Non c’è più rispetto per la persona, per la vita, per le idee, per l’umanità, per la solidarietà, ma soprattutto per il popolo (quasi il 50% dei cittadini non votano: si governa con il 26% del Paese) al quale ci si riferisce in modo sempre più pericoloso.
Intanto si divide il Paese e se ne distrugge l’economia nel disinteresse generale.
La violenza, la discriminazione e la paura sono le padrone di questa società che vive unicamente al presente: queste tre si nutrono delle promesse senza alcun progetto di futuro di una politica sempre più vuota, osservano in modo distaccato – forse compiaciuto – il declino dell’istruzione, mettono in discussione il merito e la scienza.
Ogni giorno, con costanza, viene individuato un nemico – possibilmente l’emarginato, il debole, chi chiede aiuto e ha fame – per far salire il penultimo di un gradino e rendere nella propria mediocrità “schiavo” chi potrebbe essere un alleato.
Non è pessimistica la mia visione, ma la constatazione dell’esistenza di un mondo con sempre meno “cultura”, che tenta di negare la partecipazione e rende sempre più formale la democrazia attraverso la delega a chi si ritiene più forte.
La conferma del mio ottimismo è data dalla gioia di vedere alcuni piccoli esempi virtuosi, come l’Università di Camerino che è risultata prima tra tutte le università fino a diecimila iscritti ed è stata inserita tra le 25 migliori al mondo per l’internalizzazione: il risultato è ancora più importante se si pensa che in Italia investiamo appena lo 0,3% del Pil nelle università, mentre la media Europea si attesta sullo 0,7%.
Ci si preoccupa dei giovani laureati che abbandonano l’Italia, specialmente al sud, per cercare e trovare occupazione in Europa e nel mondo, però non suona nessun allarme per la diminuzione del livello di istruzione e si continua a rimandare gli investimenti nelle scuole, per la formazione, per l’innovazione e la ricerca. Gli ultimi dati Ocse ci dicono che in Italia su cento persone solo 18 si laureano (un’alta percentuale non studia e non cerca lavoro). Per tutto il settore spendiamo solo 66 miliardi, contro i 135 della Germania e i 124 della Francia: non si risolvono i problemi della scuola con qualche migliaio di assunzioni in più, senza un’adeguata formazione o la risoluzione della crisi strutturale del nostro sistema.
Una volta anche le associazioni private allestivano biblioteche ed erano presidii educativi – nessuno rimpiange il passato, ma è sbagliato dimenticare che gli abitanti delle nostre valli sono gli eredi di quei pastori che conoscevano a menadito il “Guerin Meschino” e la “Gerusalemme Liberata”, scandivano le strofe del “Pian Perduto”, e alcuni di loro scrivevano poesie dialettali.... -, mentre oggi il livello culturale medio sembra ben più basso e non si può pensare che la scuola possa essere il rifugio dei limiti di una società che non sa o non vuole più educare.
Si sono chiuse le scuole nei piccoli centri di montagna per risparmiare e per non integrare; si accentrano i servizi ma la coperta resta comunque troppo corta. Prima del terremoto qui nelle Marche si viveva immersi nella cultura millenaria, con le opere d’arte custodite nelle Chiese e nei Palazzi che inconsapevolmente nutrivano di storia le popolazioni residenti, ma la natura con il sisma ci ha tolto tutto: ne prendiamo atto ed aspettiamo nelle “casette” a covare i nostri egoismi. Eppure, non credevamo di ritrovarci in una società capace di toglierci anche la memoria e l’idea di vivere in comunità.
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