Nonostante le previsioni e i sondaggi diano in netto vantaggio Emmanuel Macron il risultato del secondo turno delle presidenziali francesi non è per nulla scontato.
Le recenti elezioni statunitensi che hanno visto prevalere Donald Trump dovrebbero insegnarci qualcosa. Anche negli Usa i media erano schierati a grande maggioranza con Hillary Clinton, il candidato dell’establishment. Trump, il candidato dell’anti-establishment (anche se solo a parole), ha raccolto voti nella provincia americana e nell’elettorato con una bassa scolarizzazione e con lavori intermittenti. Mentre il voto delle metropoli e dei laureati è andato alla Clinton.
Qualcosa di analogo sta accadendo con i due candidati presidenziali francesi. Le Pen come Trump e Macron come Clinton. Le due coppie sono accomunate da un altro clichè: Le Pen e Trump sono legati dall’internazionale ultranazionalista mentre Macron e Clinton accettano la globalizzazione sebbene propongano alcuni correttivi.
Donald Trump nel suo discorso inaugurale a Washington ha lanciato lo slogan “America First” con la promessa di rinforzare il muro con il Messico. Marine Le Pen, nel dibattito televisivo con Macron, ha ribadito di voler chiudere le frontiere e ha affermato a più riprese il principio “prima i francesi”.
Se dovesse vincere la Le Pen non potremo sorprenderci più di tanto visto che la politica dei partiti tradizionali che hanno governato la Francia negli ultimi anni giustifica la rabbia dei cittadini francesi che non riescono a trovare riparo dalle intemperie di una globalizzazione e di una finanza fuori controllo. Come successo negli Usa il voto di protesta potrebbe catalizzarsi intorno al candidato populista che non propone soluzioni vere e proprie ma grida più forte del candidato dell’establishment.
Dopo la vittoria di Trump e l’attivazione della Brexit con l’articolo 50 se i cugini d’oltralpe dovessero scegliere il candidato del Front National il Vecchio continente verrebbe travolto da un vero e proprio cataclisma. Sarebbe la fine del progetto europeo per come lo abbiamo conosciuto come ci hanno anticipato molto bene i registi Annalisa Piras e Bill Emmot nel film “The Great European Disaster Movie” .
E, infatti, nonostante Emmanuel Macron abbia partecipato come Ministro all’ultimo governo Hollande e, quindi, sia da considerare parte del problema, sta emergendo con forza anche nel dibattito francese la vera linea di demarcazione tra le forze del progresso e della conservazione indicato nel Manifesto di Ventotene: la divisione non cade più lungo la linea formale della maggior o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da istituire ma lungo la nuovissima linea che divide, da una parte, coloro che si adoperano in prima battuta per creare un solido stato internazionale, la federazione europea, e dall’altra coloro che sono favorevoli allo status quo o al ritorno di un’Europa divisa in stati nazionali sovrani.
La scelta di Yanis Varoufakis per Macron va letta in questa ottica. Nonostante l’ex ministro greco non condivida le politiche proposte da Macron non ha dubbi su chi sostenere al secondo turno. Viene prima di tutto la scelta, l’unica, che consente di poter continuare a operare a livello europeo per la costruzione della democrazia europea in alternativa all’Europa delle nazioni indicata dalla Le Pen. E dopo il voto di domenica a favore del leader di En Marche Varoufakis tornerà a lavorare per cambiare le politiche europee di austerità, anche in opposizione a Macron, e per democratizzare il modello decisionale europeo.
Diverso il comportamento di Melenchon che non fornisce indicazioni di voto aiutando inevitabilmente la candidata Le Pen e facendo ricadere il suo movimento tra le forze della conservazione.
Votare Macron al secondo turno delle presidenziali francesi non vuol dire sostenere tutto ciò che è scritto nel suo programma, anzi. Votare Macron è un dovere per chi crede che il livello europeo sia quello minimo per tentare di dare qualche risposta ai problemi posti dalla globalizzazione neoliberista. Votare Macron è un dovere per chi non vuole vedere sprofondare l’Europa in una guerra tra nazionalismi. Votare Macron è un dovere per chi vuole un’Europa aperta al resto del mondo che rispetti i diritti di profughi e migranti. Votare Macron è un dovere per chi non vuole che le frontiere diventino una presenza costante tra gli Stati dell’UE. Votare Macron è un dovere per chi non vuole favorire il ritorno del fascismo in Europa.
Per questi motivi se fossi cittadino francese la mia scelta cadrebbe inevitabilmente per il candidato Emmanuel Macron che ha alzato con vigore la bandiera europea, unica alternativa alla deriva nazionalista, fascista e xenofoba incardinata nella candidata Le Pen. E subito dopo il secondo turno delle presidenziali mi batterei per eleggere un’assemblea francese rafforzando le forze politiche che indicheranno al primo punto del proprio programma la volontà di andare oltre Lisbona e di costruire un’Europa federale, democratica e solidale che garantisca giustizia sociale e ambientale e diritti per tutti, lanci un piano di investimenti pubblici per creare nuova occupazione, e promuova l’uguaglianza tra i cittadini ed una più equa redistribuzione delle risorse.
1. su 7 maggio 2017 a 15:14, di francesco franco In risposta a: Se fossi francese voterei Macron per il futuro dell’Europa.
Oggi si misurerà l’ampiezza del deficit democratico dell’Unione Europea. Non più di 47,5 milioni di elettori francesi (un po’ più del 10% dell’insieme degli abitanti del vecchio continente) decideranno dell’avvenire di 440 milioni di Europei. Questa è della democrazia ? Vorrei votare alle elezioni presidenziali francesi perché nella UE gli Stati sono ormai talmente interdipendenti tra loro che le elezioni francesi decideranno una parte importante del mio avvenire. Chiedo un Federazione europea, e nel frattempo almeno una circoscrizione europea per la scelta dei capi di stato e di governo degli Stati Membri!
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