L’approvazione del testo è stata preceduta con la bocciatura della mozione contro la proposta della Commissione Europea sul tema con 312 voti a favore 324 contro e 12 astenuti. Quindi il testo sul ripristino della natura è stato approvato per poche decine di voti: 336 favorevoli, 300 contrari e 13 astenuti. Infatti questa votazione è stato anche un tentativo di dare forma all’alleanza tra il PPE - che sostiene la Commissione Von der Leyen - e i Conservatori dell’ECR, di cui fa parte anche Fratelli d’Italia. La “maggioranza Ursula” è stata messa a dura prova, con la spaccatura dei Popolari [3].
Il percorso di adozione di questa “legge europea” si trova in un clima di forte polarizzazione [4] tra gli ecologisti e gli agricoltori, portatori di due visioni (in apparenza) antitetiche della natura e della presenza umana nell’ecosistema.
Le associazioni degli agricoltori in particolare dimostrano la loro contrarietà alla riduzione del 10% delle aree agricole coltivabili destinate al ripristino della biodiversità, in quanto questa diminuzione danneggerebbe le loro attività, nonché i consumatori già in difficoltà per il rincaro dei prodotti alimentari (non ultimo gli spostamenti del grano, osteggiati dalla Guerra in Ucraina). Ulteriore critica è l’assenza di strumenti finanziari specifici, che scaricherebbero i costi della transizione energetica sugli Stati e le aziende.
Inoltre “Il PPE ha ripetutamente affermato che la legge, nella sua forma attuale, minaccerebbe i tradizionali mezzi di sussistenza degli agricoltori e dei pescatori europei, interrompendo catene di approvvigionamento consolidate, diminuendo la produzione alimentare, aumentando i prezzi per i consumatori e persino spazzando via le aree urbane per far posto a spazi verdi.” [5]
Alle critiche di tipo tecnico si affiancano quelle (più o meno evidenti di carattere politico): infatti alcuni schieramenti, Popolari, Conservatori, ma anche i liberali di Renew Europe (che hanno provato a modificare il testo) considerano la legge un feticcio dell’ecologismo radicale contenente misure “troppo ideologiche”.
Ma soprattutto quello che non va bene è il fatto che questa “legge” [6] sia un regolamento e non una direttiva, lasciando agli Stati Membri poco spazio di manovra per adottare misure adattate alle loro specificità nazionali.
Un articolo su il Riformista [7] esprime un giudizio molto duro nei confronti del nuovo Regolamento: “Nei fatti un dirigismo centralizzato che colpirà la pesca, da rendersi più sostenibile, cioè limitata, inciderà sui pesticidi, sulle monocolture e sull’utilizzo del carbonio, divellerà le barriere che separano i fiumi [gli argini e le dighe] e renderà ardue le varie attività economiche, produttive e industriali collegate al mondo dell`agricoltura.”
“il pacchetto infatti – a cominciare dall’approccio [...] che richiama la Restaurazione e in generale una idea quasi punitiva e statica dei rapporti tra ambiente ed essere umano – imbriglia innovazione, produzione agricola, interi settori che rischiano di finire letteralmente devastati.”
Chi difende il nuovo regolamento [8], oltre a segnalare la presenza di lobby che traggono profitto anche se a scapito della natura, rispondono che la nuova normativa potrà non solo garantire i benefici della transizione ecologica, ma anche contribuire, con il più generale Green Deal [9], di affrontare gli effetti collaterali, a cominciare dalla critica del 10% dei terreni agricoli da lasciare liberi. Anche se comporterà dello spazio in meno, quelle porzioni “rubate all’agricoltura” permetterebbero ai vari organismi che contribuiscono alla biodiversità di rendere più fertili i campi e quindi aiutare le produzioni agricole, compromesse da fenomeni sempre più frequenti, quali la siccità e le alluvioni.
Come affermato dalla Lipu la nuova normativa “richiede una protezione attiva della biodiversità, misure per far convivere la tutela degli ecosistemi con la produzione agricola”. Un equilibrio che dovrà essere stabilito attraverso:
- la rinaturalizzazione dei corsi d’acqua cementati per ridurre gli effetti delle alluvioni e affrontare l’erosione idrogeologica.
- la ricostruzione e il rafforzamento di corridoi verdi, magari in corrispondenza di nuovi sistemi di mobilità ciclo-pedonale.
- ripensare gli alvei fluviali (fiumi, laghi, torrenti, ecc.) con criteri di ingegneria naturalistica e tecniche di fitodepurazione e di recupero delle acque.
E questo tocca sia paesaggi urbani [10] (es., progetti di riforestazione urbana) sia le campagne [11], attraverso l’introduzione e l’espansione di tecniche di lavorazione agro-ecologica che permetterebbero una maggiore fertilità del suolo, preservare la biodiversità e immagazzinando il carbonio.
“La tutela della biodiversità è la base di una politica di difesa dell’agricoltura europea. Poi ci sono cambiamenti di stili di vita”, a cominciare da quelli alimentari (es., la riduzione del consumo di carni rosse) che oltre a migliorare la salute abbattendo i gas serra legati alla produzione di cibo e una riduzione del consumo necessario di acqua.
I sostenitori affermano inoltre che per “la maggioranza delle imprese la tutela della natura è un valore aggiunto più che un costo". Ma certo in campo energetico il peso delle industrie legate ai combustibili fossili è molto forte. [...] Il problema è che gli svantaggi della transizione ecologica vengono messi in buona evidenza, i vantaggi finiscono in secondo piano”.
Infatti la polarizzazione dello scontro - tra accuse di “ideologia”, “radicalismo”, “distruggere l’economia” e di “portare interessi che danneggiano gli altri” e “negazionismo” - impedisce di capire in modo ragionevole come gestire la transizione ecologica, arginando gli effetti negativi.
Questo problema “mediatico” tocca anche il piano dell’occupazione (“Gli occupati che si perdono hanno un nome e cognome, quelli che devono arrivare sono anonimi.”) : si parla molto di un aumento di disoccupati nell’ambito industriale ed energetico, (settori ad alto uso di energie fossili), ma rischia di passare in secondo piano le opportunità del Green Deal che può creare nuovo lavoro in molti settori: energie rinnovabili, un uso sostenibile dell’agricoltura, della pesca e del turismo sostenibile, tutela paesaggistica e del patrimonio culturale e attività scientifiche.
I ragazzi di «Fridays for Future», che si sono recati al Parlamento Europeo per sostenere la “legge sulla biodiversità" si dicono soddisfatti dell’approvazione, dichiarando comunque che la battaglia continua, perché “senza natura non c’è futuro”.
Sul versante politico, il tentativo di creare una “coalizione europea” di centro-destra (prima nella storia dell’Unione Europea) ha visto uno scontro interno al PPE, in particolare tra la Presidente della Commissione Von der Leyen e il presidente del gruppo PPE Manfred Weber (già candidato per i Popolari nel 2019 con il sistema degli Spitzenkandidaten) Ancora, sempre nel gruppo di centro-destra “europeo”, una frangia di Popolari ha votato a favore della proposta di regolamento.
La maggioranza Ursula ha quindi retto e resisterà almeno fino alla fine del mandato, mentre pare archiviato il progetto di alleanza tra Popolari e Conservatori. Non sono da escludere implicazioni politiche sia negli Stati membri, sia alle prossime elezioni per il Parlamento Europeo.
Per quanto riguarda il regolamento sul ripristino della Natura, il testo passerà al Consiglio dell’Unione Europea, il quale ha concordato la propria posizione negoziale, proponendo una maggiore flessibilità per gli Stati nell’attuazione del regolamento, la riduzione degli obiettivi e chiesto alla Commissione un’analisi volta a individuare eventuali carenze di finanziamento. Con la presenza di alcuni governi (tra cui l’italia) contrari al regolamento, una sua adozione finale potrebbe essere ancora lontana.
Non è chiaro se c’è la volontà di nascondere o di superare “l’alone ideologico”, ma cercando di andare sui contenuti, Weber ha spiegato che il Ppe voleva che la Commissione avanzasse una nuova proposta. Dopo il voto a Strasburgo, il Commissario al Green Deal Frans Timmermans si è detto disponibile al dialogo con i Popolari, purché sia basato sui contenuti. (“Quando parliamo del Green Deal però ora pensiamo alla prossima generazione e non alle prossime elezioni”.)
Per riassumere, il terreno su cui si muove la transizione ecologica è molto delicato, e non solo in senso letterale. La polarizzazione e l’“inquinamento ideologico” non favoriscono uno spazio per un dibattito che porti a conciliare la tutela ambientale e l’uso sostenibile delle risorse con livelli di produttività accettabili e il soddisfacimento dei bisogni.
Sull’ambiente (più che sul Green Deal) si parla, ma non si dice tutto [12]. si pensi ai lavoratori dei settori “fossili”: è legittimo segnalare questo un problema, e le soluzioni non mancano. Rimangono comunque delle resistenze alimentate da varie motivazioni. E questo è un pezzo di un mosaico più ampio.
Infine, l’ambiente è un tema molto vicino ai federalisti, poiché i problemi sono di portata globale che però colpiscono anche a livello locale. Non sono mancati (e non mancano) militanti che hanno avuto interesse sulle questioni ambientali, immaginando e proponendo soluzioni (non ultima, la campagna per il New Deal 4 Europe). E questa sensibilità si è diffusa negli ultimi anni, con molti giovani della GFE, partecipando ai presidi dei Fridays For Future e agli scioperi per il clima, cercando di dare una prospettiva politica (oltre gli Stati) per fronteggiare il cambiamento climatico.
Sicuramente la presenza di una possibile normativa portata avanti dal Parlamento Europeo è un segnale positivo. Rimangono comunque la necessità di una riforma istituzionale che possa attuare effettivamente un’azione a favore dell’ambiente molto vasta che coinvolge molti soggetti tra istituzioni, imprese, associazioni e persone. Inoltre nel resto del mondo la tutela dell’ambiente (inclusa la biodiversità) dovrà confrontarsi con altri problemi (es., la fame nel mondo) e con gli interessi di altri paesi sovrani (es., gli Stati Uniti con il Protocollo di Kyoto) in un contesto in cui il diritto internazionale non è solo non vincolante, ma non ci sono modi efficaci di farlo rispettare.
Il primo passo, a livello di persone, sarà ricordare che la “legge europea sulla natura” è parte del progetto più ampio, che è il Green Deal.
La strada è in salita e non si sa se produrrà i risultati sperati, ma almeno è giusto provare.
Segui i commenti: |