Viviamo in un’epoca di grandi cambiamenti in cui l’Europa e l’Italia si trovano nel pieno della tempesta. Abbiamo ancora il fiatone rispetto agli sforzi fatti per superare la crisi economica del 2008 e già ci stiamo affacciando nella prossima crisi mondiale. Il rallentamento della Cina, la politica protezionistica statunitense, l’evoluzione del mercato digitale sono fenomeni che sfuggono al nostro controllo. Ora, noi potremmo fare come tanti esponenti politici ed istituzionali: dare la colpa a qualcuno. Che sia Trump, che siano gli immigrati, che sia Bruxelles, che siano i “populisti”. Chiunque ci deresponsabilizzi. Nel frattempo, ci dovremmo chiudere a riccio e inventarci cervellotiche misure con cui la barchetta “Italia” dovrebbe sostenere la tempesta. Dare la colpa agli altri non ci salverebbe però da un inevitabile annegamento.
Mettere la testa sotto la sabbia, sperando nelle soluzioni nazionali, inevitabilmente non lungimiranti e dannose, richiede ormai una miopia paragonabile al fanatismo.
Inutile girarci attorno: per affrontare i problemi dell’Italia, servono anche soluzioni politiche europee. Le grandi decisioni vanno prese soprattutto a livello continentale, non le si può delegare al Consiglio europeo, formato da capi di stato e di governo inevitabilmente concentrati a riaffermare il proprio consenso nazionale, rivendicando dunque i successi ed addossando sulle istituzioni comunitarie le colpe di tutte le scelte impopolari.
A livello continentale dobbiamo dunque decidere quale modello di Europa vogliamo per il futuro. Su quali valori riaffermare il progetto europeo e come continuare il processo di integrazione ma, soprattutto, di unificazione del continente. Erasmus, free roaming, Schengen, lo stesso euro, non esisterebbero senza basi istituzionali.
Quando guardiamo alle istituzioni europee, però, ci troviamo davanti a tante contraddizioni. Abbiamo un’unica moneta, senza però un governo che si possa assumere la responsabilità di indicare una politica economica. La zona euro non è ancora dotata di una propria capacità fiscale e non è in grado di promuovere piani di investimenti che possano, ad esempio, permetterci di stare al passo con lo sviluppo tecnologico e di affrontare la piaga della disoccupazione giovanile. Siamo la principale potenza commerciale del mondo, ma siamo un gigante dai piedi d’argilla, incapace di intervenire autorevolmente in un mondo che sta procedendo pericolosamente verso un ritorno al nazionalismo competitivo.
Qualcuno potrebbe obbiettare che queste riforme siano possibili solo tramite i governi nazionali, ed è in parte vero. Però serve anche un’altra spinta. Serve l’iniziativa dei cittadini europei per rilanciare anche l’iniziativa di quelle istituzioni che li rappresentano, ma che troppo spesso finiscono per essere marginalizzate dagli interessi nazionali. Stiamo per eleggere il prossimo Parlamento Europeo, un organo che è sempre stato un’avanguardia. Basti pensare alle proposte di riforme sull’immigrazione, sull’antitrust, su sviluppo sostenibile e politica ambientale, sulla riforma stessa dell’UE discusse ed approvate in questi anni, di fronte alla colpevole immobilità del Consiglio. Noi cittadini dobbiamo però chiedere ancor di più. Dobbiamo chiedere al prossimo Parlamento, come già successe negli anni ’80, di farsi promotore di un processo costituente che definisca finalmente l’Europa di domani, lasciandoci alle spalle le esitazioni di ieri. Se oggi esiste l’Unione europea, dobbiamo molto ai parlamentari europei mobilitati allora attorno ad Altiero Spinelli e al suo Club del Coccodrillo. Oggi dobbiamo rilanciare quella battaglia. Non abbiamo più un Altiero Spinelli a fare da catalizzatore tra le forze politiche, ma ci siamo tutti noi, quelli che credono in un’Europa migliore perché hanno il coraggio di immaginare un futuro migliore; e abbiamo dalla nostra la forza di un’idea e una speranza che è rivoluzionaria.
Nel parlare di Europa non ci si può però soffermare solo sulle sue istituzioni, perché la storia dell’Europa non è solo una successione di trattati internazionale, ma è soprattutto la storia di quelle persone di cui abbiamo troppo presto dimenticato i nomi, ma che hanno creduto nel processo di unificazione europea e che si sono battute per esso.
Vorrei dunque accenannarvi una storia che secondo me descrive la grande Storia che chiamiamo Europa. Si tratta di un giovane che scelse di aderire a quei valori che avevano sposato molti altri ragazzi decenni prima per unire l’Italia. Quel senso di risorgimento che riempiva i teatri in nome di un’Italia libera e unita, di un’Italia democratica. Ebbene quegli stessi valori animavano il giovane Luciano Bolis nonostante l’oscurantismo della dittatura.
Quando parliamo di Europa pensiamo sempre a Spinelli, Monnet, De Gasperi. Bolis è poco conosciuto, ma c’era. Bolis aveva visto il proprio Paese e la propria Europa distrutte dagli orrori del fascismo e della guerra. Aveva aderito, nel 1944, alla dichiarazione di Ginevra, con cui per la prima volta, i movimenti della Resistenza di tutti i paesi occupati si impegnavano, insieme, non solo contro il nazifascismo, ma soprattutto per un’Europa libera e unita, quella prospettata nel Manifesto di Ventotene.
Bolis era un ragazzo come noi. Fu arrestato dai fascisti e decise che, di fronte alla prospettiva di aver salva la vita consegnando alla polizia i propri amici e compagni, avrebbe scelto di morire e tentò il suicidio. Bolis era semplicemente un ragazzo che però decise di sacrificare sé stesso in nome di quella idea di Italia e di Europa in cui credeva così fortemente. Anche dopo essere stato salvato eroicamente dai partigiani genovesi, continuò a dedicarsi a quell’idea, con umiltà, senza mai rinunciare a fare la sua parte, a contribuire con il proprio “granello di sabbia” alla lotta per il processo di unificazione europeo.
Questo per comprendere che la grande storia dell’Europa è anche la storia di ciascuno di noi; la storia di ogni ragazza o ragazzo dell’Italia di oggi. La storia di chi è cresciuto e si è formato durante la crisi. Di chi ha dovuto lasciare le rispettive città per darsi la possibilità di costruire il proprio futuro. Di chi ha dovuto barcamenarsi tra due o tre lavori per mantenersi all’università, di chi da anni passa da un tirocinio all’altro, da uno stage all’altro. La storia di chi ha sempre guardato con speranza all’Europa perché ha i propri amici disseminati per il continente, ma che ha sempre sentito parlare male di questa stessa Europa. La storia di tutti noi che ci sentiamo di vivere uniti nella diversità, che siamo a tutti gli effetti cittadini europei perché questo continente è il non-luogo che ancora riesce a farci sognare.
L’elemento più diffuso tra noi giovani, però è la rabbia. Non una rabbia distruttiva, ma la rabbia di chi non si rassegna di fronte a chi si ostina a distruggerci il futuro, la rabbia che si trasforma in entusiasmo e spirito di iniziativa. Credo ciascuno di noi debba fare la sua scelta. Ciascuno di noi di fronte all’oscurantismo, all’ultra-conservatorismo, al nazionalismo deve proclamare con forza: Io scelgo l’Europa, I choose Europe.
Questa forza va però condivisa, va portata in piazza. L’invito è allora collettivo: rilanciamo il processo costituente e portiamolo tra le persone. Il prossimo 9 maggio celebreremo ancora una volta l’Europa. Non possiamo però limitarci a festeggiare, come vorrebbe fare chi cerca di relegare il progetto politico dell’Europa unita in un passato cristallizzato. Il 9 maggio deve essere anche un giorno di lotta. Lotta per l’Europa di domani e dopodomani.
Per l’Europa che erediterà la generazione che verrà dopo di noi affinché anche loro possano raccontare la nostra storia, ma con colori vivaci e non più quelli opachi e tetri che scolorano il nostro presente.
Perché la Resistenza non è finita, non è mai finita se ancora viviamo in un paese dove un consigliere comunale si rifiuta di rispettare il silenzio nel Giorno della Memoria o dove si spaccia per buonismo l’essere umani. Dobbiamo reagire e dobbiamo farlo per restare perché il mondo non si ferma con le prossime elezioni; perché il nuovo Risorgimento è appena iniziato!
Noi giovani siamo la generazione della crisi, ma abbiamo dalla nostra la straordinaria forza della volontà per cambiare questo Paese, questa Europa e per costruire insieme il nostro futuro.
Ecco la vera Rivoluzione: European Federation is European Revolution.
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