Intervista all’Onorevole Giuditta Pini

, di GFE Emilia-Romagna

Intervista all'Onorevole Giuditta Pini
L’On. Giuditta Pini.

L’Onorevole Giuditta Pini è una deputata del Parlamento Italiano eletta tra le fila del Partito Democratico nella circoscrizione Emilia-Romagna. E’ componente della Commissione Affari Sociali. In questa e nella precedente legislatura si è distinta per le sue battaglie condotte in prima linea su tematiche relative al welfare e ai diritti di ogni individuo, anche qualora questo volesse dire ergersi a voce critica all’interno del proprio partito o della maggioranza di governo. Un esempio lo troviamo nell’interrogazione presentata nel novembre 2017 al Ministero degli Esteri dell’allora Governo Gentiloni riguardante le reiterate violazioni dei diritti umani nei confronti dei migranti detenuti nei campi libici, alla quale non è mai stata data una risposta.

On. Pini, qual è la situazione dei richiedenti asilo nel nostro Paese, nel pieno dell’emergenza sanitaria? In questi giorni ho parlato con alcuni rappresentanti delle associazioni e delle cooperative. La situazione è paradossale, così come in questo momento sono paradossali tutte le situazioni che riguardano gli ultimi, i più deboli: è stato chiuso tutto e le scadenze dei documenti, come ad esempio la patente, sono state prorogate, giustamente. Ciò nonostante non ho ricevuto risposta dal Ministero degli Interni in merito alle scadenze dei permessi di soggiorno e della chiusura, programmata dal primo Decreto Sicurezza, degli SPRAR e dei sistemi di accoglienza riguardanti i minori non accompagnati che nel frattempo sono divenuti maggiorenni. Questo è un paradosso: chiediamo alle persone di stare a casa e al contempo rischiamo di lasciarne per strada altre.

Ad oggi, ISPI stima che i migranti irregolari in Italia siano circa 600.000, anche in conseguenza del fatto che il primo Decreto Sicurezza ha ridotto drasticamente il riconoscimento della protezione umanitaria (oggi denominata “protezione per casi speciali”). Quali diritti hanno queste persone, soprattutto in questa emergenza sanitaria? Le cure, l’accesso al pronto soccorso così come l’assistenza di un medico sono sempre garantiti. Il medico non deve e non può mai denunciare un paziente, anche fosse un latitante, e questo è un elemento fondamentale: in un recente dibattito sul rendere i medici pubblici ufficiali, una delle cose per cui io mi sono battuta era proprio che non ci fosse questo automatismo, perché questo avrebbe allontanato tutti quelli che hanno paura e che vivono in una situazione di illegalità, qualunque essa fosse, ad accedere a servizi essenziali. Per fortuna, la nostra Costituzione prevede l’accesso alle cure anche per chi è irregolare. Tuttavia, come dicevo prima, non è chiaro cosa succede a coloro ai quali è scaduto nel frattempo il permesso di soggiorno, il permesso per motivi umanitari, il permesso in quanto minori e a tutti coloro che sono accolti negli SPRAR, che teoricamente dovrebbero chiudere. In un contesto di grave emergenza sanitaria, questo costituisce chiaramente un potenziale pericolo per questi soggetti e per la società tutta.

Ha in mente di intraprendere una qualche azione nel tentativo di risolvere questa problematica? Io e i miei colleghi stiamo elaborando una serie di emendamenti al decreto “Cura-Italia” per chiarire questa situazione. Questo dimostra ulteriormente quanto sia stato un gravissimo errore da parte del Partito Democratico non mettere subito in discussione l’abolizione dei decreti sicurezza i quali, nel pieno dell’emergenza sanitaria, continuano a produrre effetti disastrosi.

Alcune associazioni, tra le quali figurano Flai CGIL, Libera, e Terra!, hanno inviato una lettera ai rappresentanti delle istituzioni con la quale si esprime “profonda inquietudine e preoccupazione per le migliaia di lavoratori stranieri che abitano nei tanti ghetti e accampamenti di fortuna sorti nel nostro paese". Molti di loro sono impiegati nel settore agricolo, indispensabile per la sicurezza alimentare. Secondo i firmatari, se il Covid-19 giungesse nelle baraccopoli e nei ghetti dove vivono questi lavoratori, sarebbe un vero e proprio disastro. La proposta più importante contenuta in questa lettera è quella di una sanatoria per tutti i lavoratori stranieri irregolari allo scopo di garantire loro dignità e diritti. Si trova in accordo con tale proposta? Le sembra fattibile? Ritengo sia una proposta giusta e condivisibile in un momento di emergenza come questo, allo scopo di far emergere queste persone da contesti di illegalità, riconoscendo loro dignità, diritti e tutele. La fattibilità di una tale proposta dipenderà molto dal dibattito che verrà a crearsi all’interno dei partiti. Temo tuttavia, in quanto lo dimostra il recente passato, che manchi la volontà politica.

Sempre in questo appello si chiede che i prefetti utilizzino i poteri che sono stati loro conferiti in via straordinaria dal decreto del 9 marzo per sgomberare le baraccopoli dove i migranti vivono in condizioni decisamente poco salubri e quindi rischiose per il propagarsi del virus. Il Viminale ha emesso una direttiva rivolta ai prefetti per agevolare il loro coordinamento in questa fase delicata; i prefetti stanno coordinandosi anche per delle soluzioni logistiche che risolvano in via emergenziale il degrado materiale in cui versano ora i migranti? Tali misure eccezionali possono anche rivelarsi uno strumento importante per l’emersione del caporalato? Questo tipo di coordinamento, se sta effettivamente avvenendo, si sta svolgendo sottotraccia dal punto di vista mediatico al fine di evitare di generare ulteriore panico nella popolazione? Io credo che questo coordinamento si stia svolgendo sottotraccia, nel senso che i media sono parecchio concentrati ad occuparsi di tutto ciò che concerne più da vicino il Coronavirus. Questa situazione emergenziale sta facendo emergere parecchi fenomeni illegali e contesti di illegalità, come il caporalato appunto. Il lavoro delle forze dell’ordine è molto agevolato in questa situazione surreale.

Che responsabilità hanno i media e la politica per quanto concerne la poca attenzione a questi temi nel corso dell’emergenza sanitaria? La responsabilità è enorme, tanto da parte della politica quanto da parte dei media. Vi invito a cercare i titoli dei giornali risalenti al periodo della firma del Memorandum Italia-Libia, nel 2017. Ci fu una intervista di Graziano Delrio dove egli si mostrò molto critico nei confronti di questo accordo, profondamente sbagliato e inutile. Le reazioni dei quotidiani e dei commentatori, non dico di destra, ma di quelli cosiddetti riformisti o di sinistra, furono agghiaccianti. Ugualmente, dopo l’attentato a Macerata di Luca Traini furono agghiaccianti i commenti e il modo con cui venne trattata la vicenda. I media hanno una responsabilità enorme di cui nessuno chiede conto. Sono pochissime le testate, come “Internazionale” o “Avvenire”, che hanno cercato di comprendere davvero le dimensioni e le implicazioni del fenomeno migratorio. C’è un problema serio di come si racconta la realtà gli italiani.

Quali erano le aspettative relativamente ai negoziati sul Quadro Finanziario Pluriennale per una politica europea sulla questione migratoria? La paralisi di questi negoziati potrà essere rotta da questa emergenza sanitaria, creando le condizioni per una maggiore coesione tra gli Stati Membri in materia di immigrazione e politiche di sviluppo in Africa? Credo, e spero, che dopo questa emergenza tutto ciò di cui abbiamo discusso in questi ultimi dieci anni, non soltanto riguardante la politica migratoria ma anche tante altre politiche, dovrà essere completamente rivisto, tanto nell’approccio quanto nella strategia. È come se fossimo nel corso di una guerra, non si potranno più utilizzare strumenti considerati validi sino a un mese fa. Speriamo che questo impatti non soltanto le politiche di sviluppo in Africa e le politiche migratorie, ma auspico che abbia effetti anche sul come verranno spesi i fondi comuni: non è più ammissibile continuare a pagare Erdogan e la Libia affinché continuino a trattenere i migranti entro i propri confini, migranti che vengono rinchiusi in campi di detenzione e ai quali non viene riconosciuto alcun diritto. Deve cambiare totalmente l’approccio su questo tema.

Relativamente alla Grecia, qual è la situazione lungo il confine con la Turchia? Insieme ad altri colleghi del Partito Democratico avevamo organizzato, prima dello scoppio dell’epidemia, successivamente pandemia, di Coronavirus, una visita al campo di Moria a Lesbo, per toccare con mano le condizioni dei migranti; per ovvi motivi è saltata. La situazione in Grecia era molto critica già prima dell’emergenza sanitaria e della mossa di Erdogan. Il campo di Moria è pensato per ospitare 2000 persone ma, secondo alcune stime, ve ne sono almeno ventimila che sopravvivono, non vivono, in condizioni igienico-sanitarie pessime: in Grecia non esiste un sistema sanitario in grado di garantire la sicurezza sanitaria dei migranti. È stato registrato un caso di Covid-19 e qualora dovesse esplodere l’epidemia proprio lì sarebbe una tragedia.

Per quanto riguarda la Libia, al di là del Memorandum e per evitare che il Coronavirus si diffonda anche lì - visto che Tunisia ed Egitto sono stati meno colpiti dell’Italia e visto che abbiamo anche dei soldati stanziati a Misurata con un ospedale da campo - il Ministero degli Esteri sta pensando a una strategia da seguire? Debbo innanzitutto rilevare che la Farnesina sta vivendo una fase di grande crisi, con un personale dimezzato in sede e sperimentando forme di telelavoro. Il livello di stress è altissimo: ci sono circa 500 mila italiani all’estero che stanno cercando di rientrare in Italia, oltre al problema del blocco delle merci attuato da Repubblica Ceca, Ungheria, Romania, Slovenia e Austria. Di fatto, l’unità di crisi della Farnesina sta aiutando nella gestione dell’azione complessiva in capo al Ministero. Per questi motivi, credo che in questo momento per la Farnesina sia difficile seguire con progettualità la situazione libica così come quella siriana. Sicuramente per quanto riguarda i nostri soldati in Libia è stato condiviso con loro un protocollo di azione.

Oggi ogni Stato europeo segue una propria politica in materia di immigrazione, ad esempio sui criteri di riconoscimento per la protezione internazionale. L’Europa gode di poca coerenza e coordinamento interno, per riparare a queste contraddizioni può bastare un approccio intergovernativo? Il problema resta comunque europeo ed il fatto che ogni Stato abbia la possibilità di decidere chi ha diritto a un tipo di protezione e chi no e ogni protezione cambi da Stato a Stato crea solo confusione, appunto. Dico solo che, quando nel 2018 ad aprile sono andata a Bardonecchia approfondimento qui, la cosa che mi aveva più impressionato di questi ragazzi che cercavano di superare a piedi la montagna che divide il Piemonte dalla Francia è che, quando chiedevi loro perché accettassero di correre un tale pericolo considerando che moltissimi muoiono o perdono gli arti perché assiderati, rispondevano che si sentivano in Europa, non al di là o al di qua di un confine nazionale. Per queste persone, il fatto di arrivare in Italia significa arrivare in Europa, e questo vuol dire che siamo percepiti al di fuori come molto più coesi di quanto spesso ci sentiamo dentro, chiusi ognuno nel proprio Stato.

Unione Europea o Stati Nazionali, di chi è la colpa del fallimento del Regolamento di Dublino? L’Unione Europea in quanto unione di Stati Nazionali ha causato il fallimento dei negoziati intorno alla riforma del Regolamento. L’Unione Europea, così com’è ora, è prigioniera degli egoismi degli Stati Nazionali, i quali basano le proprie scelte esclusivamente su ragioni politico-elettorali. Insieme ad altri colleghi del Partito Democratico siamo in contatto con Lars Castellucci, membro del Bundestag e della SPD, allo scopo di contribuire alla messa in discussione della gestione dei confini e della gestione migratoria da parte dell’UE in questi ultimi anni (Italia-Libia e Turchia-Grecia). Stiamo cercando di costruire una rete di parlamentari progressisti a livello europeo allo scopo di contribuire alla messa in discussione della gestione dei confini e della questione migratoria da parte dell’UE in questi ultimi anni. Vogliamo creare una massa critica contro quello che è stato il ragionamento dei sovranisti e dell’Unione Europea in questi anni in merito a tali questioni.

Ma come fare oggi a superare il Regolamento di Dublino, nodo politico su cui si è impantanata l’Europa? Dovrebbe sorgere oggi una nuova alleanza tra società civile e politica per riaffermare il primato dei diritti umani e dei valori europei? Quali sono i grimaldelli su cui far leva per ottenere finalmente la riforma di Dublino? La politica oggi fatica a trovare una narrazione diversa a quella securitaria. Pensiamo al paradosso secondo il quale in Italia abbiamo moltissima emigrazione e poca immigrazione, non riuscendo quindi ad essere attrattivi come Paese dove si immagina di costruirsi una vita. Inevitabilmente rimaniamo i più vicini geograficamente per coloro che arrivano via mare, cosa che comporta grandi oneri di gestione del flusso, ma manca una riflessione più ampia sul tema. Io credo che questa mancanza di una diversa narrazione dell’immigrazione all’interno dello stesso campo riformista, capace di fornire un’alternativa alla retorica sovranista e populista, sia dovuta all’assenza di una più profonda riflessione sul futuro che vogliamo per l’Italia e per l’Unione Europea nel medio-lungo termine, tra 15 o 20 anni. Così come nel 2008 ci colse impreparati la crisi economica, a causa della mancanza di un’idea riguardo cosa dovesse essere davvero l’Europa, in questi anni abbiamo governato senza riuscire a dare risposte sufficienti all’emergenza sociale, che si è infatti aggravata. Vedo che oggi c’è un dibattito politico che accomuna l’Europa e gli Stati Uniti sia sul campo dei migranti che sul tema della cittadinanza. Se vogliamo cambiare l’opinione pubblica riguardo il Trattato di Dublino, dobbiamo spostare il dibattito dai tecnicismi al modello sociale che vogliamo costruire; per esempio in termini di città e di vita di quartiere. E’ su questo piano che si può recuperare la partecipazione civica alla progettualità politica, così come abbiamo visto con il movimento delle Sardine per le elezioni in Emilia-Romagna. Se non riusciamo a parlare oggi con i cittadini è perché dobbiamo inventare parole ed espressioni nuove per spiegare che temi come l’acqua, la questione climatica, le nuove forme di lavoro e la salute sono tutti argomenti inscindibilmente legati tra di loro e sono riconducibili al modo in cui noi vediamo il nostro Paese all’interno del contesto europeo; solo allora potremo inserire anche il problema dell’immigrazione. Ma finchè noi continueremo a gestire tutto il dibattito sul problema della sicurezza, o sull’accesso a determinati diritti, vincolandolo alle scarse risorse disponibili, continueremo semplicemente con la sterile divisione tra progressisti buonisti che hanno pietà degli immigrati e patriottismo miope del “prima gli italiani”. Ed è una divisione che, lo assicuro, non rappresenta il Paese, tanto è vero che quando mi confronto con i cittadini sullo ius soli trovo elettori della Lega perfettamente a favore, perché magari i figli vanno a scuola con bambini italiani di seconda generazione. Quando supereremo l’emergenza forse sarà il momento giusto per tornare a parlare di noi e di come vogliamo rinascere; forse da tutto questo dolore che stiamo vivendo riusciremo a trarre la visione di un altro modo di vivere in comunità.

Cerchiamo allora di immaginare un futuro post-Covid-19, pensando a quello che fu il Secondo Dopoguerra. Le donne ricoprirono un ruolo fondamentale nella nostra società nel corso del conflitto e anche per questo, al suo termine, furono loro finalmente riconosciuti alcuni diritti fondamentali. Nel corso di questa emergenza sanitaria le ONG e i migranti stanno fornendo un contributo importante al Paese, le prime in campo sanitario e i secondi nel settore dell’agricoltura. Ritiene possibile un analogo cambiamento culturale nei loro confronti al termine della crisi? Credo che sia possibile, temo che non succederà. Dopo i primi dieci giorni, dove si è vista una maggiore coesione da parte di tutti, sono tornate a circolare mistificazioni e notizie false sulle ONG. Per quanto riguarda i braccianti, come dicevo prima questa situazione di lockdown sta facendo emergere molto nero e illegalità. Sta a noi, che abbiamo ruoli di responsabilità, e a voi, che siete militanti politici, battere il chiodo su questo aspetto.

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