Parte della rubrica sui diritti linguistici e sulle lingue in Europa

L’Europa, la Francia e le lingue regionali: una relazione complicata?

, di Eurosorbonne, Maxime Verrier, Tradotto da Silvia Lai

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L'Europa, la Francia e le lingue regionali: una relazione complicata?

Articolo originariamente pubblicato su eurosorbonne.eu.

La Carta europea delle lingue minoritarie è stata ratificata in molti stati, ma non in Francia. Diverse sono le ragioni storiche che hanno portato questo paese a privilegiare la sua lingua nazionale. Nonostante questo, esistono delle regioni che portano avanti le proprie tradizioni e rimangono fedeli ai rispettivi vernacoli.

Il 27 Ottobre 2015, il Senato ha posto fine al processo di ratifica delle Carta delle lingue europee regionali e minoritarie. Facciamo il punto dunque sui retroscena di questa Carta, difesa da François Hollande (punto 56) all’epoca della sua campagna del 2012. La Carta europea delle lingue minoritarie e regionali è un testo adottato nel 1992 dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa e entrato in vigore nel 1998. Tale accordo ha l’obiettivo di proteggere, all’interno dello spazio pubblico, le lingue regionali e minoritarie, così come identificate dai paesi che l’hanno ratificato. Si tratta di incoraggiare la visibilità di dette lingue nei media, di facilitarne l’insegnamento e garantirne la protezione, nonché il riconoscimento. Inoltre, la Carta mette a disposizione degli stati una lista di azioni che possono essere intraprese nell’ambito della stessa: gli stati aderenti possono infatti validare una lingua in ambito giuridico, riconoscere le scuole bilingui, o ancora rendere disponibili segnalazioni stradali in molteplici idiomi.

All’interno del Consiglio d’Europa, la Carta dispone di un segretariato a essa dedicato, incaricato di vegliare sulla sua buona applicazione. Il lavoro di tale segretariato si somma a quello dell’Unità delle politiche linguistiche, che mira a incoraggiare il plurilinguismo, in particolare in ambito educativo: è tale unità ad aver elaborato il Quadro comune di riferimento per le lingue (QCER), che oggi viene utilizzato oltre le frontiere europee per valutare la padronanza espressiva in ambito linguistico. Come risultato, nonostante l’Unione Europea disponga di 24 lingue ufficiali, laddove il Consiglio d’Europa ne presenti solo 2, è sorprendentemente proprio quest’ultimo che sovraintende alla protezione delle lingue e alla promozione del multilinguismo presso i vari popoli.

Attualmente, la Carta in questione è stata firmata e ratificata da 25 stati, 8 stati l’hanno firmata senza ratificarla, mentre 14 non l’hanno né firmata né ratificata. Al momento della ratifica, gli stati devono designare le lingue regionali e minoritarie, per le quali intendono applicare la Carta. Non hanno la possibilità di scegliere tra queste le lingue emerse da dei processi migratori, ma possono, per contro, designare le lingue non territoriali. Grazie a questo meccanismo, un certo numero di paesi come la Germania e la Serbia salvaguardano la lingua romanes. In nome del testo della sopracitata carta poi, In Svizzera è protetto l’italiano, poiché questo è uno degli idiomi ufficiali di quel paese.

Perché i francesi non hanno ratificato la Carta?

La Francia viene costituita come stato unitario già dall’epoca de l’Ancien Régime: questa unitarietà viene imposta ben presto anche sul piano linguistico: a partire dal 1539, l’Ordinanza di Villers-Cotterêts proclama il francese come lingua amministrativa del Regno. Sotto la Rivoluzione, quando solo il 20% dei francesi parlava o capiva il francese, il giacobinismo, con la scusa di voler unificare la nazione, prese di mira le lingue regionali. Nel 1794, l’abate Gregorio presentava un rapporto sulla necessità di annientare le lingue regionali a beneficio della lingua nazionale. In seguito a ciò, l’avvento dell’istruzione obbligatoria, nel 1870, giocò un ruolo di primaria importanza nell’insegnamento e nell’utilizzo generalizzato della lingua nazionale.

Così facendo, si misero in campo nelle diverse province delle pratiche molto offensive nei confronti delle lingue regionali, allo scopo di tenere queste ultime lontane dalle scuole: nelle classi, circolava un simbolo tra gli studenti che parlavano la loro lingua regionale e chi se lo ritrovava alla fine della giornata veniva punito. Questo mal costume, oltre a umiliare gli allievi e isolarli, aveva anche lo scopo di denigrare le lingue regionali e tenerle lontane dalle istituzioni scolastiche. Ne conseguiva una progressiva e reale dequalificazione delle lingue regionali nell’immaginario collettivo, col risultato di decretare la quasi completa sparizione delle lingue regionali dal suolo francese. Ne risulta che queste ultime siano oggi ricoperte da un’aura più vetusta che tradizionale.

Benché le lingue regionali figurino nella Costituzione dal 2008 come parte integrante del patrimonio dell’esagono, secondo l’articolo 2 la lingua della Repubblica resta il francese (dal 1992). Così, da destra a sinistra, numerosi detrattori delle lingue regionali temono l’idea che il riconoscimento di queste danneggi l’unità nazionale. Temono parimenti una rottura del principio di uguaglianza dinanzi alla legge, ai danni di quei cittadini che non potrebbero esprimersi in lingua regionale di fronte all’amministrazione, rispetto a quanti ne avrebbero invece la possibilità…

Peraltro, la nozione di «lingua minoritaria» crea problemi in seno al modello repubblicano francese. Infatti, nello spirito della Carta, la nozione di «minoranza», come secondo la visione tedesca, è legata a una concezione etnica, piuttosto che a una concezione civica, tipica invece della Francia, per quel che riguarda l’idea di nazione. I sostenitori della visione tedesca di minoranza legano l’idea di popolo a quella di lingua. Così in Germania l’ufficio che si occupa di lingue regionali e minoritarie si occupa al contempo di minoranze etniche tedesche che vivono nell’Europa dell’Est. Un simile concetto potrebbe portare a considerare che, come l’alsaziano è un dialetto tedesco, gli Alsaziani appartengono di fatto all’etnia tedesca…

Cosa ne è oggi delle lingue regionali in Francia?

Dal 2001, la Delegazione generale per la lingua francese e per le lingue di Francia, annessa al Ministero della Cultura, ha l’incarico di supervisionare la promozione, la protezione e la vitalità della lingua francese così come delle «lingue di Francia». Questa espressione designa una parte di lingue regionali, ma anche le lingue emerse dai processi migratori (o «lingue non- territoriali»), come i dialetti arabi, l’armeno occidentale e l’yiddish. Inoltre, la legislazione nazionale, pur garantendo un ruolo di primo piano alla lingua francese (in particolare con la nozione di «legittimità del francese»), offre alle comunità che lo desiderano la possibilità di utilizzare le lingue regionali.

Per giunta, le lingue regionali beneficiano di una certa diffusione in ambito educativo e nell’insegnamento. A ciò si aggiunge una rete di scuole che offrono un piano di studi erogato in certi casi interamente in lingua locale (è il caso delle scuole Diwan in Bretagna), mentre certe strutture pubbliche presentano classi bilingue che offrono ai loro allievi la possibilità di studiare simultaneamente in francese e nell’idioma locale. Esiste di conseguenza per queste lingue un’abilitazione specifica per l’insegnamento nella scuola secondaria, e un concorso di lingua regionale dovrebbe venir bandito a partire dal 2018.

Cionondimeno, per quel che concerne l’Esagono, la situazione resta relativamente variegata, poiché questa resta fortemente legata non solo alla storia nazionale, ma anche alla geografia linguistica. In effetti è facile notare che certe lingue sono più diffuse di altre e più valorizzate. Il bretone, per esempio, figura su un buon numero di cartelli stradali ed è parte integrante della cultura popolare. Nonostante ciò, tale lingua è parlata storicamente solo ad Ovest della Bretagna, l’Est è contrassegnato invece dal Gallo, che, da parte sua, non conosce lo stesso affetto idilliaco.

È facile relegare questo fenomeno all’identità storica di certe regioni, come la Bretagna o i Paesi Baschi. Sembra anche che ci sia una causa legata alle lingue in sé. Le lingue regionali più vivaci e più protette sono quelle appartenenti a gruppi linguistici differenti (come il bretone o il basco) o legate a lingue standard diverse (il corso, che è legato all’italiano), mentre invece quelle che sono meno parlate e meno difese sono innanzitutto le lingue d’oïl, gruppo al quale appartiene anche il francese. Infatti, era più facile per i promotori della «francesizzazione» far credere ai parlanti dei dialetti picard, bourguignon o champenois che si esprimessero in un francese mal parlato, il quale richiedeva solo di essere corretto, piuttosto che convincere della stessa cosa i parlanti di una lingua vera e propria. È così che la nozione di “dialetto” ha assunto una connotazione negativa.

E nei territori d’oltremare?

La situazione è ulteriormente diversa oltremare. In Guadeloupe, Martinique, Guyane e ne La Réunion vengono parlate delle lingue creole con una base lessicale francese. In questi territori, la francesizzazione non viene vissuta nello stesso modo. Per molti, a partire dal XIX secolo, parlare francese significava una possibile ascesa sociale, poiché in questo modo ci si appropriava della lingua delle élite coloniali e dell’affermazione di un legame con la repubblica. Ma più di ogni altra cosa, abbandonare il creolo significava lasciarsi alle spalle il passato doloroso della schiavitù.

Nonostante questo, in ragione della lontananza geografica di questi territori rispetto all’esagono, e del loro specifico percorso storico, il fenomeno della francesizzazione “dall’alto” qui non ha la stessa portata che altrove, fatto che ha permesso alle lingue creole di continuare a esistere, e di imporsi col tempo come i principali elementi costitutivi delle culture locali. A Mayotte, Nouvelle-Calédonie, Polynésie française e Wallis-et-Futuna, il francese coesiste con le lingue che venivano parlate anteriormente alla presenza francese. In queste formazioni politiche, nate dal secondo impero coloniale francese, e nelle quali gli abitanti hanno acquisito la cittadinanza francese durante il dopoguerra, la francesizzazione nel complesso della popolazione è intervenuta molto più tardivamente e le lingue locali restano utilizzate accanto al francese in ambito pubblico correntemente e quotidianamente, così come in taluni ambiti amministrativi.

Nota della traduttrice: la traduzione non è letterale ma libera e presenta talvolta tecniche di adattamento puntuale.

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