Per gli Stati Uniti d’Europa

, di Angelo Ariemma

Per gli Stati Uniti d'Europa

Continuiamo a sentirci dire che la costruzione di uno Stato europeo sarebbe impossibile perché non esisterebbe un popolo europeo con la sua etnia, la sua cultura, la sua lingua. Ma allora la Svizzera? Costituita da tre popoli di etnie, di culture e di lingue diverse? Nel Canada convivono la cultura anglosassone e la cultura francese! Gli stessi USA sono costituiti da emigrati europei, e poi africani, e ora ispanici; ormai, checché ne pensi Trump, è una nazione bilingue!

Quello che invece bisognerebbe dire è che gli Stati, di qualunque natura siano, non hanno alcun fondamento socio-antropologico, ma sono costruzioni astratte che si formano e si trasformano in base alle esigenze storiche che di volta in volta si determinano. Quali ragioni antropologiche fanno sì che esistano la Repubblica di San Marino, il Principato di Monaco, il Liechtenstein?

Per comprendere questo basta guardare l’evoluzione storica di questa striscia di terra che chiamiamo Italia. Da qui nasce l’Impero Romano, che si estende su tutto il bacino del Mediterraneo, unendo in un unico Stato etnie e popoli diversissimi, tutti però accumunati dalla stessa cittadinanza: “civis romanus sum”; tanto che ci sono stati imperatori spagnoli, africani, ecc. Poi, attraversando il tentativo di mantenere un’unità europea sotto l’egida della Chiesa (Sacro Romano Impero), si passa all’era dei Comuni, i quali, facendosi la guerra tra loro, necessariamente finiscono sotto l’imperio di potentati economici o militari, che costituiscono quelle Signorie regionali, che hanno diviso l’Italia facendone il campo di battaglia dei Regni che già si andavano costituendo nelle altre regioni d’Europa. Solo allorché, mutate esigenze storiche, la presenza di uno Stato regionale più forte e organizzato, la cultura di un unico Stato nazionale ha prevalso nel costruire lo Stato italiano, che, nei suoi poco più di 150 anni di vita, ha visto più volte mutare i propri confini. Allora, da un punto di vista socio-antropologico, non ci sono minori differenze tra un siciliano, un sardo, un trentino, di quante ce ne siano tra un greco, un croato, uno svedese. Del resto, cosa dire degli alsaziani, che nei secoli più volte hanno dovuto mutare “nazionalità” tra la Francia e la Germania? Anche negli USA, cosa possono avere in comune un newyorkese e un texano?

Un altro discorso storico che andrebbe affrontato riguarda lo stesso concetto di nazione. Fino al Settecento gli stati-nazione era costituiti su base dinastica: un Signore, più potente degli altri (quello di Parigi in Francia, quello di Castiglia in Spagna, ecc.), si è imposto sugli altri costruendo il “proprio” regno, e le guerre che si combattevano erano guerre di successione dinastica, alle quali i popoli non partecipavano, semplicemente subivano il passaggio delle truppe, con le loro drammatiche conseguenze (vedi I promessi sposi), senza curarsi se poi sarebbero stati governati dal Re di Francia o dal Re di Svezia.

Il concetto di popolo-nazione nasce con la Rivoluzione francese, quando, con la coscrizione obbligatoria, il popolo viene chiamato a difendere la “sua rivoluzione”. E si estende con le guerre napoleoniche, quando anche gli altri popoli vengono chiamati a difendere il “loro territorio”, la “loro identità” (vedi Il discorso alla nazione tedesca di Fichte, vedi Guerra e pace); mentre altri, per far valere la “loro identità” si alleano alla guerra rivoluzionaria di Napoleone (vedi Repubblica Cisalpina, Repubblica Partenopea).

Quindi il concetto di “identità nazionale” ha poco più di 200 anni, è un portato della Storia senza nessuna base antropologica, semplicemente, poiché l’essere umano non è un’isola, ma ha bisogno di costituirsi in comunità solidali, costruisce, a seconda delle esigenze storiche, società, da quelle tribali ai grandi stati continentali, che lo aiutino a vivere per sé insieme agli altri.

Dunque, le odierne esigenze storiche che ci coinvolgono, ci presentano un quadro politico nel quale è giunto il momento di costruire un vero Stato federale europeo: la politica dei piccoli passi, utile all’indomani della Seconda guerra mondiale, non è più sufficiente; occorre quel salto di qualità, da tanti già allora auspicato, che ci conduca agli Stati Uniti d’Europa, se non vogliamo restare preda delle altre potenze continentali.

Allora è giunto il momento che anche quelle élites culturali che hanno prodotto la Rivoluzione francese, il Risorgimento, la Resistenza al nazi-fascismo, si facciano carico di “creare” il popolo europeo*, invece di continuare a nascondersi dietro quei dispositivi digitali, che, ormai ne siamo consapevoli, sono più utili a diffondere “false verità”, slogan distruttivi - quegli stessi slogan che un tempo venivano pronunciati da famigerati balconi - anziché comunicare un pensiero che faccia appello alla ragione e ai sentimenti di umanità**. L’illusione dell’intelligenza collettiva è definitivamente crollata, il Sogno europeo, come solamente una quindicina di anni fa, lo ha chiamato Rifkin***, quel sogno che ha saputo coniugare mercato e welfare, deve continuare a svilupparsi, e lo può fare solamente col costruire insieme uno Stato federale europeo; come spiegava Altiero Spinelli: “Nella battaglia per l’unità europea è stata ed è tuttora necessaria una concentrazione di pensiero e di volontà per cogliere le occasioni favorevoli quando si presentano, per affrontare le disfatte quando arrivano, per decidere di continuare quando è necessario”; e ancora: “La federazione europea non si proponeva di colorare in questo o quel modo un potere esistente. Era la sobria proposta di creare un potere democratico europeo".

* “Solo perché esiste una massa di organismi che ha forma umana, non si diventa necessariamente popolo. Essere popolo è un traguardo che bisogna conquistarsi” (Ibsen).

** “Quando il distacco tra ciò che è e ciò che deve essere, è enorme (…) servono delle persone che fanno della contraddizione tra i fatti e i valori una questione personale” (Mario Albertini).

*** J. Rifkin, Il sogno europeo, Milano, Mondadori, 2004.

Fonte immagine: Wikipedia.

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