Protesta sociale e democrazia nella UE

, di Guido Montani

Protesta sociale e democrazia nella UE

Le proteste pacifiche sono legittime. I politici hanno il dovere di ascoltare e rispondere, ma le recenti rivolte sociali in Europa hanno radici profonde. Sono la conseguenza della incapacità dell’UE di dare risposte convincenti alle sfide della globalizzazione, delle multinazionali, delle nuove tecnologie e dei flussi migratori incontrollati. A tutto questo si aggiunge il malgoverno della crisi finanziaria, dalla quale molti paesi europei dopo un decennio non sono ancora usciti.

Non ci si deve dunque meravigliare se alcuni partiti nazionalisti si sono formati sfruttando la paura di un incerto futuro e se molti si rivoltano contro l’ingiusta distribuzione della ricchezza, come è avvenuto in Francia con i gilets jaunes. Secondo queste forze, l’elezione europea rappresenterà l’occasione per ribaltare una situazione che ha visto il Parlamento europeo dominato per decenni dai cosiddetti partiti europeisti. Al momento, i partiti antieuropei sembrano in ascesa e nessuno può escludere che riescano a conquistare una maggioranza di blocco, o comunque tale da ostacolare qualsiasi miglioramento della governance dell’UE.

Le tradizionali forze europeiste sembrano annichilite. I leaders politici non sanno più spiegare ai cittadini cosa significhi essere europeista. I governi hanno discusso per anni della riforma dell’Unione Economica e Monetaria, della creazione di una difesa europea e di una politica estera europea, ma riforme concrete non sono state fatte. Al contrario, Francia e Germania si sono solennemente accordate per far entrare la Germania nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Si tratta di un’idea che dividerà ulterioremente gli europei. Ha avuto buon gioco il governo italiano a rilanciare la proposta di un seggio unico per l’UE. Così un governo che si definisce populista e sovranista è più europeista dell’asse franco-tedesco. Inoltre, i partiti europei hanno nominato i loro Spitzenkanditaten, ma nel dibattito politico europeo la voce dei sovranisti e dei nazionalisti è preponderante. Proposte rilevanti per riformare una Unione zoppicante sembrano non interessare a nessuno. E’ questo l’europeismo? Se è questo, i partiti europeisti subiranno una secca sconfitta nell’elezione europea. Occorre prendere atto che un ciclo storico si è definitivamente concluso.

L’ordine internazionale creato dagli Stati Uniti nel dopoguerra è entrato in una crisi irreversibile. Trump ha solo sollevato il coperchio di un pentola che già ribolliva. L’URSS si è dissolta nel 1992. La Cina è diventata la seconda potenza economica mondiale e sarà presto competitiva anche sul fronte militare. La Russia agisce come superpotenza nucleare e non perde occasione per estendere la sua influenza nell’Europa continentale e nel Mediterraneo. L’Unione europea, indebolita dal nazionalismo interno, sarà smembrata e dominata dall’esterno, perché rappresenta un boccone molto appetitoso. Gli elettori europei sono preoccupati perché percepiscono il pericolo, mentre i politici sembrano rassegnati a questo destino. Progettare un futuro per ’UE e i suoi cittadini è possibile se si ha il coraggio di superare alcune convinzioni erronee. La più importante è quella relativa al ricorso insistente a mezzi inadeguati al conseguimento dei fini auspicati, come una maggiore giustizia sociale. Da anni si conoscono gli efffetti sulle diseguaglianze provocate dalla globalizzazione. Si può citare il rapporto dell’ONU, Inequality Matters, del 2003; lo studio di Branko Milanovic, Global Inequality, del 2016, e la conferma recente di un trend negativo osservato da Oxfam: l’1% della popolazione possiede il 45,6% della ricchezza del Pianeta nel 2018. Di fronte a questa realtà globale ed europea, tuttavia, le forze politiche e gli esperti suggeriscono solo rimedi nazionali, come una maggiore progressività nella tassazione nazionale, per sostenere la spesa in servizi sociali. La realtà è diversa. Ogni governo nazionale fa il possibile per attirare capitali nei propri confini concedendo sconti fiscali a ricchi individui e imprese multinazionali. La concorrenza fiscale tra paesi opera a livello mondiale – dove le aliquote fiscali sulle persone sono scese dal 62% nel 1970 al 38% nel 2013 e una simile riduzione è avvenuta anche per le tasse sui profitti. La difesa della sovranità fiscale nazionale si è trasformata in un crudele inganno per i cittadini. Senza risorse pubbliche adeguate, le politiche sociali sono seriamente in pericolo se la tendenza non verrà invertita. Il modello sociale europeo si fonda su istituzioni nazionali coordinate da una legislazione europea e da una Commissione che assicura la difesa della qualità della vita dei cittadini, mediante un continuo monitoraggio con le sue agenzie dell’ambiente, dei medicinali, della salute e sicurezza del lavoro, dei prodotti chimici, per la sicurezza alimentare e per i diritti fondamentali.

Il modello sociale europeo è parte integrante di una Unione europea che ha costruito un continente di pace dopo la seconda guerra mondiale. Si tratta di un nuovo progetto di civiltà voluto da popoli nazionali che hanno deciso di rifiutare – per sempre, – la guerra come strumento dei loro rapporti. L’Unione europea è uno stato di diritto. Questa preziosa eredità rappresenta il patrimonio di ideali e di valori che i partiti europei devono incorporare nella loro idea di progresso. Progredire in Europa significa consolidare e far progredire la democrazia ad ogni livello, quello nazionale e quello europeo. Le istituzioni esistenti devono essere riformate per consentire ai cittadini europei di ogni nazione di progettare un sereno futuro per i giovani. Un’Europa capace di agire può diffondere in ogni continente e nel mondo un nuovo modello di cooperazione pacifica. Ecco l’alternativa a un ordine internazionale nel quale le grandi potenze si affrontano arcigne e minacciose per conquistare la supremazia assoluta.

I partiti progressisti devono approfitare della campagna elettorale per convincere i cittadini che l’Unione europea può dotarsi dei poteri di governo per affrontare e risolvere i loro problemi. La Commissione europea ha pubblicato una sorta di manuale tecnico per riformare l’Unione, A Union that Delivers (EPSC, 14/01/2019), che mostra come il Trattato di Lisbona apra la via alla formazione di gruppi di stati che intendono procedere verso riforme efficaci nella politica estera e della sicurezza, nella tassazione, nel completamento del mercato interno e dell’energia, nella protezione dell’ambiente per uno sviluppo sostenibile, infine nelle politiche sociali. Non è certo possibile entrare nei dettagli della procedura delle «passerelle»contenuti nello studio dalla Commissione. Basti osservare che nonostante sia necessario il consenso del Consiglio europeo per attivare le procedure suggerite, il ruolo di timoniere delle riforme può finalmente passare dalle mani di un Consiglio litigioso e inconcludente a quelle di un Parlamento eletto dal «popolo europeo sovrano» e da una una Commissione europea guidata da uno Spitzenkandidat designato da una maggioranza parlamentare.

I partiti progressisti possono dunque indicare nei loro programmi elettorali l’obiettivo realistico della costruzione di un governo democratico europeo, nella consapevolezza che il Trattato di Lisbona offre una procedura di transizione mediante l’adozione di maggioranze qualificate di voto, che obbligherà i governi nazionali a negoziare soluzioni di compromesso. A un certo punto, se la transizione avrà successo, si porrà il problema di una riforma del Trattato per trasformarlo in un Costituzione democratica europea. Per il momento, è sufficente prendere atto che la campagna elettorale europea potrà essere sfruttata per superare la diffidenza dei cittadini verso le istituzioni europee, considerate con disprezzo dai nazionalisti come una burocrazia elitaria.

L’unità politica dell’Europa non cadrà dal cielo o da decisioni prese da vertici intergovernativi. Sarà il risultato di una lotta politica a cui devono partecipare attivamente i cittadini europei di ogni nazione con i loro legittimi rappresentanti nel Parlamento europeo. La democrazia nazionale soccomberà sotto la pressione dei partiti nazionalisti e antieuropei se il Parlamento europeo finirà nelle loro mani. I partiti progressiti europei si devono impegnare in un dialogo serrato con i cittadini per suscitare l’orgoglio della loro appartenenza all’Unione, affinché il patriottismo europeo diventi un sentimento condiviso. Democrazia europea e democrazia nazionale avranno un destino comune: insieme prospereranno o insieme periranno.

Articolo pubblicato sul blog Europa in Movimento.

Fonte immagine: Wikipedia.

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