Next Generation EU: miraggio o realtà?

, di Marco Zecchinelli

Next Generation EU: miraggio o realtà?

Sotto il sole di agosto può capitare ogni tanto di imbattersi in strani miraggi, destinati prima o poi a rivelarsi per quello che sono dopo averci illuso della loro esistenza. Uno di quelli che sembrano aver colpito tutti è l’approvazione definitiva del Next Generation EU: nei palazzi della politica italiana si dà per scontato che quei soldi arriveranno, senza ombra di dubbio; ma molte cose possono ancora accadere, prima di quel momento, e sarebbe ragionevole averle in mente.

Torna utile a questo punto ricordare la frase “it ain’t over till it’s over”, pronunciata nel 1973 dal leggendario coach di baseball statunitense Yogi Berra: dovrebbe turbare i sonni di chi ha puntato troppe fiches sul tavolo verde del negoziato, e ora festeggia la vittoria come se la pallina nella roulette non stesse ancora girando. L’accordo raggiunto infatti deve ancora passare il vaglio delle singole ratifiche nazionali, che in passato non hanno risparmiato sorprese.

Gli insulti spediti all’olandese Rutte da alcuni suoi elettori al rientro in patria avvisano i naviganti che la tempesta potrebbe ancora scatenarsi a poca distanza dal porto: e precisamente quando il Parlamento de L’Aia dovrà ratificare l’accordo raggiunto a Bruxelles. Non si può dare per scontato un voto favorevole da chi aveva approvato due risoluzioni contro gli Eurobond lo scorso aprile, quando l’intera Europa contava ogni giorno migliaia di contagi e di morti: e senza la ratifica olandese non ci sarà alcun risultato da festeggiare, così come è successo altre volte. La più famosa, nel 2005, è stata la bocciatura nel referendum del Trattato uscito dalla Convenzione; la più recente, nel 2016, è stata quella (sempre per via referendaria) sull’accordo tra UE e Ucraina.

Ecco dunque che i Paesi Bassi potrebbero assumere il ruolo di bestia nera dell’integrazione europea, dopo l’uscita del Regno Unito, seguendone forse la sorte fino in fondo: il parallelo infatti non si limita agli sconti sui versamenti per il bilancio, inaugurati da Margaret Thatcher e strenuamente difesi dai “frugali”; non si ferma nemmeno alla volontà di mantenere un anacronistico e antidemocratico potere di veto nel Consiglio Europeo; arriva invece molto vicino alla sconfitta che travolse Cameron nel referendum sulla Brexit, e che potrebbe essere la sorte che la Storia ha in serbo per Rutte.

Per i meno attenti ai precedenti vertici europei, David Cameron ottenne una vittoria dopo un negoziato durissimo nel Consiglio Europeo del febbraio 2016, con cui pensava di affrontare e vincere il regolamento di conti interno ai conservatori britannici nel referendum. Le concessioni che ottenne in quella sede potevano essere una pietra tombale su qualsiasi volontà di una futura comunità politica europea: al confronto di quei risultati, quanto ottenuto da Rutte e alleati nel corso dell’ultima riunione dei capi di Stato e di governo dell’UE è ben poca cosa.

Ora però anche il premier olandese, con una maggioranza risicata e alle prese con le elezioni nel marzo 2021, potrebbe a breve scoprire quanto sia duro cavalcare la bestia dell’egoismo nazionale, dopo aver contribuito a risvegliarla cercando di blandirla. C’è da augurarsi che i Paesi Bassi non facciano errori di calcolo devastanti per sé e per gli altri: ma di razionale c’è stato ben poco, nella pervicacia con cui si sono avvicinati al vertice mantenendo una posizione indifendibile. Quando si lascia che persino Orbàn faccia la figura di chi ha cuore la solidarietà con gli altri Stati membri (finendo poi per dover cedere anche sul rispetto dello stato di diritto come condizione di accesso ai fondi europei) è evidente che gli argomenti usati erano quelli sbagliati.

Peccato, perché un confronto duro e aperto sulle reciproche manchevolezze ed egoismi sarebbe stato un’occasione di crescita per il nostro Paese e un chiarimento necessario su quali siano i diritti e i doveri con cui si può e si deve stare in Europa: a Nord, a Sud e anche a Est. Rutte invece ha scelto di giocare allo scoperto in difesa degli interessi dei propri elettori: gli altri, a volte sotto mentite spoglie e spesso con poco commendevoli obiettivi, hanno preferito che prevalesse l’immagine di un accordo nel nome della solidarietà.

Vedremo nelle prossime settimane e mesi dove ci condurrà il secondo tempo di questa vicenda: ma finché la partita non è finita, la concentrazione di chi la sta giocando deve ancora essere altissima. Il rischio è quello di scoprire che l’oasi del Next Generation EU era solo un effetto ottico, e che la traversata verso un’Europa più unita è ancora lunghissima.

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