Parole e fatti intorno alla difesa europea

, di Roberto Castaldi

Parole e fatti intorno alla difesa europea

Resto sempre stupito dal fatto che nel dibattito pubblico italiano le parole contino molto più dei fatti. Vi è una grande attenzione per le dichiarazioni, che possono essere distorte, attaccate o strumentalizzate, e poca per decisioni formali, che richiedono invece un’analisi attenta rispetto alle probabili implicazioni ed effetti. Questo vale anche su temi cruciali, come ad esempio la difesa e la sicurezza.

Così c’è stato un grande baccano mediatico sulla battuta di Macron sulla “morte cerebrale” della Nato, nel quadro di un’intervista molto ampia e articolata, tutta incentrata sulla necessità di rafforzare le autonome capacità di difesa dell’Europa nel quadro di un’analisi – purtroppo assai realistica – della situazione mondiale contemporanea. Ed è passata sotto silenzio la prima timida allusione all’idea che l’arma nucleare francese in prospettiva vada ripensata in termini europei. Qualcosa che avrebbe meritato una pronta risposta da parte di Italia e Germania in primo luogo, nel senso di una disponibilità a procedere verso una vera integrazione politica, inclusiva della difesa, nel cui ambito un simile percorso risulti possibile e sensato. Purtroppo su questo tema dall’incontro tra Conte e Merkel non è emerso granché. Eppure così come l’unione monetaria è stata in larga misura l’europeizzazione del marco tedesco, così la difesa europea dipende in larga misura dall’europeizzazione della Force de frappe francese.

Ma nonostante tutto qualcosa si muove. Nel silenzio generale dei media italiani il Consiglio dell’Unione Europea ha lanciato 13 nuovi progetti nel quadro della Cooperazione Strutturata Permanente sulla Difesa (PESCO). Con questi si è arrivati a 47 progetti lanciati in meno di due anni: novembre 2018, marzo 2019 e novembre 2019. Si tratta di progetti molto diversi tra loro, ciascuno dei quali coinvolge gruppi di Paesi diversi – in alcuni casi pochi, in altri molti – ma che complessivamente riguardano 25 Stati membri su 27. Questi progetti riguardano ambiti molti diversi; sono infatti industriali, marittimi, aerei, spaziali, cyber, di formazione, per la creazione di centri e standard operativi comuni.

Il Regno Unito non partecipa, anche se nella creazione della PESCO è stata lasciata la possibilità della partecipazione di Paesi terzi esterni all’UE, proprio pensando a questa possibilità. D’altronde nel 2014 quasi nessuno avrebbe scommesso sull’attivazione della PESCO, la “bella addormentata” del Trattato di Lisbona e senza alcun principe all’orizzonte. Ma la tenacia di Juncker e Mogherini da un lato, e proprio la Brexit e Macron dall’altro, hanno permesso l’avvio dei primi tentativi di cooperazione sul piano militare dai tempi della mancata ratifica francese della Comunità Europea di Difesa nel 1954! Era infatti il Regno Unito il maggior ostacolo, con il suo veto, a qualunque forma di integrazione militare europea. La PESCO è quindi anche frutto della Brexit, che peraltro riduce per la Francia l’incentivo a impostare la difesa europea attraverso una cooperazione bilaterale con il Regno Unito e la spinge a promuovere un’integrazione militare in cui può aspirare ad un ruolo di leadership. Infatti proprio Francia (10) e Italia (9) coordinano il maggior numero di progetti, seguono poi Germania (7), Grecia (5), Portogallo, Spagna e Romania (2), Austria, Belgio, Bulgaria, Estonia, Lituania, Olanda, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, e Ungheria (1).

Alcuni di questi progetti sono molto rilevanti, sia per l’Europa, che specificamente per l’Italia. Ad esempio tra quelli appena lanciati vi è anche la creazione di un nuovo modello di Corvetta europea, affidata ad una collaborazione italo-francese a guida italiana, molto coerente con il progetto di un polo cantieristico europeo, frutto dell’acquisizione dei cantieri STX da parte di Fincantieri, attualmente al vaglio della Commissione.

Questi progetti mostrano che c’è consapevolezza che nessuno Stato europeo è in grado da solo di garantire la propria sicurezza. Che di fronte alle sfide di attacchi digitali, la cyber warfare, abbiamo bisogno di una risposta comune europea. Che la maggior parte delle nuove esigenze in termini di mezzi, sistemi di sicurezza, ecc. vanno considerate insieme a livello europeo. Sia chiaro, per quanto utili e importanti questi progetti nel loro insieme non rappresentano la creazione di un esercito europeo o di una vera difesa europea civile e militare. Ma sono comunque i primi passi in direzione di un’integrazione militare sempre meno procrastinabile di fronte alle tensioni geopolitiche mondiali.

D’altronde, già l’esperienza degli anni ’50, quando si tentò di creare davvero una Comunità Europea di Difesa, rese evidente che non si può avere una difesa europea se non nel quadro di un’unione politica, perché lo strumento militare è appunto uno strumento, che risponde ad una politica estera e di difesa che non può che essere elaborata da un governo federale, responsabile di fronte ai cittadini europei. Come non smettono di ribadire Macron e Draghi oggi in gioco c’è la sovranità dei cittadini, che per essere efficace deve essere europea. Il mondo incombe e il tempo stringe.

Articolo pubblicato sul blog L’Espresso «Noi, europei» curato dall’autore.

Fonte immagine: European Union External Action.

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