Trovate di seguito delle brevi riflessioni di Altiero Spinelli.
Questi scritti rappresentano un primo appuntamento che ci siamo dati sul webzine per cercare di aiutare il lettore ad orientarsi, con alcuni punti di riferimento essenziali, in una realtà mediatico-politica dove sentiamo ormai sempre più spesso parlare di Europa, federalismo e Ventotene senza nessun approfondimento.
Innanzi tutto, rispondiamo ad una semplice domanda: chi era in poche parole Altiero Spinelli?
Altiero Spinelli nasce a Roma il 31 agosto 1907. La famiglia è benestante e, in particolare il padre, di simpatie socialiste. Dopo aver conseguito la maturità classica e iniziato le prime letture sul socialismo, Altiero si iscrive all’università per frequentare giurisprudenza ed avvia (fin da giovanissimo) la sua militanza politica: nel 1924, dopo l’omicidio Matteotti, decide di iscriversi al Partito Comunista, assumendo rapidamente l’incarico prima di Segretario per l’Italia centrale e poi per l’Italia nordoccidentale. A diciotto anni è già passato alla lotta clandestina antifascista, ma verrà arrestato nel 1927 e condannato a sedici anni di carcere. Nei dieci anni di galera scontati (a Roma, Lucca, Viterbo e Civitavecchia) matura il suo progressivo distacco dall’ideologia comunista. In seguito ad un’amnistia, viene inviato al confino a Ponza e poi a Ventotene, dove conoscerà, tra gli altri, anche Ernesto Rossi con cui scrive il celebre Manifesto; Ursula Hirschmann ed Eugenio Colorni. Liberato nel 1943, è a Milano alla fondazione del Movimento Federalista Europeo (MFE), in seguito, espatrierà in Svizzera per cercare di rilanciare a livello europeo le parole d’ordine federaliste ed è qui che sposerà Ursula. Dopo numerosi anni di impegno e di campagne alla guida del MFE e dell’Unione dei Federalisti Europei, è consigliere politico del governo italiano, svolge il ruolo di Visiting Professor alla School for Advanced European Studies dell’Università Johns Hopkins di Bologna, è collaboratore della casa editrice Il Mulino, fonda il Comitato Italiano per la Democrazia Europea (CIDE) e l’Istituto Affari Internazionali (IAI) e, dal 1970 fino al ‘76, è nominato membro della Commissione esecutiva della CEE. Nel decennio ’76-’86 è eletto deputato europeo come indipendente nelle liste del Partito Comunista e fonderà nel 1980 il “Club del coccodrillo”, creando un intergruppo di parlamentari che si battono per la Federazione europea. Nel 1984 è chiamato a presiedere la Commissione istituzionale del Pe, con questo incarico svolgerà la sua ultima azione, che è l’approvazione del “Progetto di Trattato istitutivo dell’Unione europea” che sarà preso in considerazione come base dai governi per il successivo Atto unico (1986) e per il Trattato di Maastricht (1992).
Possiamo riassumere lo straordinario impegno politico di Spinelli adottando le parole della sua stessa autobiografia (A. Spinelli, «Come ho tentato di diventare saggio»):
La mia vita si può articolare in sei cicli di azioni fondate ciascuna su un’ipotesi diversa. 1) Fra il ’43 e il ’45 ho lavorato sull’ipotesi di una rinascita democratica impetuosa che sarebbe partita dalla avvenuta distruzione non solo dell’ordine europeo del passato, ma anche di quello interno di quasi tutti gli stati-nazione d’Europa. 2) Fra il ’47 e il ’54 ho lavorato sull’ipotesi che i grandi ministri moderati europei, incoraggiati dallo spirito missionario democratico che allora animava la politica estera americana ed impauriti da quanto stava avvenendo in Europa orientale, ci avrebbero ascoltati e si sarebbero accinti alla costruzione federale. 3) Fra il ’54 e il ’60 ho lavorato sull’ipotesi che fosse possibile mobilitare l’europeismo, ormai diffuso, in una protesta popolare crescente - il Congresso del popolo europeo - diretta contro la legittimità stessa degli stati nazionali. 4) Fra il ’60 e il ’70, ritirandomi quasi completamente dall’azione politica, ho meditato sul significato della Comunità economica europea, sugli aspetti nuovi della difesa militare introdotti dall’arma nucleare, sulla possibilità di un rilancio dell’azione federalista. 5) Fra il ’70 e il ’76 ho lavorato sull’ipotesi che la Commissione della CEE avrebbe potuto assumere il ruolo di guida politica nella rimessa in moto della costruzione dell’unione politica. 6) Fra il ’76 e l’86 ho lavorato sull’ipotesi che il Parlamento europeo avrebbe dovuto assumere un ruolo costituente nella costruzione europea.
Per chiarire la vita di questo leader politico rimandiamo alla copiosa bibliografia esistente, intanto però vi invitiamo a leggere un primo estratto dalle pagine della rivista “Europa Federata”, dove Spinelli cerca di dare una definizione di popolo europeo. Era l’aprile del 1955 e sono passati più di 60 anni da allora, ma nel momento storico che stiamo vivendo queste parole sembrano ancora più attuali che mai nel tentativo di definire una comunità di destino in fieri prigioniera delle catene nazionali. Cerchiamo, dunque, di capire a chi dovrebbe rivolgersi la politica quando parla dell’elezione del prossimo Parlamento:
Che esista un popolo francese, tedesco, olandese e via dicendo non è messo in dubbio da nessuno. In ciascun caso si riscontrano senza difficoltà le caratteristiche fondamentali che permettono di riconoscere l’esistenza di un popolo. Ci sono problemi della vita pubblica che non solo sono di interesse comune, ma che devono anche volta a volta trovare una soluzione unica e valevole per tutti. C’è un potere politico che risolve questi problemi comuni in nome di tutti e impegna con i suoi atti tutti i cittadini. C’è un legame diretto di diritti e di doveri fra potere pubblico e cittadini, poiché questi hanno da una parte il diritto di controllare i loro governanti e di esigere che gli affari siano gestiti in modo conforme alla volontà della maggioranza; d’altra parte hanno il dovere di obbedire alle leggi e di pagare le imposte necessarie all’amministrazione degli affari pubblici. C’è infine una permanente volontà di tutti di restare uniti, di cercare insieme il cammino da percorrere, di contribuire alla scelta delle decisioni comuni, e di accettare queste decisioni anche quando si rimane in minoranza.
Come si può parlare di un popolo europeo se queste quattro caratteristiche essenziali – problemi comuni, potere politico comune, diritti e doveri comuni dei singoli, consenso popolare effettivo – non si ritrovano tutte con la assoluta precisione con cui si riscontrano nelle nostre singole nazioni? Se si pensa con pigrizia e superficialità, come fa la maggioranza del nostro mondo politico, si può dire che un giorno, se e quando lo stato federale europeo esisterà, ci sarà un popolo europeo, ma che oggi non ci sono altri popoli fuorché le nazioni organizzate politicamente negli stati nazionali. Se però si guardano le cose un po’ più da vicino le conclusioni cui si deve giungere sono alquanto differenti. C’è anzitutto un insieme di affari pubblici che non possono essere gestiti più dai singoli stati perché esigono soluzioni unitarie sovranazionali. Il mercato comune, la solidarietà e la giustizia sociale, la difesa, la politica estera possono essere amministrate seriamente, nell’interesse comune dei popoli democratici dell’Europa continentale, solo se si cercano e si trovano volta a volta soluzioni uniche e valevoli per tutti. Non c’è invece ancora un potere politico europeo che amministri a nome di tutti questi affari comuni. I singoli stati continuano a detenere loro tutti gli strumenti di amministrazione, pur senza essere più capaci di amministrare gli affari sopra indicati nell’interesse dei loro cittadini. (…) Con continue conferenze, accordi, progetti tentano continuamente l’impossibile, cioè la realizzazione di una soluzione unica mediante sei (oggi 28!) strumenti di esecuzione indipendenti l’uno dall’altro.
L’inquieto sentimento di una solidarietà europea che va al di là delle nazioni, di una sorte comune che ci lega ormai tutti, della necessità di sviluppare una coscienza ed una volontà politica europea, è ormai diffuso, e si manifesta sia nelle sempre più scarsa stima in cui ovunque è tenuto il proprio stato nazionale, sia nella vasta simpatia generica per l’idea d’Europa, sia nella speranza disperata e rassegnata che molti finiscono per riporre, in mancanza di un potere politico europeo, nel potere politico dell’America o della Russia, che ha almeno il vantaggio di essere superiore a quello, divenuto futile, dei nostri stati. Da queste constatazioni appare chiaro quel che deve intendersi quando si parla di popolo europeo. Esso non esiste ancora come realtà politica operante, ma esiste come esigenza, come aspirazione. L’ostacolo che trova alla propria piena realizzazione è costituito dal sistema degli stati nazionali sovrani. Il popolo europeo esiste, ma esiste oppresso, avvilito e semi-incosciente, a causa del perdurante antico regime degli stati nazionali sovrani. I federalisti non sono altro che la parte cosciente del popolo europeo ed il loro compito unico è quello di trovare forme di agitazione e di protesta, le più larghe, le più energiche, le più consapevoli possibili per combattere questi idoli, presuntuosi ed impotenti nello stesso tempo, che sono gli stati sovrani della vecchia Europa.
Qual è il ruolo del Parlamento europeo? È senz’altro da tenere in considerazione questo appello a ritrovare il necessario coraggio per l’azione rivolto a tutte le forze politiche. Si tratta delle conclusioni di una conferenza tenuta a Fiesole (EUI) agli inizi degli anni ’80 sui possibili sviluppi della campagna elettorale in corso:
Non ci si venga a dire che oggi non c’è governo che accetterebbe il nostro progetto. Risponderei che i nostri governi sono tutti persuasi della necessità di far avanzare l’Europa, ma non sono capaci di mettere insieme quattro idee per cominciare a farla effettivamente avanzare perché attingono tutti le loro idee dall’arsenale intellettuale delle loro diplomazie, cioè da una fonte che produce solo futili proposte di azione intergovernativa. Poiché questa loro impotenza in materia europea produce in loro una assai forte cattiva coscienza, bisogna far leva su questa, mostrando che la proposta del Parlamento è la risposta, la sola risposta al bisogno di maggiore unità europea sentita anche da loro.
Non ci si venga a dire che oggi i partiti non sentono i problemi europei e non se ne occupano. Perché mai dovrebbero farlo, dal momento che non li incontrano mai sul loro cammino? Ma nelle prossime elezioni li incontreranno e potremo quindi proporci seriamente di aprire i loro occhi e le loro orecchie.
Non ci si venga infine a dire che tutto ciò è troppo avventuroso, che bisogna stare con i piedi sulla terra ed avanzare a piccoli passi. Voi vedete tutti a qual disastroso punto ci ha condotti la politica detta dei piedi sulla terra e dei piccoli passi, la politica detta erroneamente del pragmatismo, che è in realtà la politica fondata sull’assenza di idee e di visioni o, per essere più sinceri, fondata sulla schiavitù intellettuale verso idee vecchie e divenute del tutto inadeguate.
Noi dobbiamo mettere dinnanzi agli occhi di tutti nella prossima campagna elettorale che l’Europa dovrebbe contar molto nel mondo e non conta nulla; che dovrebbe far molto per i suoi cittadini ed è capace di far ben poco; che per queste ragioni è necessario impiantare, ed impiantare presto, una vera Unione europea.
Ho finito, Signore e Signori, ma permettetemi di concludere con una breve meditazione personale. È assai probabile che la mia età avanzata non mi consentirà di accompagnare ancora per molto tempo questa azione. Ma quando rifletto che oggi il primo Parlamento europeo eletto sarebbe assai diversa cosa da quel che è, se non avesse assunto il ruolo costituente di cui vi ho parlato, e quando penso che tutta la mia ormai lunga vita di partigiano europeo è sboccata in questa azione, non posso fare a meno di mormorare a me stesso con una tal fierezza le parole di San Paolo: «Bonum certamen certavi, cursum consummavi» («Ho gareggiato in una bella gara, ho concluso la mia corsa, ho mantenuto la mia fede»).
Per comprendere la necessità di un governo europeo e le aberrazioni che sono possibili dall’evidente mancanza di qualsiasi sentimento di solidarietà in tutto il continente, indichiamo la lettura di questo estratto dall’introduzione del Manifesto dei Federalisti Europei: decisamente utile nel mostrarci dove porta la disumanizzazione della politica bloccata all’interno dei vincoli nazionali:
La divisione in stati nazionali sovrani pesa come una maledizione sull’Europa. Lo sviluppo moderno delle forze produttive, l’intensificarsi dei traffici, l’accelerarsi dei mezzi di comunicazione e di trasporto, il diffondersi di forme simili di civiltà, l’approfondimento del senso di solidarietà umana – esigono ormai da molto tempo l’instaurazione in Europa di una legge e di un governo superiori alle leggi ed ai governi degli stati nazionali. Ma questi sono sovrani. Decidono ed agiscono senza riconoscere nessuna legge e nessun potere superiore al loro. Sono tenuti a provvedere alla tutela degli interessi propri e dei propri cittadini senza avere né il dovere né la possibilità di preoccuparsi degli interessi di altri stati e di altri popoli. Tutte le limitazioni ed i controlli che il progresso democratico è venuto imponendo ai poteri pubblici, concernono esclusivamente la vita interna dei singoli stati; i rapporti fra stati sono e continuano ad essere governati dalla legge della giungla. Atteggiamenti ed atti di egoismo e di prepotenza, che sono considerati come delittuosi se compiuti da privati o da comunità minori, diventano lodevoli se effettuati da stati sovrani. Per non aver saputo finora mettere fine a questo regime politico, gli Europei sono stati e continuano ad essere colpiti da sventure immense e senza fine; l’avvenire loro, dei loro figli, delle loro patrie, della loro stessa civiltà plurimillenaria diventa ogni giorno più incerto.
Concludiamo questa raccolta minima con “Il Segreto di Giovanna D’Arco”, testo suggestivo (anch’esso tratto da “Europa federata”) del ’55 che mostra cosa possono e devono fare i federalisti, quale dovrebbe essere il loro ruolo d’avanguardia. Non anticipiamo oltre e vi lasciamo alla bella intuizione di Spinelli:
Spesso mi sono chiesto come mai Giovanna d’Arco, partendo dal podere e dalle greggi del padre, potesse aver fiducia che la sua parola sarebbe stata ascoltata ed accolta dal re di Francia. Politicanti influentissimi di ogni genere non facevano altro che parlare della necessità di riunire la Francia sotto lo scettro del re, ed elaboravano complicatissime manovre politiche e militari, apparentemente per raggiungere questo scopo, in realtà per mantenere, nella precaria situazione del paese, i privilegi loro e dei loro pari (…). Contro questa imponente massa di inerzia, c’era solo la certezza di una ragazza diciannovenne che nel mondo politico francese del tempo non contava assolutamente niente. Il segreto della sua fiducia, della sua ostinazione, del suo successo (…) era in realtà di una semplicità e di una evidenza estrema. Bisognava far capire ai francesi che c’era un re, che questi aveva deciso di cacciare dalla Francia gli invasori inglesi, cioè il re doveva farsi ungere nella cattedrale di Reims, come avevano fatto tutti i suoi predecessori, e dare l’ordine di liberare Orléans (…). Giovanna d’Arco aveva compreso quello che parecchi secoli più tardi un famoso filosofo tedesco avrebbe così formulato: “C’è una cosa che bisogna dimostrare ottimamente con la maggior ostinazione, ed è l’evidenza. Perché i più mancano d’occhi per vederla”. Il compito dei federalisti è identico a quello di Giovanna d’Arco, ed il nostro successo dipenderà in larga misura dalla nostra ostinazione. (…) Si è mai visto svilupparsi e fiorire una politica economica senza che ci sia il potere politico? (…) si deve chiamare il popolo delle nazioni europee ad eleggere una Assemblea costituente europea. Perché, cari amici Spaak, La Malfa, Philip, vi brucia la lingua quando dovete pronunciare questa semplice ed evidente cosa?
Per aggiungere alcune immagini interessanti a questi testi, suggeriamo la visione di alcuni brevi video: un’intervista a Spinelli sul Manifesto di Ventotene; un ricordo splendido della campagna del CPE dall’Archivio Luce e, infine, il magistrale intervento in aula sull’Atto Unico Europeo.
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