Questa sentenza annulla la decisione della Commissione Europea di imporre alla società APPLE una sanzione fiscale di 13 miliardi. Nell’agosto 2016 la Commissaria responsabile della concorrenza, Margrethe Vestager, ha richiesto all’Irlanda un rimborso di quanto concesso sulla base del fatto che la regolamentazione fiscale predisposta in quel paese costituisse un aiuto di Stato, atteso che la legislazione europea non lo avesse mai autorizzato.
Questa decisione viene contestata dall’Irlanda che teme che una tale misura rallenti l’installazione di altre società che beneficiano di un’aliquota fiscale molto bassa, il 12,5% in teoria, pur essendo comunque possibili degli accordi a seconda della dimensione delle aziende. In questo caso Apple ha versato in tasse solo 50 milioni nel 2011 su un imponibile di 16 miliardi di euro di profitti, il che ovviamente non è accettabile.
Come ha sottolineato Vestager nel suo comunicato stampa del 15 luglio: “Se gli stati concedono a determinate società multinazionali dei vantaggi fiscali di cui i loro concorrenti non godono, si danneggia la concorrenza leale nell’Unione europea. Ciò inoltre priva le finanze pubbliche e i cittadini dei fondi necessari per gli investimenti indispensabili, ancora di più in tempi di crisi."
Questa pratica non è un’esclusiva dell’Irlanda. Altri paesi vi ricorrono, comprese Francia e Germania, anche se in misura minore, considerando le loro aliquote di imposta sulle società. I paesi che offrono la maggiore flessibilità in questo settore sono i Paesi Bassi, il Lussemburgo, Malta, Cipro e il Portogallo.
Nella controversia con Apple, il Tribunale europeo ha stabilito che la Commissione non ha formalmente dimostrato la sostanziale natura dell’aiuto di Stato che è alla base di questa sanzione. Apple, che nel 2018 ha pagato 14,3 miliardi di euro (13 per la multa, 1,3 di interessi di mora), denaro poi posto sotto amministrazione controllata, potrebbe quindi recuperare tale importo. Tuttavia, la Commissione ha ancora la possibilità di adire la Corte di giustizia avverso tale decisione, in quanto la stessa è stata resa in primo grado dal Tribunale europeo.
Questo è ciò che suggerisce la Vestager: “Studieremo attentamente questo giudizio e considereremo i possibili passi successivi. "
Le ragioni di questa situazione
Il problema della tassazione nei vari paesi dell’Unione non è nuovo. Sono esistiti diversi tentativi di armonizzazione, ma hanno sempre incontrato il veto di alcuni stati. Ciò per una ragione molto semplice: la tassazione non è di competenza dell’Unione, ma resta una prerogativa dei paesi membri. È solo nel settore dell’IVA che si sono verificate le riconciliazioni delle aliquote, nonostante l’armonizzazione non sia totale. Questo ravvicinamento delle aliquote si rivelò necessario per ragioni di concorrenza quando vi fu il rilancio del mercato unico nel 1986 e l’avvento del mercato interno nel 1992. Inoltre, poiché l’IVA è una fonte di entrate per il bilancio dell’Unione, nessuno Stato può abbassare le sue aliquote senza l’approvazione degli altri paesi.
Il funzionamento intergovernativo dell’Unione non incoraggia la ricerca di condizioni favorevoli al ravvicinamento delle aliquote fiscali, in particolare sulle società. Le disparità tra le aliquote applicate dagli Stati membri costituiscono una distorsione della concorrenza in un mercato aperto. Sono tutti gli attori economici ad affermarlo, ma nulla è stato fatto finora per una ragione molto semplice: per prendere una decisione in campo fiscale è prevista una votazione all’unanimità. Si potrebbe affermare che non ci sarà mai una soluzione finché manterremo questa modalità di decisione.
Esistono paradisi fiscali anche all’interno dell’Unione e questo è inaccettabile. Lo stesso 15 luglio il Commissario Gentiloni, responsabile per l’economia, ha avanzato una serie di proposte a nome della Commissione per rendere le tasse più semplici ed eque in Europa e dare la caccia ai paradisi fiscali.
Si noti che tale iniziativa è sostenuta dal Parlamento europeo. Il pacchetto fiscale proposto mira a combattere la frode e il dumping fiscali. La Commissione stima la somma persa ogni anno dai paesi membri a 130 miliardi. Ciò che non è normale nel caso dell’Irlanda, ma vale anche per altri paesi, è che tutti beneficiano di un mercato unico la cui dottrina di base è la «concorrenza libera e senza distorsioni», accumulando notevoli profitti economici e non giocando al gioco della solidarietà europea.
Va inoltre notato che l’Irlanda ha beneficiato del massiccio sostegno dei suoi partner durante la crisi del 2008. Avevano allora accettato che l’aliquota fiscale irlandese sarebbe stata maggiorata solo del 2% per passare al 12,5%, mentre la media europea sarebbe stata del 21%. Questo è stato un passo, gradualmente questo tasso avrebbe dovuto adeguarsi, ma finora non è stato così. È anche responsabilità degli Stati far rispettare le regole europee, in particolare quelle fiscali, ma è vero che in questa materia la legislazione non è affatto chiara!
Le soluzioni passano attraverso decisioni a maggioranza. Niente sarà possibile finché il voto rimarrà unanime. Bisognerebbe quindi andare oltre e adottare il voto a maggioranza qualificata. Ma per ora e per questa materia il Consiglio deve votare all’unanimità!
Tuttavia, esiste uno spiraglio di speranza: il piano di ripresa europeo da 750 miliardi di euro. Mettendo in comune il debito e contraendo prestiti per conto dell’Unione europea, le regole cambiano. Non è ragionevole indebitare l’Unione per aiutare gli Stati membri, senza che nulla venga fatto per modificare le pratiche fiscali. Gli aiuti dovrebbero pertanto essere collegati a un cambiamento radicale nelle pratiche fiscali, all’armonizzazione e all’adozione del voto a maggioranza qualificata.
Ma le decisioni europee non bastano. Abbiamo bisogno anche di accordi all’interno dell’OCSE, perché le multinazionali andranno sempre nelle aree che offriranno loro vantaggi.
La soluzione è anche reinventare l’Unione
Il cantiere di lavoro è enorme, sensibile e irritabile. Ma dobbiamo aprirlo e trovare le giuste soluzioni; sono in gioco l’esistenza stessa dell’Unione e dell’integrazione, che può evolvere solo verso un’organizzazione federale, nel rispetto di tutti, ma imponendo una reale solidarietà tra gli europei.
La decisione del Tribunale dell’Unione europea ha il merito di dimostrare che le interpretazioni delle regole comuni non sono sufficienti per abbattere gli ostacoli. Bisogna rimettere l’opera in cantiere e avere il coraggio di dire che l’Unione così com’è non è più praticabile.
È fondamentale riconsiderare l’organizzazione dell’Unione, tenendo conto del contesto globale, sempre più competitivo e talvolta aggressivo, della vicinanza dell’Africa e dei suoi migranti e della polveriera del Vicino e Medio Oriente. Senza un’Unione più forte, più unita, più integrata, con una diplomazia unica e una vera difesa comune, gli europei non avranno più alcuna influenza sulla scena internazionale di fronte ai giganti di oggi e di domani.
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