La vera posta in gioco della crisi

, di Roberto Castaldi

La vera posta in gioco della crisi

Di fronte ai tatticismi esasperati dei partiti, resi particolarmente manifesti dalla pochezza dei contenuti del dibattito in Senato sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio, si rischia di perdere di vista la vera posta in gioco dell’attuale crisi di governo e del sistema politico italiano. Per comprenderla bisogna alzare lo sguardo e guardare all’interazione tra il sistema politico italiano e quello europeo e la situazione internazionale.

Negli ultimi anni i cittadini europei di tutti i Paesi dell’UE hanno iniziato a prendere coscienza della loro profonda interdipendenza. La Brexit ha aiutato a mostrare quanto ciascun Paese dipenda profondamente dalle istituzioni, agenzie, e legislazione europee in moltissimi settori. Pertanto, ogni elezione in ciascun Paese è osservata con partecipazione, ma non tanto alla luce della tradizionale divisione tra destra e sinistra, bensì della divisione tra forze europeiste e nazionaliste. L’Unione infatti ha raggiunto un livello di integrazione tale da essere più simile ad uno Stato federale che ad una organizzazione internazionale. E questa è la ragione per cui i discorsi sulla sovranità nazionale non hanno alcun senso, poiché viviamo in un sistema di governo multi-livello a sovranità condivisa, in cui gli Stati membri hanno l’ultima parola su alcune competenze e l’UE su alcune altre. Ma al contempo l’Unione non ha ancora raggiunto uno stadio pienamente federale - per questo non ha gli strumenti di governo necessari a rispondere ad alcune esigenze dei cittadini europei, il che apre spazi ai nazionalisti - ed è quindi ancora fragile e suscettibile di implodere e disgregarsi. Così la divisione tra federalisti e nazionalisti proposta dal Manifesto di Ventotene (dove tra pochi giorni si svolgerà il tradizionale seminario di formazione organizzato dall’Istituto Spinelli, cui parteciperanno grandi personalità europeiste della politica italiana ed europea) è diventata effettivamente centrale per definire il futuro dell’Unione e con essa la possibilità per i cittadini europei di difendere i propri interesse e valori sul piano globale.

Il nazionalismo sembrava sconfitto nel mondo occidentale dopo la Seconda Guerra Mondiale. Ma sta rialzando la testa sotto le nuove spoglie populiste, sotto cui si presenta la nuova estrema destra, di cui Salvini è l’alfiere in Italia, così come Johnson e la Brexit nel Regno Unito, Trump negli USA, Bolsonaro in Brasile – oltre a i protagonisti di regimi non democratici come la Cina, o sottoposti a una crescente erosione del sistema democratico come Russia, Turchia e purtroppo anche Ungheria e Polonia, che pure sono dentro l’UE. Il tutto in un quadro globale in cui si acuisce la sfida egemonica tra USA e Cina, e il loro focus sul Pacifico, con un disimpegno destabilizzante verso l’area di vicinato dell’Unione Europea e verso l’Europa, dove con la fine dei Trattati di non proliferazione delle tastate nucleari a medio raggio, si rischia una nuova corsa agli armamenti.

La posizione geografica dell’Italia è cruciale rispetto a qualunque politica di stabilizzazione dell’area di vicinato e di gestione lungimirante dei flussi migratori. Il governo giallo-nero in un anno e mezzo è riuscito a indebolire la capacità dell’UE in questi campi con la fine della missione Sophia e una politica antagonista nei confronti dell’UE, e irrispettosa dei valori e delle norme internazionali. Il tutto per avvicinarsi in vario modo a chi vuole dividere e spartirsi l’Europa: ecco così l’adesione alla Via della seta cinese, la subalternità alla Russia di Putin, e il corteggiamento verso Trump. Pronti a vendersi al miglior offerente, come l’estrema destra austriaca: e su alcune di queste vicende la magistratura è all’opera.

In mezzo a tutto questo stanno il M5S e Forza Italia. Dopo le elezioni politiche il M5S – che in campagna elettorale si era tenuto vago sul tema – era pronto a fare la svolta europeista per allearsi con il PD o nazionalista per allearsi con la Lega: l’essenziale era andare al governo e capitalizzare il risultato elettorale. Un livello di trasformismo e irresponsabilità straordinari. Renzi, e la sua politica del pop corn, ha dunque una responsabilità (ma mai quanto M5S e Lega, naturalmente) nei danni inferti in questi mesi alla posizione e credibilità internazionale – oltre che all’economia – dell’Italia. Mentre FI si ostina – per brama di potere immediato, come mostrano i risultati alle amministrative degli ultimi anni - a voler fare da ruota di scorta in un destra-centro nazionalista e anti-tetico rispetto ai valori del popolarismo europeo cui FI, teoricamente, appartiene, mentre la sua sola speranza di recuperare consensi è quella di proporsi come il punto di riferimento europeista per l’elettorato moderato, sganciandosi dal nazionalismo estremista di Lega e Fratelli d’Italia.

La situazione si ripete oggi. E la mossa di Salvini, disperata e umiliante, di rilanciare il governo giallo-nero con Di Maio premier, dopo aver fatto cadere il governo Conte, mostra la sua continua disponibilità a buttare a mare la coalizione di destra-centro, e prova quanto la partita vada ben oltre le miserie dei protagonisti. Se la Lega lasciasse che si crei un governo europeista in grado di sanare i danni fatti finora e di chiudere la porta alle potenze che vogliono spaccare l’Unione, difficilmente potrebbe contare ulteriormente sui sostegni internazionali che le inchieste de L’Espresso hanno messo in evidenza.

Per questo nella crisi attuale la scelta di campo fondamentale è quella del M5S: nel campo europeo, dello stato di diritto, della democrazia liberale – che si fonda sulla democrazia rappresentativa (per cui i Parlamentari non sono un costo, ma una componente essenziale), ma prevede anche strumenti di democrazia diretta (come mostra la Svizzera, che è una democrazia liberale e federale funzionante) – anche a costo di ammettere alcuni gravi errori dell’ultimo governo; o in quello nazionalista e autoritario, tornando da Salvini in cambio della guida ufficiale e diretta del governo, la cui agenda rimarrebbe comunque appannaggio della Lega, come nei mesi precedenti?

Al PD il compito di favorire un’evoluzione europeista e democratica del M5S, utile anche per la tenuta complessiva della democrazia italiana. La scelta di un premier la cui connotazione europeista sia particolarmente spiccata mostrerebbe che la prima condizione europea posto dalla Direzione del PD era reale e non tattica, e che c’è consapevolezza della posta in gioco più ampia di questa crisi. Quanto al programma, dare un’occhiata alle raccomandazioni del Consiglio del 5 giugno può aiutare a mettere a fuoco una serie di riforme strutturali rivolte tanto alla crescita quanto all’equità sociale e territoriale.

Articolo pubblicato sul blog L’Espresso «Noi, europei» curato dall’autore.

Fonte immagine: Wikimedia.

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