Il Segretario del MFE di Roma mi ha gentilmente segnalato la registrazione di un evento che avrei voluto sinceramente seguire dal vivo alla Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria che si sta svolgendo in questi giorni nella Capitale. Alla conferenza in questione intervenivano due intellettuali stranoti anche sul piccolo schermo (di cui, per altro, sono un grande fan) che non hanno bisogno di un’ulteriore presentazione: Alessandro Barbero e Paolo Mieli.
Il dibattito, portato avanti con l’ottima moderazione di Paolo Conti, è complesso e di estrema attualità: si discute di “Radici e futuro dell’Europa”.
Facciamo una premessa. Si deve comprendere che non è mai facile trattare di un argomento che non rappresenta il proprio specifico ambito di studi. Per altro, non credo si debba mai prendere in analisi un’intervista fatta per la divulgazione, i cui contenuti sono inevitabilmente semplificati a causa della platea e dei tempi contingentati. Però, in questo caso, c’è un però.
C’è il rischio che l’intento chiarificatore dell’evento sia stato più deleterio che illuminante nei confronti dei tanti ragazzi che stanno ascoltando e hanno ascoltato questa conferenza.
Ho appuntato rapidamente qualche commento, intervento per intervento, con l’aggiunta di alcuni suggerimenti di lettura per chi volesse approfondire le cose mantenendosi però sull’ambito della divulgazione. Chiedo poi scusa per il tono se può apparire critico, ma ho scritto di getto e la stima per i due divulgatori è senz’altro intatta.
Il primo intervento di Barbero è la classica risposta che uno storico medievista può dare alla domanda sulle origini dell’idea di Europa. Ricorda bene anche la difficoltà di definire cosa si intenda per «Europa» - monito valido ieri e oggi -. Aggiungo che l’Europa può essere un’idea, un continente tracciato a tavolino dai confini porosi, un simbolo, un mito, un progetto, delle istituzioni sovranazionali e una lunga serie di trattati internazionali fra stati sovrani. L’Europa è senz’altro stato questo e tanto altro. Eppure, proprio per la difficoltà della sua interpretazione, si presta all’ambiguità di diversi stereotipi: è sinonimo di crisi, elemento di alterità contro cui affermare la propria identità o entro cui estremizzarla, un contenitore da colmare o, addirittura, una minaccia da combattere. Barbero afferma che una vera e propria «autocoscienza» gli europei (distanziandosi dai romani d’oriente) la sviluppano solo dopo la caduta dell’Impero romano, nel primo Medioevo, ed è senz’altro vero. L’Europa nasce come mito della Grecia classica, passa poi nell’immaginario romano, ma si afferma come civiltà solo nel continente di quella che diverrà la «christianitas».
Ad avermi realmente colpito è stato il secondo intervento, dove Conti prova a far fare un salto in avanti a Mieli, domandandogli delle origini dell’attuale idea d’Europa, seguita alla caduta dei regimi nazifascisti. Qui Mieli si affanna da principio in una serie di ingenuità sulla II GM che potrebbero esser prese quasi per uno spicciolo revisionismo, per cui evito di citarle. Per quanto riguarda invece l’analisi storica sulle radici novecentesche dell’idea d’Europa il divulgatore va proprio fuori tema. Elimina completamente secoli di storia, non considera neanche di striscio l’elaborazione politica della Resistenza. Afferma poi che l’attuale Unione è stata fatta contro il voto degli europei, una delle più grosse corbellerie da dire, che dimostra una seria lacuna su tutto l’argomento «processo di integrazione». Gli europei dalla fine degli anni ’40 in avanti, quando hanno potuto, si sono sempre dimostrati entusiasti di fronte all’idea di Europa unita. Solo nel recentissimo referendum del 2005 i cittadini hanno votato contro in Francia e Olanda (ma per motivazioni soprattutto nazionali). Per esser un processo che è iniziato nel ’48, contiamo solo una sconfitta elettorale e una grande quantità di vittorie nell’ambito della partecipazione democratica. Per dirne una, prendiamo il referendum consultivo italiano dell’89 per dare mandato costituente al Parlamento europeo (l’88% degli italiani si esprime a favore). Poi Mieli non riesce a distinguere né a esporre il concetto di identità multilivello (cioè non esclusiva). Le affermazioni che seguono su America, Africa e sull’inesistenza di una storia d’Europa stanno ancora facendo rivoltare nella tomba generazioni di storici. Ma poi come si fa a dire che il primo tentativo di unificazione dell’Europa è arrivato solo dopo Maastricht? Ne ricordo solo tre precedenti: il Consiglio d’Europa del ’49, la CED/CPE del ’54, il Trattato Spinelli dell’84. La critica finale al processo di unificazione è giusta, ma è detta senza alcun entusiasmo. Solito argomento trito e ritrito: «dovevamo far la politica prima dell’euro».
Conti, a questo punto evidentemente preoccupato, vorrebbe si parlasse almeno dei padri fondatori dell’Unione. Chiede aiuto a Barbero. Lo storico prova ad aggiustare il tiro del collega. Risponde che esiste una percezione dell’essere europei che passa i secoli e prova a smontare in qualche modo il nazionalismo metodologico del primo (sull’invenzione e la costruzione storica dell’identità nazionale). Non è però il suo ambito, è un medievista esperto di storia militare. Non dice quello che vorrebbe sentirsi dire Conti: ancora niente Resistenza, niente padri fondatori, niente ’800 e niente ’900. Noi sappiamo che dopo l’unità carolingia, all’indebolimento di Impero e Papato, dopo la Riforma protestante, l’Europa diventa un territorio separato da confini più o meno precisi e organizzati, in un sistema di stati coinvolti in una lotta secolare per l’equilibrio o l’egemonia su tutto il continente. È in questo periodo che si sviluppa un’intellighenzia, una “res publica delle lettere”, che scambia le sue idee ben oltre questi confini, persino dopo l’“invenzione” dello stato nazionale nel XIX secolo. Dunque, è il mondo degli intellettuali, dell’arte e della cultura, che costituirà le basi del primo sogno utopico di unità dell’Europa, coagulatosi in un pensiero che si tramanda negli anni che vanno dall’Illuminismo alle rivoluzioni patriottiche ottocentesche. Questo sogno dell’unificazione del continente europeo, che con pensatori come Kant si afferma solo come proposta filosofica, diviene per la prima volta una via percorribile nella pratica dopo le tragedie delle Guerre mondiali che hanno portato al collasso il sistema degli stati europei. Su quest’ultimo punto anche Barbero qualcosa accenna, riportando il dramma di secoli di conflitti terminati con la via politica all’unità. Ricorda solo ora del coraggio dei padri fondatori: Robert Schuman, Konrad Adenauer e Alcide De Gasperi.
Tutto qui?
Purtroppo sì.
Conti interpella Mieli sul futuro dell’Europa. L’intervistato ricorda bene il pericolo di balcanizzazione in caso di fallimento dell’Ue, dimostrando una buona intuizione dell’idea di Europa = pace = istituzionalizzazione dei conflitti. Sulla spiegazione del principio di sussidiarietà attraverso l’idea di una «Europa armata franco-tedesca» per far pagar le tasse e combatter la mafia è la fiera del luogo comune. Non riesce proprio a mostrare la costruzione di uno stato senza il nation building, né ha la più pallida idea del vero significato di «principio di sussidiarietà» o del fatto che la sovranità si possa dividere in uno stato federale.
Purtroppo, nessuno dei due storici va ad approfondire il ruolo dell’Europa nel mondo globalizzato. Si insiste sul concetto di «convenienza» non uscendo mai da una concezione mercantilistica dell’idea a fondamento dell’Unione che lo stesso evento in sé dovrebbe criticare. La visione rimane ancorata all’ambito funzionale, si perde qualsiasi valore ideale di promessa rivoluzionaria per il mondo del sogno europeo.
D’altronde, nessuno cita i movimenti per l’unità europea, il pensiero federalista o Ventotene. Neanche in modo distorto.
Ne risulta il grigio.
Manca del tutto il messaggio per far alzar questi ragazzi la mattina con la voglia di lottare per il loro domani. Vince una perversa visione di un’Europa caratterizzata dal rassegnarsi al male minore.
Partiamo, allora, da un presupposto: la storia dell’Europa, degli europei e dell’unificazione del continente non possono ridursi alla sola storia dell’Unione o alla somma delle storie dei suoi singoli Stati. È una storia di battaglie, di compromessi e di sconfitte in cui agiscono un’infinità di attori.
In seconda battuta, è possible seriamente parlare oggi di cosa può significare «Europa»? Si intende la possibilità di dare al mondo un modello sociale, culturale e istituzionale paragonabile ad un “nuovo umanesimo”. In questo la storia può aiutarci ad essere consapevoli, ma serve la politica per scendere in campo.
Noi non vogliamo né possiamo ridurre l’Europa all’Unione europea (che ne è senz’altro una parte del percorso). I federalisti guardano all’utopia a venire che potrebbe essere l’Europa futura, un riferimento valoriale declinato sul piano della persona, delle istituzioni e delle relazioni sociali. «Unire l’Europa per unire il mondo» non è mai stato solo uno slogan. L’Europa può essere un modello di convivenza pacifica che nasce in modo esperienziale da un processo profondamente storico fondato sul superamento consapevole delle barbarie del proprio passato (la degenerazione del nazionalismo nel totalitarismo), che offre al mondo una forma di governo e delle istituzioni per una globalizzazione sostenibile. Se è vero che la barbarie consiste nel “non riconoscere l’umanità degli altri, mentre il suo contrario, la civiltà, è precisamente la capacità di vedere gli altri come altri e ammettere nello stesso tempo che sono umani come noi. (…) La civiltà non è il passato dell’Europa, ma grazie alle scelte compiute dagli europei potrebbe essere il suo avvenire”.
L’essere europei deve allora fondarsi su un’idea dell’identità aperta, multilivello fondata sulla capacità di assimilare il conflitto in una dialettica democratica caratterizzata dalla pluralità e dalla continua messa in discussione di sé stessa attraverso il dialogo. La diversità e il cosmopolitismo come forza-motore per il rilancio di una civiltà caratterizzata dalla molteplicità delle origini, che dialetticamente presuppone e crea un quadro sovranazionale che coesiste con quello nazionale secondo il principio di sussidiarietà. Non stiamo parlando semplicemente della somma dei singoli nazionalismi, ma di un valore aggiunto basato sull’umanizzazione delle relazioni tra uomini e istituzioni.
Interculturalismo, democrazia ed Europa stessa devono essere intesi allora come processi continuamente da conquistare da parte di tutti e non come un qualcosa di dato o immobile. Non serve a niente normalizzare e inventare a tavolino un ethos europeo. Una via d’uscita possibile è quella già indicata da Cuisenier, che riprende l’esempio degli antichi greci, i quali, “insegnano che l’etnicità di un popolo, ciò che gli consente di avere un’identità di popolo, non risiede né nella lingua né nel territorio né nella religione né in questa o quella peculiarità, ma nel progetto e nelle attività che conferiscono un senso alla lingua, al possesso di un territorio, alla pratica di usanze e riti religiosi”. È ciò che decideremo di fare come europei e con questo progetto di Unione che definisce il nostro stesso essere europei.
Perché per esser europei non serve nessun assurdo e abominevole privilegio di sangue, nessuna superiorità basata sulla buona sorte di esser nati “dalla parte giusta” del mondo. Serve solo la forza di tornare a lottare per realizzare questo sogno. Un sogno che non è un’utopia, ma è la battaglia per il migliore dei futuri possibili.
10 letture consigliate
1. Lucio Levi, Il pensiero federalista, Laterza, Bari, 2002.
2. Federico Chabod, Storia dell’idea d’Europa, Laterza, Roma – Bari, 2010.
3. (a cura di) Eric J. Hobsbawm e Terence Ranger, L’invenzione della tradizione, Einaudi, Torino, 2002.
4. Corrado Malandrino, Federalismo: storia, idee, modelli, Carrocci, Roma, 1998.
5. (a cura di) Sergio Pistone, I movimenti per l’Unità europea 1945 – 1954, Jaca Book, Milano, 1992.
6. (a cura di) Sergio Pistone, I movimenti per l’Unità europea 1954 – 1969, Università di Pavia, Pavia, 1996.
7. (a cura di) Ariane Landuyt e Daniela Preda, I movimenti per l’Unità europea 1970 – 1986, tomo 1 e 2, Il Mulino, Bologna, 2000.
8. Tzvetan Todorov, L’identità europea, Milano, Garzanti, 2019.
9. Zygmunt Bauman, Retrotopia, Bari, Laterza, 2017.
10. Ulrich Beck, La metamorfosi del mondo, Bari, Laterza, 2017.
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