’UE potrebbe sfruttare nella trattativa con Pechino per indurla a condividere la costruzione di un nuovo ordine mondiale fondato su regole condivise, sulla pace e sull’aiuto allo sviluppo alle aree in ritardo in Asia, in Africa e nell’America Latina. D’altra parte, la Cina come l’UE e la Russia ha interesse a riformare il FMI e il WTO. A sua volta, l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) dovrebbe essere valorizzata come struttura chiamata a garantire la sicurezza del continente euroasiatico e a promuovere lo sviluppo nelle aree interessate dalla via della seta.
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